Mino Reitano – Basket Case cover. Non ha bisogno di commenti.
[grazie a inkiostro]
Un paio di giorni fa, quasi per caso, ho guardato The filth and the fury, l’eccellente documentario di Julien Temple sui Sex Pistols (che vent’anni dopo completa lo storico The Great rock’n’roll swindle – La grande truffa del rock’nroll) di imminente pubblicazione in Italia per la gloriosa ISBN Edizioni in una bella versione libro + DVD.
Il destino vuole che proprio in questi giorni, in occasione del Biografilm Festival, Julien Temple sarà a Bologna per presenziare all’omaggio che il festival tributa a lui e alla sua carriera di documentarista. Stando al programma completo, da oggi a lunedì 15 verranno proiettate quasi tutte le sue opere, da Glastonbury (sul festival inglese) ad Absolute Beginners, (con David Bowie) da Joe Strummer – The future is unwritten (sul leader dei Clash) al nuovo The liberty of Norton Folgate (sui Madness), oltre che ovviamente i tre (c’è anche There’ll always be an England) documentari sui Sex Pistols. Un must per gli amanti della perfida Albione e della sua musica.
Ma anche gli amanti dela musica americana quest’anno avranno pane per i loro denti, visto che un’altra delle retrospettive si intitola Back to Woodstock, e prevede proiezioni, mostre ed eventi sul mega-festival più famoso della storia (tra cui l’anteprima di Taking Woodstock, il nuovo film del premio Oscar Ang Lee). Ho il sospetto che mi vedrete spesso da quelle parti.
Qualche mese fa su queste pagine parlavamo dei Do Do Do Do Do Did, presentando l’ennesima proposta tascabile in salsa adult girl-group che sfida la forza di gravità kryptoniana e pare allora di stare a Broadway o al SXSW in una notte di quelle buone tra dive dai denti dritti come lapidi, magnati redneck con la X sulla mano, hipster la testa completamente rasata alla Jade Goody, produttori gretto-funk dal naso enorme, biker orribili con due bocche, fighe-varco per maniaco-depressive, fighe-gorgo che solo monoliti televisivi ritorti possono penetrare, fighe-tetris che suonano i Concerti Brandeburghesi del Beck degli anni zeroooo (e scusate se è poco), fighe-floppy disk con la frangetta di Carlo Pastore, fighe-next-big-thing con quell’odore di erba tagliata di fresco, di fiori impegnati ad impollinare il circondario, di cacca, di Pitchfork.
E ‘sti cazzi n’ce li metti?
Non ci vuole un genio a capire che nella scena india sudamericana questo è decisamente il loro momento. Qualcosa c’è nell’aria, nello zeitgeist, avvicinatevi alla finestra ed apritela, in modo da fare entrare una miriade di cuscini-gambe-di-donna sospesi sopra la testa, l’impressione è quella di giocare dentro una enorme palla di vetro Blue Note degli anni 50, di quelle con dentro la neve, lo smog e il caldo asfissiante, luci da centrale elettrica e occhi da desaparecido per fare colpo sulle ragazze, e ovunque tutta quella burocrazia post/wave/gaze più rotondamente pop, math-rock come lo penserebbe US Maple Syrup Gigs, antifolk alla Colony Collapse Disorder.
Praticamente un incubo.
Ora, grazie anche alla nuova label Bar Mitzvah Records, la band alza il tiro e mette in piedi un intero Wolfram contest, il contest intelligente e originale che si smarca dai modelli procedenti, emerge dal piano bidimensionale grazie a contentuti mai così ricchi e al contempo leggeri e all’incredibile fusione tra città e musica, frutto urti anelastici tra il gusto Puffo della Gelateria Gianni e le ossa degli umarells di Via dell’Archiginnasio. Un metodo eccellente per prendere tempo senza prendersi la colpa è mettere un ignorante di guardia alla porta e due video eurotrash su YouTube. Impressionante.
Il contest è geniale a più livelli – che nella mia mente devastata e vile corrispondono più o meno a due livelli – e più bello di tutti i contest, potete prelevare dalla pagina apposita la versione digitale del primo CD egocentrico ad essere privo di musica (è un CDR vuoto), l’edizione in cassetta di How Could A Nerd Turn Into A Geek colorata a mano da Banksy, la t-shirt dell’Hana-bi numerata a piacimento da circa 7300 persone (aderite anche voi!), il DVD porno per minorenni Me, She, Him And My Peluche, la canzone-manifesto di Mariano Apicella In the aeroplane over the sea, la mappa della legal indie-songwriting age sotto forma di file corrotto, il nuovo romanzo di Violetta Bellocchio Come fare un remix alla Animal Collective dei My awesome mixtape, il fantascientifico servizio di Top Girl dedicato al Golpe Borghese, la piccola agenda dei concerti della sempre benemerita Marina, un biglietto per il tour 500 days of Disco dei "real life superheroes" alla libreria Piniwini, la graphic-novel su Luca Sofri che passa una notte con Jarvis Cocker, gran visir di This is hardcore: così un dandy spiega il sesso ai bambini, sottotitolatore extraordinaire di secret show pornografici (chez Polaroid) e benefattore dell’umanità, un’orchestra intera fatta di stampanti in cemento e neon che suona Time for astonishing dei Corrupted Files.
Anche se alla fine fanculo, chissenefrega.
Ma davvero il remix contest è un gioco nichilista? Espressione di una cultura stanca e decadente? Sintesi dei mali del nostro Paese, del suo scarso pragmatismo, della carenza di democrazia, dell’assenza di una sana cultura meritocratica, del citazionismo sfrenato, dei continui riferimenti sessuali, in cui per essere premiato devi lavorare duro per emulare un figo invece che azzeccare le basi che sembrano fotocopiate da qualche demo in bassa qualità dei primi New Order?
Ho deciso di approfondire la questione.
Tre anni fa il collage dei contest più famosi del panorama indie italiano (e forse non solo) aveva fatto il giro del web. In piena crisi economica qualcuno l’ho ripreso in mano, e ha scoperto che più o meno una metà di quelle label ora non esiste più.
Ne immagino ventuno ma prima di entrare nella Tenenbaum Records sono già 42, la scommessa va a puttane, pazienza, in fondo non importa granché.
Corrupted Files ha la banalità e semplicità delle idee geniali.
In ritardo per una scadenza? Dovete inviare un documento a quel severissimo professore o a quel cliente rompiscatole e non ce la farete mai? Invece di una usare una scusa, mandategli un file corrotto. Un metodo eccellente per prendere tempo senza prendersi la colpa.
Il servizio costa 4 dollari, ma se volete, visto quanto spesso mi capita su WIndows Vista, io ve lo faccio anche gratis.
Le straordinarie e immortali parole di Pier Vittorio Tondelli (da Viaggio, uno dei racconti milgiori di Altri libertini) sono state l’incipit del secret show di stasera alla Unhip Factory, dalle parti di Piazza Santo Stefano nel pieno centro di Bologna. Sul palco Vasco Brondi (alias Le luci della Centrale elettrica) supportato dallo scrittore Enrico Brizzi col quale ha duettato in un paio di reading delle parole di Tondelli prima di lanciarsi in un insolito set acustico che non ha lasciato il pubblico indifferente. Qua sopra una foto rubata all’evento via cellulare, visto il rigoroso divieto di riprese audio-video.
Una serata che sarebbe piaciuta a Tondelli, probabilmente.
La notiziola che gira in rete da qualche ora è che nella colonna sonora ufficiale di 500 days of summer, film che ha fatto innamorare molti all’ultimo Sundance, che il sottoscritto aspetta con una certa ansia, e di cui da queste parti ha parlato con doveroso scherno il buon Valido, è inclusa anche una cover di Please, Please, Please Let Me Get What I Want degli Smiths eseguita da She & Him, il fenomenale duo indie-folk-pop formato da M Ward e Zooey Deschanel – che, per chiudere il cerchio, è la protagonista del film stesso.
Ma non avendo trovato l’mp3 in questione dopo innumerevoli secondi di ricerca, la notiziola in questione è semplicemente un pretesto per poter pubblicare un video.
Questo.
Ecco.
L’effetto è assicurato, la comodità un po’ meno, il funzionamento oscuro (a meno di non sapere lo svedese). E’ Piniwini, l’ennesima libreria che sfida la forza di gravità.
[grazie a Nanna]
[un premio a chi indovina il riferimento nel titolo]
Finalmente ecco l’eccellente video di Onomastica, uno dei pezzi migliori di Bachelite degli Offlaga Disco Pax. Nella nuova versione (con l’aggiunta degli archi del trio Ginko Narayana) già uscita nell’Onomastica EP.
Vedo che ha quasi un anno, ma io l’ho scoperto solo ora (grazie a Samu). La surreale trasmissione di culto The Club (su All Music) è diventata un libro + DVD (Nel dubbio ti amo, edito da Rizzoli), e per presentarlo sono stati messi su Youtube alcuni estratti del DVD, tra cui un clamoroso booktrailer che mi ha fatto quasi lacrimare dalle risate. Benvenuti nel paese reale.
Qualche mese fa su queste pagine parlavamo dei Did, presentando la promettente proposta in salsa punk-funk del quartetto torinese attraverso il remix della loro eccellente Time for shopping firmato dai reggiani Crimea X.
Ora, grazie anche alla nuova label Foolica Records, la band alza il tiro e mette in piedi un intero remix contest, consegnando il suo pezzo nelle mani del pubblico, che può prelevare dalla pagina apposita tutte le tracce e ri-miscelarle a proprio piacimento. Il contest parte oggi e dura un mese, al termine del quale la band sceglierà i 7 remix che insieme al brano originale andranno a comporre un EP che verrà messo in free download su vari siti. Tra cui quello che state leggendo (che non si è scappato la faceta opportunità di venire definito media partner di qualcosa), cosa che con tutta evidenza vi renderà in breve tempo ricchi e famosi.
Andate e remixatene.
Did – Time for shopping (MP3)
«And if every relationship is a two-way street
I have been screwing in the back whilst you drive»
[Jarvis Cocker – I never said I was deep]
Non so voi, ma io Jarvis l’avevo dato per perso.
Dopo la perfezione toccata negli anni del brit-pop (che hanno consegnato i suoi Pulp e la loro Disco 2000 alle leggenda), con l’appendice del sontuoso noir di This is hardcore, Jarvis Cocker stava cominciando a farmi un po’ pena. Letteralmente intrappolato nel personaggio del dandy inglese colto, brillante e un po’ stronzo, ma incapace di scrivere e pubblicare ancora materiale all’altezza del suo passato, Jarvis stava diventando più famoso per le sue frequentazioni (è diventato un grande amico di Nick Cave, pare) e le sue opinioni (come columnist del Guardian o conferenziere d’eccezione) che per la sua musica. Il nuovo disco Further Complications, a un primo ascolto, non mi sembrava in grado di cambiare le cose, complice anche un singolo abbastamza inutile.
Grazie a un giro di shuffle particolarmente ispirato (sia sempre benedetto lo shuffle) ho però cambiato idea.
I never said I was deep è tra le migliori ballad mai scritte dall’autore inglese, un classico pezzo di crooning con melodia e arrangiamento impeccabili e un testo ispiratissimo, crudele e ironico che gioca a smentire tutti i luoghi comuni più nobili su un’artista intelletuale come Cocker, che si professa invece gretto, volgare e «profondamente superficiale». Come stile e atmosfera impossibile non pensare ai pezzi migliori del Nick Cave più grottescamente romantico, in modo simile a quanto accade con Leftovers, impietoso e quasi patetico corteggiamento di un «avanzo» ormai in là con l’età. Due stoccate di gran classe che si fanno ascoltare e riascoltare, e segnano un nuovo inizio per la carriera di Cocker.
Anche se alla fine fanculo, chissenefrega.
Questo post in realtà è un semplice sfoggio del mio giudizio e del mio fiuto musicale, al solo scopo di fare colpo sulle ragazze. Come tutti gli altri.
Jarvis Cocker – I never said I was deep (MP3)
Jarvis Cocker – Leftovers (MP3)
Certe cose sembra che non ti possano accadere, che non possano accadere a nessuno, men che meno a qualcuno che conosci. Tipo, chessò, finire in una campagna denigratoria del Giornale. E invece, sorpresa, a una mia amica è successo. Sara Pavan, fumettista extraordinaire, che ha fatto molte cose tra cui fondare l’etichetta Ernest, si è vista sbattere i suoi disegni in prima pagina come esempio di porno per minorenni.
La storia è presto detta: il Giornale non riusciva a trovare abbastanza merda da tirare sul ventilatore della campagna elettorale per le amministrative di Genova e ha provato un po’ a inventarsela. Una biblioteca ha pubblicato, anche in occasione dell’imminente Pride, un bibliografia ragionata su sesso e sentimenti per adolescenti e bambini. Nella parte della bibliografia dedicata ai teenager c’è un link a un sito che, guarda te, parla di sessualità agli adolescenti (questo), nel sito ci sono dei fumetti e nei fumetti si parla, come è facile immaginare, di sesso e si vede pure qualche donna nuda (dopotutto i potenziali utenti dovrebbero aver passato l’età dei cavoli e delle cigogne da un po’).
Occasione ghiotta per il giornalista, visto che con un po’ di fantasia il tutto può essere riassunto in: Fumetti Pornografici: così Genova spiega il sesso ai bambini. Un carpiato da 10.00. Fa ridere (piangere?) poi che il giornalista si lamenti che i disegni non sono mica sexy come quelli di Manara e Magnus.
Un volta tanto potrò esprimere solidarietà personalmente con una vittima della stampa irregimentata.
Per saperne di più qui qui e qui.
(Clicca sull’immagine per ingrandire)
Questo e altro nello spettacoloso Off the wall: The astonishing 3D murals painted on the sides of buildings by a trompe l’oeil artist, sul Daily Mail. Impressionante.
Il tavolo era tondo, di legno chiaro e con troppe mani di vernice. Erano in tre e undici anni tutte.
Valeria, scura di capelli, di occhi e di pelle, denti dritti e bianchissimi. Medaglia della Virgen de Luján regolarmente al collo. Ad essere un po’ stronza l’avresti apostrofata come la tipica india sudamericana. La tua migliore amica, avresti potuto permettertelo.
Iliana, capelli castani e occhi marroni, denti altrettanto dritti, un po’ meno bianchi e congenitamente altezzosa, in Argentina ti avrebbe dato sempre quell’impressione di oligarchia latente, in Spagna sarebbe diventata un’Arantxa qualunque, con un bel paio di orecchini di perle e i colpi di sole freschi di parrucchiere.
La terza si chiamava come non avrebbe dovuto, portava l’apparecchio ai denti -l’ortodonzia andava fortissima- e descrive.
Tutte perdutamente innamorate del loro compagno di classe. Leandro era bruno, con le lentiggini ed il Bar Mitzvah in cantiere. E infatti la questione era tutta lì, discutere del fatto che a sposarti un ebreo molto probabilmente saresti dovuta diventare ebrea anche tu. ‘Sai, la sua famiglia..’ esponeva seria la padroncina di casa. Era l’ottantasette, al governo c’era Alfonsín e la dittatura era finita.
Nathan Englander è un ebreo con il naso parecchio grosso, nato nel 1970 a New York ed Il Ministero dei Casi Speciali è il suo secondo libro e primo romanzo. La storia è quella nota del desaparecido. Non è l’informe della CONADEP, non è Il Volo di Verbitsky eppure risulta sia sobrio che coinvolgente. È un romanzo e ripeterselo ogni tanto mentre si legge fa più bene -o meno male-.
Una famiglia ebrea ripudiata dagli stessi ebrei con un figlio ventenne nel 1976 a Buenos Aires, di come si possa violare un’identità in tanti tristi conosciuti modi diversi.
Ottima l’idea di introdurre la chirurgia estetica come mezzo per smettere di essere visibilmente quello che si è: ebrei dal naso enorme come la propria Storia. Ottima l’idea del mestiere paterno: incidere lapidi non per scolpire nomi ma per strappare dai vivi i morti, diventati carico inaccettabile nella Comunità in continua visione di repulisti.
S’incontrano molti personaggi di quegli anni, il generale con il bambino rubato e la moglie cinica e ricca, il vicino spaventato, chi acconsente e chiude gli occhi, l’ambigua figura clericale e il pentito –educato all’ESMA– dei voli nel Río de le Plata e ovunque tutta quella burocrazia implementata ai limiti della ratio.
Dimostrare la tua esistenza una volta scomparso è la parte più difficile, sei senza documenti, non risulti detenuto e i tizi che hanno bussato alla tua porta, quella porta che ti ha regalato tua mamma per salvarti, sono senza divisa e viaggiano in Ford Falcon. Una famiglia che si rompe ed i pezzi finiscono sui lati opposti del tuo piano bidimensionale per gli urti anelastici. Efficace e cattivissima l’idea delle ossa.
Tutto qui ruota intorno al sistema solare dell’essere. Chi sei per i tuoi genitori, per i tuoi amici in rubrica e per lei, che verrà dopo di te nella tua cella e mangerà i tuoi pensieri provando a salvarti, ringraziandoti della civiltà con cui le hai regalato il tuo nome.
E conta tantissimo la pacatezza di certe immagini e l’ironia di rapporti familiari -normalmente difettosi- prima di coprire lo specchio.
Non ci vuole un genio a capire che nella scena musicale indipendente mondiale questo è decisamente il momento dei Grizzly Bear.
Autori di quello che è già uno dei dischi dell’anno (anche se tecnicamente Veckatimest non esce prima di domani), protagonisti dei set più osannati e impeccabili del South by Southwest di Austin e destinati a un futuro da grandi nel panorma dell’adult pop più colto (la stessa lega che l’anno scorso è stata dominata dai Fleet Foxes, per intenderci), i Grizzly Bear sono finalmente pronti a riscuotere quello che meritano.
Per quanto mi riguarda, a incoronarli tra gli eroi musicali del 2009 basterebbe il piccolo primato di cui sono titolari sul mio lettore MP3, dove la loro Two weeks per numero di ascolti batte quasi del doppio tutti i contender più accreditati (e quest’anno non ne mancano, per fortuna).
Come tutti i pezzi del quartetto di Brooklyn, Two weeks non avrebbe sfigurato nelle mani di un girl-group degli anni ’60 (riferimento non facile da vedere ma che, una volta scovato, appare la lente più chiara attraverso cui osservare la musica della band), a partire dai suoi cori quasi angelici per arrivare all’andamento indolente e al testo cripticamente frustrato. Un prodigio di chamber-pop sognante ma contemporaneamente inquieto, come sembrano indicare anche i due video che girano su YouTube; il primo, non ufficiale, schifosamente poetico e romatico (e bellissimo), mentre il secondo -ufficiale, appena diffuso- lento e inquietante oltre ogni dire.
Se non li avete mai approfonditi, un’ottima introduzione ad un mondo musicale complesso e molto affascinante. Se invece li conoscete già, sappiamo entrambi qual è il brano più ascoltato del momento sul vostro lettore MP3.
Grizzly Bear – Two weeks (MP3)
-Previously-
Grizzly Bear – He hit me and it felt like a kiss (Carole King cover) (MP3)
Grizzly Bear – Knife (MP3)
-Elsewhere-
Grizzly Bear – Live on WNYC (4 canzoni)
Grizzly Bear – Black Cab Sessions (live video)