Jaime Pitarch, Cyclops
Non pensavo che su queste pagine avrei mai scritto ancora dei Bloc Party.
Esaltantissimi ai tempi dei primi singoli (la prima volta che ne ho scritto era per magnificare l’anthem Banquet) ed eccellenti con l’LP di esordio Silent Alarm, i 4 londinesi capitanati da Kele Okereke sono stati protagonista di una parabola discendente quasi da manuale, con un secondo disco nel complesso debole (ma retto da un paio di buoni singoli) e un terzo disco a dir poco mostruoso, intramezzato da singoli sparsi e da dischi di remix di qualità decisamente altalenante.
Quando ieri mi sono imbattuto -grazie a Stereogum– nel loro nuovo singolo (a meno di un anno dall’uscita dell’ultimo disco di inediti; la parsimonia continua a non essere tra le loro qualità più spiccate) non so neanche esattamente perchè ho spinto Play, tanto scarso era ormai il mio interesse per le loro produzioni. Non avrei mai immaginato che nelle successive 5 ore avrei spinto Play almeno altre 10 volte, sotto l’effetto di una incomprensibile e malsana compulsione che al termine di ogni ascolto mi costringeva ad ascoltare la canzone di nuovo. One more chance, infatti, è un pezzo malsano, che mostra i Bloc Party alle prese con l’ennesima mutazione, che li porta questa volta dalle party parti di quella che non esito a definire come house anni ’90.
Intendiamoci: non è che si siano trasformati nei Two Unlimited, eh. Però la cassa inesorabilmente in quattro quarti e il familiare pianoforte saltellante sono proprio quelli, e rimandano direttamente a certi detestabili hit single radiofonici che si ballavano nelle discoteche commerciali dei primi anni ’90 (con un effetto simile a quanto fanno con la jungle alcuni pezzi del trendyssimo -e tremendissimo- Zomby ®) e che noi, ai tempi, non potevamo che odiare con tutta la nostra forza.
Cosa sta succedendo, quindi? E’ la nostra adolescenza che viene a riscuotere il conto? O sono gli incubi di quegli anni che si materializzano? E allora perchè One more chance mi piace così tanto e, anche adesso, non posso fare a meno di spingere un’altra volta Play?
Bloc Party – One more chance (MP3)
Forse mi devo scusare con loro, perchè la mia risposta ha sistematicamente destato un pò di imbarazzo:
“L’Aquila non esiste più”
“Ah già, scusami”
Ah già.
Ma è giustificabile.
Ormai le reti nazionali non parlano più del terremoto dell’Aquila,
troppo prese a parlare prima della crisi coniugale del premier,
poi della crisi economica ormai superata brillantemente dalla nostra nazione,
poi della pseudo-crisi dell’amministrazione siciliana,
poi delle quotidiane crisi di nervi di questo o quel politicante.
Queste sì che sono notizie.
E quelle rare volte che si parla ancora del terremoto dell’Aquila i toni sono esaltanti,
c’è chi lo definisce “il successo del governo”,
chi parla del “miracolo del premier”.
Si parla di ricostruzioni avvenute,
di problemi risolti.
NON È VERO.
Le notizie riportate sono solo specchieti per le allodole,
azioni di facciata per mostrare un fantomatico intervento-lampo del governo.
La verità è tutt’altra.
La gente ormai da quasi due mesi vive in tenda, e lo fa sia negli afosissimi pomeriggi dei giorni scorsi, sia nelle notti di vento e pioggia, come questa.
E quelli che sono negli alberghi sulla costa si godono ancora per poco il sogno di una lunga e gratuita vacanza al mare, ormai in attesa (a giorni) di essere messi alle porte in vista dell’inizio imminente della stagione balneare.
Di costruzioni per ora nemmeno l’ombra, perchè fino al G8 dell’Aquila si deve lavorare per accogliere i rappresentanti delle più grandi nazioni del mondo.
A mandare avanti la baracca ci sono i volontari della Protezione Civile, i volontari dei Vigili del Fuoco, i volontari delle varie Associazioni di Pubblica Assistenza, che si spaccano la schiena per mantere vivibile la condizione ma sempre più si lamentano della scarsa presenza dello Stato, della scarsità di fondi (3.1 miliardi in 24 anni sono BRICIOLE), dei ritardi nei lavori (ad ora, nessuna delle promesse fatte nelle subito successive al terremoto è stata mantenuta).
E se si lamentano di ciò i volontari che dopo una settimana tornano nelle loro tiepide case, come direbbe Primo Levi, pensate come possono stare le persone che una casa dove tornare non ce l’hanno affatto, che non sanno più cos’è la privacy, che sognano una doccia dignitosa.
Non mi sembra il quadro di un successo, questo.
Non mi sembra una situazione risolta.
Lo scopo di questa mail è solo ricordare a tutti che non sentire più notizie in tv non vuol dire che ora tutto sia tornato alla normalità.
RICORDATELO: L’EMERGENZA NON È FINITA.
Ti chiedo di inviare almeno a qualcuno questo messaggio.
Se non lo farai non ti accadrà nulla di male,
se lo farai non avrai soldi o amori stucchevoli.
…ma solo, nel frastuono del niente quotidiano occorrono tante piccole grida per ricordare cos’è
un briciolo di dignitosa umanità.
Grazie di cuore
Un ex-residente all’Aquila
Stop Motion DJ by Heinz.
Mi è improvvisamente venuta voglia di ketchup.
Up To You! Al NO Fest! il prezzo d’ingresso lo decidi tu.
Ti diamo la possibilità di stabilire il valore di un festival con quasi 40 band sul palco, dj-set, dibattiti, interviste live e showcase ai banchetti delle label presenti (Fooltribe, Moriremo Tutti, Smartz, Valvolare, Escape from Today, Fratto9 Under The Sky, Boring Machines, Chew-z, Bar La Muerte, Nuova Musica Rurale, Donna Bavosa, Foolica, Grey Sparkle, Tafuzzy), grigliata alla domenica, due porte da calcetto per partite improvvisate e forse una rampa da skate.
Non c’è un biglietto d’ingresso, non c’è prevendita, il prezzo da pagare lo decide chi entra, il prezzo che ritiene giusto.
da 1 a 5€:
Entri al NO Fest.
10€:
Entri al NO Fest con pacca sulla spalla da parte di Mastello.
15€:
Alessandra ti regala un poster del NO Fest.
20€:
Alessandra ti regala un poster del NO Fest e te lo autografa.
25€:
Machno ti offre una birra al bar della spiaggia.
30€:
Machno ti offre una birra al bar della spiaggia e passa dieci minuti a chiacchierare con te del più.
35€:
Machno ti offre due birre al bar della spiaggia e passa venti minuti a chiacchierare con te del più e del meno.
40€:
Fabio ti regala un disco a scelta del catalogo Escape From Today.
45€:
Hue ti regala la t-shirt Moriremo Tutti Records.
50€:
Giochi in porta durante la partita di calcetto della domenica pomeriggio Garage Rockers vs Indie-Nerds.
55€:
Giochi in attacco durante la partita di calcetto della domenica pomeriggio Stagedivers vs Field Recorders.
60€:
ENIAC ti invita al dibattito "NO FUTURE! Il futuro presente della distribuzione e promozione musicale: dalle etichette indipendenti alle netlabel".
65€:
LegoMyEgo ti taglia i capelli.
70€:
LegoMyEgo ti taglia i capelli e Chacka la barba.
100€:
Pranzi con Stefania e Bruno durante la grigliata domenicale.
200€:
Mungo degli Uncles ti abbraccia.
300€:
Gigio ti fa un massaggio alla schiena.
400€:
Guido ti regala la sua camicia.
500€:
Open bar per tutta la durata del NO Fest!
1.000€:
Sali in console a mettere dischi insieme ai dj della serata Loser di sabato.
1500€:
Gomez ti segue per tutto il NO Fest filmando ogni tuo movimento.
5.000€:
Bob Corn ti regala la sua chitarra e la sabbia che ha in tasca.
6.000€:
Gianmaria ti affida il suo cane per tutta la durata del NO Fest
7.000€:
Napo ti regala il suo cellulare con tanto di suoneria personalizzata.
8.000€:
Tristan ti regala la sua scarpa destra.
9.000€:
Ruben ti regala la sua scarpa sinistra.
10.000€:
Gozzi ti regala la sua bici per voli acrobatici sulla rampa da skate.
12.000€:
I Marnero ti dedicano il brano di chiusura della loro esibizione al NO Fest
14.000€:
IOIOI si esibisce indossando la tua t-shirt.
16.000€:
Sali sul palco (mascherato) al posto di uno degli Harshcore.
18.000€:
Finisci sulle prossime t-shirt della Boring Machines a fianco a Onga.
20.000€:
Finisci in copertina sul prossimo singolo degli X-Mary.
25.000€:
I Maisie ti invitano a passare un weekend a casa loro.
30.000€:
Vai in vacanza insieme a Samuel Katarro.
35.000€:
Gli Stalker ti invitato in studio per la registrazione del prossimo disco.
40.000€:
Entri in pianta stabile nei Cibo.
50.000€:
Sabato notte vai a dormire in hotel insieme ai Leeches.
100.000€:
L’edizione 2010 del NO Fest! sarà intitolata a te.
Se fossi Beck e avessi un po’ di tempo libero, a parte struggermi (ancora?) perchè Winona mi ha lasciato e cercare di fare proseliti tra i miei amici VIP per Scientology, anch’io metterei in piedi un Record Club. Inviterei un po’ di gente a casa (dove sicuramente ho un fighissimo studio di registrazione) sceglierei un disco (facciamo The Velvet Underground and Nico, un classico immortale), lo strimpellerei un po’ facendo girare alla mia domestica ucraina un video in bianco e nero un po’ pixelato, e poi e farei una di quelle cose fighe che ti assicurano l’imperitura simpatia dei fan come mettere in rete un video della session alla settimana.
Guarda un po’ (colpo di scena!), Beck l’ha fatto veramente, e ha già postato il primo video. Gli amichetti di questo turno solo Nigel Godrich, Joey Waronker, Brian Lebarton, Bram Inscore, Yo, Giovanni Ribisi (in una commovente performance allo xilofono), Chris Holmes e Thorunn Magnusdottir, che si sono cimentati nello loro versione di Sunday Morning. L’idea è bella, ma speravo un po’ meglio. Stiamo a vedere anche i prossimi.
Beck’s Record Club – Sunday Morning (The Velvet Underground cover) (MP3)
Copioincollo di sana pianta dal sempre ottimo Tumblr di Benty (che non ha i commenti):
Il Popolo Di prendersi certe Libertà (con le donne)
Berlusconi a Sarkozy «Moi je t’ ai donné la tua donna».
Berlusconi ai precari «Sei precaria? Sposa un miliardario!».
Berlusconi sull’emergenza stupri «Servirebbe un militare per ogni bella donna».
Berlusconi sulla questione Englaro «Eluana potrebbe anche avere un figlio».
Berlusconi agli investitori americani «Un altro motivo per venire ad investire in Italia è che oltre al bel tempo e alla bellezza dell’Italia, abbiamo anche bellissime segretarie, delle bellissime ragazze…».
Calderoli su Noemi «Noemi ha due difetti è bruttina ed è anche napoletana».
Feltri su Berlusconi «Per Berlusconi il guaio è la gnocca».
Veronica Lario su Berlusconi «Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni»
Ghedini «Qualsiasi ricostruzione si possa ipotizzare, ancorché fossero vere le indicazioni di questa ragazza e vere non sono, il premier sarebbe, secondo la ricostruzione, l’utilizzatore finale e quindi mai penalmente punibile» [#]
E ce ne sono talmente tante altre che al momento non me ne viene in mente neanche una. Mi aiutate nei commenti?
Scherzone:
1. Ingredienti: diet coke, rum, mentos, stampo per i cubetti di ghiaccio, un amico che ti sta sulle palle.
2. Metti le mentos nello stampo per i cubetti di ghiaccio, aggiungi acqua e metti il tutto nel congelatore.
3. Prepara un Cuba Libre per l’amico che ti sta sulle palle: rum, diet coke, e un paio di cubetti di ghiaccio presi dallo stampo di cui sopra.
4. Aspetta qualche minuto che il ghiaccio si sciolga e goditi la scena (se non capisci cosa succederà, forse negli ultimi 2 anni hai vissuto su Marte. Guarda qui). Grasse risate!
[trovato su Wired. Mi raccomando: accertati previamente che l’amico che ti sta sulle palle non sia anche grosso e/o incline alla violenza fisica. In quel caso, meglio lasciar perdere. O fuggire di corsa mentre il ghiaccio non si è ancora sciolto]
E’ curioso come nessuno si fili più le Chicks on speed. Non mi ero accorto che fossero passati ben sei anni da 99 cents, l’ultimo disco vero e proprio del trio tedesco, che ai tempi aveva molto fatto parlare di sè per il suo gustoso pastiche di electro-clash politico e pop fashionista, postmoderno e semiserio. Testi intelligenti, ospiti illustri, un paio di buoni singoli, e un fenomeno art-pop assai interessante.
Dopo anni passati ad occuparsi di performance di arte contemporanea e del suo marchio di moda, il collettivo con base a Monaco è finalmente tornato anche alla musica, e ha pubblicato da un paio di settimane Cutting the edge, doppio CD uscito nel silenzio pressochè totale di stampa e siti web che una volta facevano a gara per parlare di loro e ora le snobbano bellamente.
Ed è un peccato, perchè, se anche il disco non è un capolavoro (ma non è neanche male, tutt’altro) e se il fenomeno Chicks on Speed ha forse già detto tutto quello che poteva dire, il disco contiene alcuni pezzi davvero niente male. C’è il proclama Art rules, il gioca-jouer erotico Vibrator e la carrellata sulle compagnie aeree low-cost in salsa bubblegum pop Buzz, ma soprattutto c’è Super surfer girl, che si è già conquistato saldamente un posto nella playlist della mia Estate. Spensierato inno balneare spudoratamente e dichiaratamente costruito col copiaincolla sui Beach Boys, Super surfer girl (video) è perfetta per l’autoradio sulla strada verso il mare, oppure per la pista della Spiaggia 72 dell’Hana-bi di Marina di Ravenna (dove l’ho provata sabato e dove metterò i dischi anche sabato prossimo).
Le Chicks on speed saranno a Bologna questo venerdì, per il Birthday Party dell’outlet online Yoox.com (che avrà luogo a Villa Impero, ma è a inviti, quindi facciamo finta non ci sia).
Noi invece ci vediamo sabato al mare. Sarò quello con la tavola da surf, ovviamente.
Chicks on speed – Super surfer girl (MP3)
"Sai se la metropolitana andrà ancora quando il concerto sarà finito? Devo andare in stazione a prendere il treno…" La domanda me la pone un giovane fan piemontese dei Limp Bizkit il quale, finito il set dei suoi beniamini, è rimasto solo e si è avvicinato a me in cerca di risposte, “forse perché ho l’aria di persona affidabile in mezzo a questo inferno”, penso. Anche io sono solo e al momento siedo impaziente sui gradini vicino a una delle entrate a monitorare il riempimento del parterre e a prendere un po’ d’aria prima dell’immersione. Dentro, ci sono almeno 15 gradi in più dei 30 che ci sono fuori, all’aperto. Non si vede altro che una distesa di torsi nudi, tatuaggi e bermuda a tre quarti. Io sono vestito come per un concerto dei Fleet Foxes a Hipsterlandia. Sono addiritttura elegante. Qua dentro insomma sono una fighetta.
Mi trovo al Palasharp (che per me sarà sempre "Palatrussardi", con quel suo retrogusto socialista) per Rock in Idro e, a differenza di tutte queste persone provate da una pesante abbuffata di birra e decibel sin dal primissimo pomeriggio, sono appena arrivato per assistere all’unico set che mi interessa, l’ultimo. Per essere qui ho pagato 50 euro. "…e poi ne varrà la pena? Non li ho mai visti e conosco solo tre canzoni…". Al mio nuovo e temporaneo amico propino un’accorata perorazione che spero gli faccia comprendere che perdere l’ultimo metrò è un rischio che vale la pena correre, eccome, per assistere allo spettacolo che sta per andare in scena.
Questa band ha finito per significare così tanto per me, per convogliare e sintetizzare così tanti significati appartenenti alla mia più piena e torbida adolescenza che a casa in attesa di venira qua ero emozionato come una ragazzina prima del ballo di fine anno. Non sapevo cosa mangiare. Non sapevo se mangiare. Come vestirmi. A che ora arrivare. Non mi capitava da molto, molto tempo e forse, a pensarci meglio, non poteva capitarmi che con loro. Ma è ora di avviarmi, sento che stanno per cominciare. Il ragazzo mi propone un cinque che ricambio e mi saluta con un “Ciaobbello” cui replico con un paterno “Buon concerto e rientro a casa”. E mettiti la maglina di lana ché prendi freddo, figliolo.
I Faith No More salgono sul palco e partono in quarta con un pezzo…lento, romantico e languido di Peaches & Herb, sconosciuto duo black, spiazzando l’audience e portandola all’epifania ilare quando si capisce dal testo del ritornello il motivo per cui stasera lo stanno suonando:
Reunited and it feels so good
Reunited ‘cause we understood
There’s one perfect fit And, sugar, this one is it We both are so excited
‘Cause we’re reunited, hey, hey
I FNM se non prendono per il culo, loro stessi e il pubblico e tutti, non sono contenti. Non poteva scamparla il loro reunion tour che questa sera tocca la quarta tappa a Milano, unica data italiana.
Durante questo primo pezzo sto in disparte, temo per la mia incolumità, sono vecchio per queste cazzate, non voglio essere stritolato da un pericoloso pogo di metallari. Ma quando parte The Real Thing, be’, capisco che non posso stare lì con la mia fotocamerina del cazzo a filmare o a guardare; e quando il pezzo come da copione esplode io, semplicemente, non capisco più nulla e mi butto a incudine tra la gente (il palazzetto è stracolmo) portandomi più vicino possibile al palco. Il mio viaggio a ritroso nel tempo è iniziato. Non faccio più un lavoro serio, non ho più l’età che ho, non ho più le responsabilità di oggi. Al contrario, ho 17 anni, suono la batteria e sperimento le droghe, ho American Psycho sul comodino della cameretta e penso che io e i miei amici siamo più fighi degli altri perché leggiamo e ascoltiamo quelle cose invece di leggere di Che Guevara e ho una rabbia dentro che non so neanch’io cosa sia e bisogna pur sublimarla in qualche modo e spesso ho voglia di spaccare tutto e qualcosa spacco pure perché devo farlo, devo confrontarmi con questo mostro che mi possiede e capire dove mi vuole portare e sono capace di amare e soffrire e odiare come mai più mi capiterà nella vita. We Care a Lot, cioè non ce ne fotte un cazzo di niente, nemmeno dei bambini che muoiono di fame e del Live Aid, capito? E questa trance l’hanno innescata Mike Patton, che ha una voce impressionante con la quale fa letteralmente ciò che vuole, e gli altri che suonano gli strumenti con una foga e una precisione inaudite o comunque inalterate dopo dieci anni di pausa e tanti capelli bianchi in più.
E allora il gigione mette a frutto i suoi anni vissuti nel Belpaese e tira fuori una Evidence in italiano che è una piccola chicca solo per noi. E per voi, qua sotto.
Poi due inserti altrui nei loro pezzi che lascio indovinare a voi, qua e qua. L’ammissione quindi, anche quella ironica e contraddetta dai fatti che sono sotto i nostri occhi (e nelle nostre orecchie), che loro sono "troppo vecchi per queste cazzate".
E poi il finale (dopo diversi brani tra cui due esplosive Land of Sunshine e Caffeine) con una tirata e perfetta We Care a Lot.
E io per tutto il tempo sono felice come un ebete e ho i brividi e le lacrime agli occhi e a sorpresa mi ricordo i testi a memoria, mentre i pezzi passano via uno dopo l’altro, troppo veloci, maledizione. Non c’è tempo per la noia, non c’è tempo per pensare a dove sei. C’è solo un lampo che mi passa per la testa: "al ragazzo piemontese starà piacendo?". Ma è un breve momento di lucidità nel mezzo di un momento senza stile, coolness e controllo, un momento in cui pensi di capire solo tu la portata di quanto sta accadendo e ti ci butti a copofitto. E mentre scrivo, anzi, prima, mentre penso di scrivere queste parole che ho appena scritto, penso che sono retoriche e banali e pompate, ma anche che non me ne frega nulla e va bene così, perché questa basicità adrenalinica e sconclusionata forse è l’essenza stessa del Rock and Roll.
Il ritorno a casa non me lo ricordo. In realtà sono ancora là, almeno per oggi.
E’ un po’ che non si sente parlare del non-genere illegale che qualche anno fa sembrava dover essere il futuro della musica. A ritirarlo fuori dal cappello è tale Faroff, DJ brasiliano che sul suo Myspace condivide molti mash-up eccellenti e, per quasi tutti, ha realizzato pure dei video, che ovviamente riprendono quelli dei pezzi messi in gioco. Ottimamente fatti, peraltro. Guardare qua sopra gli LCD Soundsystem che si incrociano coi Beatles e coi Kinks (titolo: The Brits are playing at my house) per credere.
E non c’è niente da fare: un buon mash-up mi pare quasi sempre meglio di diecimila remix d’autore.
Lo straordinario successo del Piratpartiet, il Partito dei Pirati svedese, che sembrava nato come una provocazione e invece -forte di un impressionante 7,1%- porterà un suo candidato a Bruxelles, dà molto da pensare. Ovviamente, è una gran bella notizia: sentire che in un paese in teoria non troppo lontano dal nostro le elezioni non sono state dominate dalle inqualificabili e quasi surreali gesta di un presidente del consiglio che ormai non conosce vergogna (e di un popolo bue che lo vota), ma hanno visto il successo di una formazione modernissima, controcorrente e lungimirante è certamente un (piccolo) modo per consolarsi. Che le leggi del copyright, l'accesso ad internet, i diritti digitali siano tematiche che prima o poi andranno affrontate in modo organico e sensato, invece che regolate con leggi fatte a casaccio, spesso illogiche, incostituzionali, ridicolmente parziali e impossibili da far rispettare (come la recente dottrina Sarkozy) è un altro punto inevitabile. E vedere finalmente premiata gente che in merito sa il fatto suo è davvero una bella cosa.
Ci vuol poco, però, a interrogarsi sul resto. Ora che è stato eletto, come pensa un singolo soggetto di portare avanti la sua battaglia? Un file-sharing completamente legale è conciliabile con uno sviluppo delle industrie dei contenuti e con il giusto compenso degli autori e dei produttori? Qual è la posizione del Partito dei Pirati in materia di ambiente e di politica estera? Questa vittoria rimarrà un caso isolato o la battaglia per i diritti digitali ha qualche speranza di crescere e diffondersi anche altrove?
E' ovvio che dalle nostre parti abbiamo problemi ben più gravi di cui preoccuparci. Ma è anche ovvio che un fenomeno politico così interessante va osservato attentamente proprio adesso, prima che perda inevitabilmente la sua freschezza, cambi e diventi qualcosa di diverso.
Di tutto questo parleremo stasera (dalle 19.15 alle 20) su Impronte Digitali, il magazine di web e tecnologie che sono fiero di condurre insieme a Filippo Piredda sulle frequenze di Radio Città Fujiko.
E lo faremo nientemeno che con Chrstian Engstrom, il neo-eurodeputato del Partito dei Pirati. Engstrom ha accettato di rispondere alle nostre domande, e ci spiegherà quello che intende fare a Bruxelles, la posizione del suo partito sul copyright (ma non solo) e il futuro della sua battaglia politica. E vedrete che le questioni aperte sono tante, e i dubbi di cui sopra assolutamente legittimi.
La 53° Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia è la mia sesta Biennale. Ogni volta è un’esperienza che comporta un grande sforzo sia fisico (buone gambe) che mentale (concentrazione e rapidità nel giudizio). Richiede tempo (due giorni almeno, ma sarebbe meglio tre), richiede soldi ed entusiasmo.
E’ inevitabile rimanere affascinati maggiormente dalle opere più “forti” che riescono ad emergere nel bailame generale, sempre tantissime le opere presenti (forse anche troppe, considerando la bassissima qualità di alcune). Sono quindi, probabilmente, un po’ svantaggiati gli artisti più minimalisti o più dimessi ma neanche questo è sempre vero. Si può rimanere colpiti da cose piccole come annoiarsi con le grandi installazioni.
Questa mia piccola recensione sarà pertanto inevitabilmente parziale, parlerò cioè solo di quello che a me è sembrato più interessante.
Che la visione abbia inizio.
ARSENALE
All’Arsenale mi è sembrato di trovare spesso il tema del ricordo, il desiderio di ristabilire un contatto forte con la propria infanzia, i giochi, i luoghi. C’è un’atmosfera più intima, casalinga, fatta di spazi spesso al chiuso.
La prima cosa che si vede entrando è la grande installazione di Lygia Pape, fili metallici scendono dalle pareti, la sala è quasi all’oscuro. Installazione che non ho trovato per niente suggestiva anche se la didascalia suggeriva che l’artista rende materiale l’immateriale.
La grande sala di Pistoletto con i suoi specchi rotti sicuramente è molto scenografica. Ma perché ripresentare adesso lavori già visti in passato? E’ un’operazione che mi lascia un po’ perplessa.
Più divertente il lavoro di Aleksandra Mir che offre ai visitatori tantissime cartoline di Venezia che ritraggono però altri luoghi, luoghi dove è presente l’acqua ma che sono vittime di problemi ambientali.
Jan Hafstrom propone una bella installazione appiccicando alle pareti grandi figure tratte da fumetti horror che sembrano come ritagliate da un bambino.
Tian Tian Wang propone grandi quadri, acquerelli molto mediocri che ritraggono il fuoco nei suoi momenti più distruttivi: incendi, eruzioni vulcaniche. Sembrano disegni fatti da un bambino che non è ancora capace di esprimere le proprie paure.
Paul Chan ha realizzato una serie di proiezioni, “ombre” che rappresentano giochi crudeli, orge oppure torture. Ma queste ombre si cristallizzano in un unico movimento ripetitivo senza poter portare né avanti né indietro la loro rappresentazione.
Richard Wentwort gioca con dei bastoni neri lanciandoli in alto come un nuovo Charlot che come ultima beffa è sparito. Noi non possiamo vederlo ma rimangono i suoi bastoncini neri appesi a fili invisibili a ricordare il suo scanzonato e allegro passaggio dalla Biennale.
Sara Ramo presenta due video che ritraggono angoli della sua infanzia. Ogni tanto un pallone rimbalza (…).
David Bestuè e Marc Vives, sono due studenti spagnoli, ricordano il film “L’appartamento spagnolo” e un po’ anche i Blue Noses (che tanto ci hanno fatto ridere due anni fa sempre all’Arsenale). I due hanno realizzato nella loro casa di Barcellona delle “Acciones en casa”, piccole performance minimaliste che si concludono sempre con una risata da parte del pubblico. Titoli come “Stikers on windows”, “Eat Meliès style”, “Hello Melon Gag”, “Lost Generation Party”, o “Dada Show Phonetics” possono farvi intuire poco quello che vedrete, ma non voglio certo togliervi la sorpresa.
Huang Yongpin presenta una grande installazione. Due mani di Budda, un soggetto spesso rappresentato in quella cultura. Il Budda solitamente è una figura rassicurante, spesso viene rappresentato sdraiato o comunque sempre seduto. In Oriente si adora una divinità che abitualmente ozia. Tutto l’opposto dell’occidente, dove Cristo viene messo in croce a sacrificarsi per i suoi fedeli e muore. Le mani rappresentate da Yongpin mi hanno molto colpita perché non hanno niente di questa divina serenità, sono assolutamente inquietanti. Sono come un mostro, una piovra pronta ad afferrarti e trascinarti giù. Le mani di Yongpin assomigliano moltissimo al leggendario mostro Chtulu di Lovercraftiana memoria.
Il Padiglione dell’America Latina non è male, c’è Garaicoa che però presenta un’opera abbastanza deludente (ho visto assai di meglio di questo artista). Paul Ramirez Jonas che ci invita a recitare l’illeggibile e Dario Escobar che colloca numerose camere d’aria che scendono dal soffitto come lunghi serpenti neri. Un altro richiamo all’infanzia che esprime però una certa inquietudine.
Molto molto bello invece il Padiglione Cileno affidato completamente a Ivan Navarro. Questa è una delle cose che mi sono piaciute di più. L’artista usa il neon e lo fa realizzando alcune istallazioni di grande bellezza estetica. In particolare l’installazione “Bed” presenta una sorta di pozzo dentro il quale la parola si ripete all’infinito realizzando visivamente la sensazione di sprofondare nel sonno.
Pae White ha costruito per i visitatori una grande gabbia piena di biscottini di miglio appesi e con un gentile signore che, proprio come ha sempre fatto mio nonno cacciatore, suona con la bocca un richiamo per uccelli. Tutto molto carino, i visitatori/uccellini hanno sembrato apprezzare molto.
Gli Emirati Arabi con la stanza intitolata “Is not you is me” vorrebbero proporre una riflessione tra ma la stanza con belle signore velate, plastici e foto di camere d’albergo risulta noiosissima e francamente quasi incomprensibile.
Cildo Meireles ha costruito delle stanze monocrome con plasma che trasmettono colori monocromi. Installazione interessante che spicca per l’essere distante da tutto il resto
Sheela Gowda ha realizzato una delle installazioni di cui si è parlato di più. Lunghe matasse di capelli neri si intrecciano con paraurti di auto.
Jumana Emil Abboud presenta il video “The Driver” in cui gioca con dei piccoli ometti e alcuni oggetti, raccontando una storia, proprio come fanno i bambini a volte.
Gonkar Gyatso ha realizzato alcuni quadri con almeno un miliardo di stikers e piccole foto, nonché un grafico della felicità dell’occidente nel corso dell’ultimo decennio. Una critica alla società dei consumi e dei mass media popolari. Forse bisognerebbe cominciare a trovare nuovi modi di farla questa critica o forse bisognerebbe smetterla di criticare e fare qualcosa di diverso.
Anya Zholud mi ha colpita, la sua opera insiste nel mettere a nudo l’impianto elettrico dell’Arsenale. In parole povere per due volte troverete lungo il percorso dei fili che escono fuori dal muro. La didascalia dice che lo fa per renderci coscienti dell’edificio. E’ un’installazione talmente inutile e curiosa che davvero mi sembra una cosa interessante e con il suo fascino.
La nostra cara Grazia Toderi ha portato un video, un dittico con due cieli notturni solcati da strane luci. Alieni sopra la città.
Karen Cytther ha portato un video molto bello ispirato al cinema di Cassavetes. Sullo schermo alcuni attori stanno recitando una commedia. Le battute si intrecciano in modo inestricabile con le frasi che si scambiano quando escono dal palco. Frasi che lasciano presupporre diversi drammi in atto. Impossibile capire quando recitano e quando parlano della loro vera vita. Video molto bello e molto disturbante.
Chun Yun ha presentato un’installazione che io avevo già visto alla Strozzina di Firenze, cosa che mi ha lasciata un po’ sgomenta. Ma le opere non dovrebbero essere quanto meno inedite per partecipare? Forse questa regola vale solo per il Festival di Sanremo. Comunque non è male, si intitola “Constellation”, è una stanza al buio con tante lucette, sono quelle di numerosi elettrodomestici.
Più o meno a metà della prima parte dell’Arsenale troverete una stanza piena di confusione dedicata all’Africa. Anche due anni fa c’era un’installazione praticamente identica e ugualmente insignificante. Anche questo è un clichè che spererei di veder sparire e invece ritrovo di anno in anno.
Usciti dall’Arsenale, gli spazi finali sono stati notevolmente ampliati aprendo completamente tutti i giardini, un luogo di per sé talmente affascinante da rendere davvero ardua l’impresa per ogni artista che ci si confronta.
Ampio spazio alla cara regista/artista Miranda July con alcune installazioni inutili e mediocri come sempre, cara figlia mia perché non ti metti a fare braccialetti con le perline?
Nikhil Chopra è un artista arabo che ha deciso di interpretare la vita di suo nonno. Ha dunque ricostruito una piccola casetta fornita di ogni comodità e lì vive beato. Quando sono passata io stava dormendo sdraiato su una stuoia. L’ho invidiato un po’.
William Forsythe ex ballerino e coreografo propone una serie di anelli in un piccolo padiglione dove ci si può appendere e sgranchire la schiena (proprio quello di cui avevo bisogno!).
Purtroppo mi sono persa lo spazio così detto “Arsenale Nuovissimo” perché si poteva raggiungerlo solo con un piccolo motoscafo e la coda era infinita.
PADIGLIONE ITALIANO
Il padiglione curato da Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli (direttamente incaricati dal Ministro Sandro Bondi, ricordiamolo) è stato criticato praticamente da chiunque in un vero e proprio gioco al massacro.
Ebbene non è così pessimo come scrivono. Cioè ci sono alcuni artisti che sono francamente davvero imbarazzanti ma altri, al contrario, sono molto interessanti.
Presenti i due “fratellini” Matteo Basilè e Giacomo Costa che negli ultimi anni hanno veramente incontrato il favore della critica. Presentano alcune nuove foto. Sempre proiettati nel creare visioni sul prossimo futuro che ci aspetta. Basilè con i suoi personaggi nella serie ‘La caduta degli Dei’ e Costa con i suoi paesaggi di città divorate dalla vegetazione.
Non male il video di Valerio Berruti, l’animazione del disegno di una bimba che gioca con una sedia in un atto ripetitivo e inquieto. Un salire e scendere perpetuo accompagnato da una canzoncina.
Il duo Bertozzi & Casoni mi aveva già convinta in passato. Sono due soggetti questi artisti che ricreano praticamente qualsiasi cosa con la ceramica riuscendo a creare perfino un bellissimo albero di Natale sbarbato e reclinato con anche un grazioso pappagallino che osserva il tutto. Riuscite ad immaginare un’immagine più bella? Io che odio il Natale ho salutato questa installazione con vere e proprie urla di giubilo.
Nicole Bolla presenta il suo “Orpheus Dream”, una riflessione sulla vanitas, dove la preziosità del materiale si oppone alla caducità, abbastanza vicino a opere già viste di Damien Hirst. Ma in fondo chi non vorrebbe un microfono ricoperto di svarowsky e un cerbiatto ai suoi piedi?
Elisa Sighicelli propone un video dove i fuochi d’artificio vanno al contrario. Immagini bellissime e suggestive, è come se la felicità potesse implodere.
Sissi porta all’esterno le sue sottilissime installazioni di fili metallici e conchiglie.
Anche i quadri onirici di Nicola Verlato mi sono piaciuti, soprattutto il suo James Dean riverso e morente.
Molto bella l’opera dei MASBEDO con la colonna sonora dei Marlene Kuntz. Un dittico. In un video un uomo, vestito da business man, atterrato su una distesa di neve lotta con un paracadute che sembra trascinarlo verso l’alto. Nell’altro una donna naufraga nel mare nuota trascinandosi dietro fili a cui sono attaccati elementi di una casa: sedie, un letto, un mazzo di fiori, un appendiabiti, un lampadario. Li tiene insieme grazie a un tirapugni di ferro. Oggetti come spettri, relitti forse di una società scomparsa a cui aggrapparsi che però la trascinano verso il basso. Verso la fine riesce a salire su una ciminiera che affiora dall’acqua e accende un segnalatore di presenza che emette un denso fumo rosso. Entrambi sono nella solitudine più totale. Chi verrà a salvarli? Si incontreranno mai? Psicologia spicciola forse, rimane il fatto che il dittico video ha grande forza e suggestione.
GIARDINI
Spagna- Quadri e sculture di Miquel Barcelò, deludenti.
Belgio – Un lavoro molto poetico di Jef Geys il quale ha fotografato e archiviato tutte le piantine che crescono uscendo dal cemento nelle strade cittadine. Come si fa a non volergli bene?
Russia – La Russia anche quest’anno si conferma una delle nazioni in assoluto più interessanti. Se due anni fa ci aveva stupito con i video di AES+F anche quest’anno non è da meno. In particolare il lavoro di Pavel Pepperstein che propone disegni di un futuro remotissimo in cui elenca fenomeni che accadranno segnalando anche la data esatta in cui si verificheranno come per esempio “The Attack of the old houses”, “The head of houses appeare”. Disegni a metà tra la fantascienza e il senso dell’umorismo che però mi hanno davvero divertita.
Salendo le scale invece alcuni artisti si confrontano con il concetto di “Vittoria” (titolo: Victory over the future). Andrei Molodkin presenta alcune riproduzioni della Nike di Samotracia, la celebre vittoria alata, irrorata continuamente di sangue. Alexei Hallima ha creato un’installazione sonora con un tifo da stadio che si alza fino a spegnersi improvvisamente. Irina Horina (tralasciamo commenti sul nome) però presenta un enorme pupazzone fiorato che lascia perplessi.
Giappone- potentissimo lavoro di Miwa Yanagi che con “ Windswept Women” (Donne spazzate dal vento) realizza foto di alcune donne, stregone, vecchissime e allo stesso tempo giovanissime. Sciamane che in riva al mare eseguono i loro riti magici. Vecchie ragazze, visitatrici da un altro mondo, forse personificazioni della stessa morte, ma anche in un certo senso veicoli del coraggio di sopravvivere. Le donne infatti, per quanto risultino terrificanti comunicano una grande gioia di vivere. Un’opera estremamente complessa e piena di significati, sicuramente uno dei padiglioni più interessanti.
Australia- Uno dei padiglioni più interessanti. L’artista principale Shaun Gladwell porta il progetto MADDESTMAXIMVS ispirato alla saga di Mad Max con Mel Gibson di George Miller, ma forse anche un po’ a Death Proof di Quentin Tarantino. Merita un post a parte che arriverà nei prossimi giorni.
Corea- Un’installazione con i ventilatori di Haegue Yang. Un gran freddo e se posso dirlo anche una gran puzza.
Germania- Anche quest’anno la Germania toppa alla grande. Se già due anni fa le sculture di Isa Genzken mi avevano lasciato indifferente e infastidita dalla mediocrità, quest’anno si replica lo spettacolo. Liam Gillik porta un serie di mobiletti tipo ikea. Fine. Mi ha tolto le parole di bocca un signore francese che ha chiesto alla moglie – Qu’est-ce que tu pense de trouver ici?- cioè ‘cosa pensi di trovare qui?- Niente.
Canada- Mark Lewis porta tre video che dovrebbero farci riflettere sulle scene che spesso vediamo sul fondo dei film. Spero di aver capito bene. Comunque il tutto risulta assai misero.
Francia- Grande e cupissima installazione di Claude Léveque. “Le Grand Soir”. Un’enorme gabbia argentata ti conduce a vedere una bandiera nerissima che sventola. Direi che si commenta da sola.
Padiglione Venezia- Un’imbarazzante mostra di alcuni vetri di murano (Perché? Perché? Perché? E ancora perché?)
Polonia- Krzysztof Wodiczko purtroppo un emulo di Bill Viola che non ha capito che non basta sfocare tutto per essere un grande artista.
Romania “The Seductiveness of the Interval” Un percorso video con alcune opere interessanti, in particolare un dialogo tra alcuni cani/pupazzi che discutono animatamente della violenza dell’uomo nella storia.
America- Bruce Nauman. Troppa fila, ho pensato che quei due neon che mette in croce da almeno vent’anni poteva pure tenerseli.
Gran Bretagna- Presenta un video di Steve McQueen “Giardini” della durata di 30 minuti, me lo sono perso perché le visioni erano già tutte prenotate.
Ungheria- Progetto “Col tempo” presenta una serie di light box con foto di prigionieri di guerra. Non particolarmente esaltante.
Olanda- “Disorient” di Fiona Tan: una serie di video, di cui uno bellissimo “The Great Fall”. Anche questa volta un dittico. Una donna anziana torna alle cascate che aveva visitato da giovane. Un’occasione per ricordare il passato. Bellissimo, guardatelo tutto anche se è molto lungo.
Finlandia- Presenta quest’anno il “Fire & rescue Museum” di Jussi Kivi un artista ossessionato fin da bambino dalla figura del pompiere. Talmente ossessionato da aver realizzato negli anni un vero e proprio museo che contiene centinaia di pezzi riguardando quest’affascinante eroe contemporaneo. Un padiglione che mi lascia indifferente e perplessa.
Danimarca e paesi nordici – Una installazione molto elegante quest’anno. Una casa arredata all’ultimo grido con aitanti giovanotti sdraiati in amabile ozio (vestiti però non nudi come nella foto). Fuori una piscina in cui galleggia un morto. A metà tra l’esaltazione dello way of life ricco-gay e i primi romanzi di Breat Easton Ellis.
Austria: Ruderal Society: vieni chiuso in una stanzetta piena di erba fino al tetto. Forte odore, astenersi allergici al fieno.
Trascurabili i padiglioni di : Serbia (tappeti di feltro), Egitto, Grecia, Brasile (ancora tappeti), Uruguay (“Critical landscapes” c’è un video di un uomo che fa i versi degli animali, ma per favore), Svizzera e anche Austria (pareti imbrattate).
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Uno spazio quest’anno veramente super caotico. Talmente caotico che non sono neanche riuscita a trovare l’opera di Yoko Ono (dov’era dio mio?) premio alla carriera con John Baldessarri.
Molto divertenti le opere di Andrè Cadere. Esso lascia dei bastoncini colorati appoggiati negli angoli. Una installazione che ha fatto nelle vie della sua città e che replica qui alla Biennale. Che senso ha? Non lo so, è come se l’arte si infiltrasse nella vita di tutti i giorni solo con un piccolo simulacro colorato, un bastoncino. I love it.
Molto spettacolare la grande installazione di Thomas Saraceno che ricostruisce con fili elastici la tela di una vedova nera. Si può attraversarla cercando di non rimanere impigliati.
Hans Peter Feldman realizza una bellissima scultura/installazione con alcuni carillon che girano e proiettano ombre sulla parete di fondo. Riflettendo quest’anno c’è anche una forte presenza di “ombre” nelle opere della Biennale.
Gilbert and George presentano un’opera super minimalista (d’altra parte già avevano loro dedicato un’ampia sala tre edizioni fa, mi pare). Una foto intitolata “We are only human sculpture”, ehm come dire ce n’eravamo accorti…
Simon Starling presenta un video dedicato ai processi industriali, il “ritratto di un’azienda”.
Diverse installazioni site specific di George Adeagbo con ritagli di vecchi giornali che mi sono sembrate terribilmente fuori tempo, sono cose che si vedevano decine di anni fa.
Alcuni bei disegni in lapis di Toba Khedoori.
Una grande sala con enormi fiori di pongo di Nathalie Djurberg che ti fanno sentire un puffo. Francamente mi hanno lasciata abbastanza indifferente, ancora una volta si torna all’infanzia.
Infine vorrei spende due parole sulla scelta di inserire anche alcuni disegni di Gordon Matta Clark. Matta Clark è stato un artista molto importante negli anni ’70 (è morto nel 1978). Il suo lavoro si caratterizzava per interventi architettonici in case diroccate nelle periferie delle grandi città americane. E’ famoso per il suo "taglio di edifici", una serie di lavori eseguiti su edifici abbandonati nei quali rimosse artisticamente sezioni di pavimenti, soffitti, e muri. E’ stato eccezionale, un artista avanti di decenni. Io mi chiedo che senso ha proporre alcuni disegni? E’ un artista che avrebbe meritato ben altro spazio e considerazione e magari anche un premio alla carriera (voglio dire se l’hanno dato a Yoko Ono…).
ALLESTIMENTO
Quest’anno l’allestimento è stato molto curato, forse più di sempre. Il ristorante di Tobias Rehberger, il book shop di Rirkrit Tiravanija e lo spazio educational di Massimo Bartolini sono spazi molto belli e funzionali. Complimenti, davvero un ottimo lavoro.
EVENTI COLLATERALI
Sono molti e probabilmente alcuni anche di buona qualità, se fate in tempo non perdetevi punta della dogana con la collezione di Pinault con la statua del ragazzino con la rana che ha dato tanto fastidio ai giornali (Boy with Frog di Charles Ray).