La libreria Rek di Reiner De Jong. Devo capire esattamente che senso abbia tenerla chiusa.
La libreria Rek di Reiner De Jong. Devo capire esattamente che senso abbia tenerla chiusa.
Documentario che peraltro non si sa neanche se sia vero: prodotto come docufiction (quindi vai a sapere quali sono i fatti reali e quali quelli immaginati), secondo alcuni Leonia e la madre ne sarebbero solo attrici:
Capita che quest’anno al Grande Fratello una concorrente sia lesbica. Cioè, l’opposto: capita che quest’anno al Grande Fratello una concorrente sia banale, poco peculiare, neutra. Forse. Perché perché con il sottilissimo fine di accattivarsi un pubblico il più possibile ampio e variegato quest’anno gli autori hanno fatto l’impossibile per dare alla compagine l’aspetto del Circo dei Miracoli: la maggior parte dei concorrenti senza un genitore (fuggiti o morti), un non vedente, un’hostess pasionaria che forse verrà presto licenziata, una ragazza che lavora in un quartiere difficile di Palermo, una mangiafuoco ex anoressica, un rom montenegrino (che in quanto abbandonato dal padre, anche lui, per la prima volta ha festeggiato il suo compleanno), il maggiordomo dei Savoia (giuro), una lap-dancer, e purtroppo è cominciato da poco, chissà cos’altro ci sarà il tempo di scoprire. L’elemento in comune è la capacità di attirare la curiosità morbosa dello spettatore, sia per contrito pietismo, sia per entomologica fascinazione per il diverso. Del resto se lo spettatore medio di un reality è per sua stessa scelta un voyeur, quest’edizione non fa che mostrargli finalmente tutto quello che le altre finora suggerivano, o lasciavano intuire, o facevano sbirciare appena.
Logico quindi che il fulcro su cui si gioca sia la mera pulsione erotica. Non si vive solo di superiorità (provata, e presunta) o di ammirazione (idolatria, dipendenza) nei confronti del cast. Quest’anno per favorire gli accoppiamenti all’interno della casa1 gli autori hanno badato a selezionare preferenze sessuali il più possibile variegate; riassumendo sulla base delle notizie attualmente pubbliche, abbiamo una lesbica, una bisessuale, un bisessuale (il maggiordomo, che forse non era solo un maggiordomo, ammicco ammicco), un possibilista, due-tre donne che apparentemente si getterebbero addosso al primo essere animato che possano incontrare per strada (tra cui Cristina, la lap-dancer, quarta naturale ma ampliata a diciott’anni ad una sesta) ed un paio di uomini così disperati che non vedrebbero perché discriminare gli oggetti inanimati (tra cui un presunto playboy). Tutti piuttosto carucci, shakerati perché cominciassero ad intersecarsi2: da questo punto di vista gli autori non avrebbero potuto fare di più (tranne forse aggiungere un carro di buoi, proprio per stare sicuri3).
Insomma, la prima nota interessante dell’edizione di quest’anno è questa: gli autori ormai non si limitano più a constatare ed assecondare la morbosità del pubblico; mai come stavolta vogliono suggerirla, stimolarla, indirizzarla. Sono i primi? No, e forse nemmeno i più espliciti. Purtroppo non vedo tanta televisione4 e non sono in grado di stabilire né quanto la scelta sia condivisa da altri programmi, né da quando si è iniziato. Però capite che ostentare il diverso davanti al pubblico generalista in un contesto fortemente irreale spacciato per spaccato realistico non ha nulla o quasi a che vedere (checché abbia detto l’Arcigay sulla vittoria di Luxuria) con l’integrazione. Perché si attivano i meccanismi di cui sopra: il pietismo (poverino, che vita sfortunata), il buonismo compassionevole (bisogna volergli bene che ne ha avute tante), il voyeurismo (chissà se le due lesbiche della casa… ihih5.), l’eccitazione. È facile finché i soggetti osservati sono dentro una gabbia. Poi però se una coppia gay vuole adottare un figlio, li si ritiene inadatti a svolgere il ruolo di genitori. Perché sono tanto carini, peculiari, normali finché non possono nuocere, finché lo status di normalità non gli pertiene davvero. Poi basta.
[La seconda parte è qui]
Fantastico video in stop motion: Revamped Graphic Equalizer. E non guarderete più il vostro hi-fi con gli stessi occhi.
Volevo fare un post su su un cupissimo esordio solista di elettronica un po’ d’avanguardia, oppure su un disco di pop folk retrò che ultimamente ascolto tantissimo, o anche su un ottimo ritorno di soft disco un po’ FM di uno de miei eroi musicali di tutti i tempi, il tutto con un paio di frasi ispirate, informazioni di contesto, qualche mp3 e un po’ di pippe mentali.
Poi mi sono ri-imbattuto a breve distanza prima in una eccezionale versione di un pezzo di Rihanna che non mi è mai davvero dispiaciuto (anzi) e subit dopo nel mash-up migliore dell’anno scorso (che mischia l’eccezionale anthem avant-folk dei Department of Eagles con l’eccezionale anthem strappamutande di Britney Spears), et voilà, un post a braga calata è servito senza sforzo. Da gustare freddo, e coi pantaloni alle caviglie.
The bird and the Bee – Don’t stop the music (Rihanna cover) (MP3)
ABX – No one womanizes like you (Britney Spears VS Department of eagles) (MP3)
D’altra parte Obama è diventato presidente anche grazie a Facebook
Maria Laura Rodotà
In una sera d’autunno del 2007, un gruppo di studiosi di scienze sociali, statistici, informatici e amici vari ha partorito un’idea bizzarra: usare l’immensa mole di Facebook per un esperimento di social democracy. Da un certo momento in poi, alcuni di noi di Inkiostro hanno seguito la ricerca (dando anche una mano su piccole questioni secondarie) e questo post precede (per gentile concessione del prof. Alossi – che è una persona squisita prima ancora che un brillante studioso) il resoconto di quest’avventura (che sarà anticipato, in versione ridotta, su Wired e, con un’intervista, su The New Republic).
Chi di voi non ha mai espresso su Facebook un’opinione precisa su un argomento controverso? L’indagine del Gruppo di Lavoro Sulla Democrazia è partita da un dato (frutto di due precedenti ricerche, una dell’Università del Michigan, l’altra dell’agenzia Leary di marketing sperimentale): la virtualità abbassa le inibizioni (e fin qui, nulla di nuovo); inoltre: l’affievolimento delle inibizioni migliora la quantità e la qualità del dialogo. Si calcola che un dibattito effettuato a distanza mediante digitazione su tastiera e tecniche di instant messaging ha un tasso di successo (cioè si formano opinioni di maggioranza elaborate su argomenti inizialmente controversi) del 32% superiore a un dibattito tradizionale (presenza fisica e voce).
Se io esprimo un’opinione sul mio status di Facebook e i miei contatti commentano; ovvero se io m’iscrivo a un gruppo che sostiene un’opinione e i miei contatti valutano un eventuale invito – si tratta di dibattiti virtuali? Assolutamente sì, sostiene il gruppo di Alossi. Anzi, si tratterebbe, secondo il prof. Alpert, di una forma ulteriormente libera di dibattito, in quanto "si sviluppa spontaneamente senza le restrizioni ambientali, cronologiche e dispositive di un dibattito "organizzato". Alpert e Alossi sostengono che se un dibattito virtuale "organizzato" (cioè un argomento controverso dibattuto su IM da un tot di persone in un tot di tempo secondo regole minime ma condivise) è il 32% più efficace del dibattito tradizionale, il dibattito virtuale libero (cioè quello indiretto che si sviluppa con gli status e l’iscrizione ai gruppi di Facebook) può migliorare tale prestazione di un ulteriore 30 o addirittura 40 percento.
In concreto, il gruppo di Lavoro sulla Democrazia ha avuto accesso a 17 applicazioni di Facebook tra le più disparate (non abbiamo i nomi, ma ci dicono che si va da questionari frivoli a giochi di logica e di combinazioni di parole). L’accordo con i produttori di queste applicazioni prevedeva l’accesso dei Nostri a una mole incredibile di dati riguardanti l’aggiornamento dello status, i commenti allo status, l’iscrizione a gruppi, i messaggi sui "walls" dei gruppi, l’invito di contatti ai gruppi, l’adesione spontanea di contatti a gruppi cui si è già aderito, la cancellazione da gruppi, la cancellazione di contatti da gruppi, l’ordine cronologico delle cancellazioni rispetto a eventi dialettici (come gli scambi di commenti sul wall) e altri dati ancora.
Il grosso del lavoro è toccato agli statistici. Ci ha spiegato la dott.ssa Ergico: "Non basta sommare le opinioni, bisogna valutare la qualità dello scambio. Se io, ad esempio, non ho mai espresso un’opinione significativa se non in risposta a quelle dei miei contatti e decido di prendere una posizione forte, la mia opinione avrà un valore diverso dal caso in cui io abbia sempre espresso opinioni primarie. Lo status sarà sempre "Lisa è felice per Obama", in entrambi i casi. Ma per i nostri modelli i due status avrebbero un punteggio molto diverso".
Si è trattato di un lavoro enorme. I dati esatti saranno resi noti nel volume di prossima pubblicazione, ma si parla di 80 milioni di aggiornamenti status, oltre 400 milioni di commenti, migliaia e migliaia di gruppi, centinaia di milioni di "scambi".
"La social democracy" dice Alossi "non è un gioco. Abbiamo dimostrato che il libero scambio di idee produce ricchezza di pensiero, valore emotivo e intellettuale, democrazia".
Noi siamo solo contenti di aver potuto sbirciare e sostenere il lavoro di queste persone e, in attesa della pubblicazione ufficiale del libro che racconterà l’avventura di Alossi & Co., vi offriamo le risposte efficienti a 30 attuali questioni controverse secondo la social democracy di Facebook. Per le ragazze e i ragazzi di Alossi e Alpert questi sono "i risultati migliori del migliore dei dibattiti possibili".
1. L’elezione di Obama è bene. La delusione sarebbe male.
2. Il conflitto israelo-palestinese è molto male, ma gli Israeliani sono un po’ più male.
3. Dio non esiste, forse, ma scriverlo così sui bus è – non so.
4. La mafia è male. E i gruppi che sono fan della mafia sono male.
5. Se il Mignolo e il Prof conquistano il mondo è bene.
6. Abbandonare i cani è male.
7. Che Obama si emozioni all’Inaugurazione è bene.
8. Il vestito della moglie di Obama è male.
9. Che siamo tutti uguali è bene.
10. I DRM di iTunes sono male. Ma comprare il cd è più male.
11. La maleducazione di Santoro con l’Annunziata è male. Ma l’Annunziata che non si emoziona per i Palestinesi è molto più male.
12. Veltroni non è bene, ma un altro è male.
13. Guantanamo è molto molto male.
14. La neve è bene. Troppa neve è meno bene. Troppa neve a Milano con la Moratti sindaco è male.
15. Il maltempo è male.
16. La crisi è male.
17. L’Islam non è male, ma certuni nell’Islam sono molto male.
18. L’omosessualità non è proprio bene, insomma. Ma guarire dall’omosessualità è mooolto male.
19. La faziosità è male.
20. Berlusconi non è bene. Ma l’antiberlusconismo è male.
21. Morgan è bene ma anche male.
22. La riforma Gelmini della scuola è – non ricordo.
23. L’eutanasia è male. Ma vietare l’eutanasia non è proprio bene.
24. Il matrimonio gay è bene. Tra un po’.
25. Le impronte digitali ai rom è – non ricordo.
26. Kakà che resta al Milan è bene. Berlusconi che telefona a Biscardi per dire che Kakà resta al Milan è male.
27. Bush era male.
28. Oliver Stone era.
29. Le application di Facebook che ti costringono a invitare 10 amici per scoprire i risultati del test che hai appena fatto sono male.
30. Quelle che ti costringono ad invitarne 20 sono il doppio più male.
Tra qualche ora incomincia la nuova stagione di Lost, una delle serie più seguite della televisione americana in tutto il mondo e bla bla bla. Si tratta della quinta stagione: composta da diciassette episodi, ci terrà compagnia, si suppone, quasi fino all’estate. Però, non so voi, ma io della fenomenale quarta stagione, a quasi 8 mesi di distanza, non mi ricordo una mazza ferrata. La bara, la manopolona, embè? Nella speranza dunque di fare cosa gradita anche a lor signori, ecco quindi una piccola video-guida che potrebbe aiutare a rinfrescarci la memoria prima dell’agognata ripartenza.
Spoiler alert: chi non è a pari con la trasmissione USA [o con quella italiana di Fox e di Rai Due, NdInk] è pregato di allontanarsi.
Quelli di SL-Lost.com hanno riempito il loro profilo Youtube con una serie di video chiamati In preparation for season 5 che analizzano alcuni elementi narrativi e temi: "redemption", "connections", "the black smoke", "ghosts", "desmond". Tutto molto bello, clap clap, ma non abbiamo mica tutto questo tempo. Ecco perché è presente anche questo doppio video-recap della quarta stagione, della complessiva durata di circa 17 minuti.
Si tratta però di un video-podcast, con le voci narranti che tramite l’uso di un pessimo microfono spiegano i vari passaggi della stagione mentre le immagini scorrono. Boooring. Se avete un nasino più raffinato e ancora meno tempo da sprecare, c’è questo video creato da un fan. Il tocco è un po’ troppo personale, la musica è invasiva, ma c’è tanta robba, e dura solo 10 minuti secchi.
Di questa robaccia da registi di videoclip falliti Youtube è però piena fino a scoppiare, e non è mai del tutto completa, oppure è proprio fatta alla cazzo di cane con Otherside dei RHCP in sottofondo. Peccato che quest’anno la ABC non abbia ripetuto l’exploit geniale dell’anno scorso. Ma a fare le veci del network sono accorse una manciata di ore fa due volenterose, talentuose e divertenti giovani fan, che hanno provato a raccontare tutta la quarta stagione nel tempo record di 4 minuti e mezzo.
Provateci voi, dico io.
(segnalare altro nei commenti è veramente cosa buona e giusta)
Dalla spettacolare gallery Amazing cityscape art made from unusual objects:
San Francisco fatta di gelatina (di Liz Hickok)
Cityscape II (di Grace Grothaus)
Unreal Scene (di Liu Jianhua)
Bonus (fotografato dal sottoscritto alla Biennale Arte di Venezia l’anno scorso):
L’ombra del profilo di New York City (pre 11 Settembre) proiettata da una serie di casse di stereo
(non ricordo il titolo e l’autore, ma magari qualcuno di voi sì)