lunedì, 31/08/2009

L’indie italiano e il trattamento Frangetta

Pop Topoi (già citato a suo tempo per il memorabile, cattivvissimo, post sulla sfaccettatissima Syria) sottopone l’indie italiano al trattamento Frangetta.

Un paio di buone idee ci sono, ma ci si fa l’impressione che la scena indie sia tutta composta da lettori di questo blog (che infatti è citato): fan dei Lego, di Mad Men e di Gossip Girl. Per vostra fortuna la realtà è un po’ diversa.

 

sabato, 29/08/2009

Shoes for the indie-rocker

Oh No Oh My: le Nike SB Blazer Elite Sub Pop. Nike??

[bruttine, peraltro]

 

venerdì, 28/08/2009

Arte contemporanea where are you? Piccola review sui siti d’arte

di



“If I had a world of my own, everything would be nonsense. Nothing would be what it is because everything would be what it isn’t. And contrary-wise; what it is it wouldn’t be, and what it wouldn’t be, it would. You see?”
Alice in Wonderland

Nel 1874 a Parigi nel salone del fotografo Nadar alcuni artisti “indipendenti” esposero le proprie opere. Il desiderio era quello di bruciare i ponti con il passato e aprire la via ad una nuova ricerca artistica. I nomi erano quelli di Monet, Renoir, Degas, Cézanne, Pissarro, Sisley. A questa mostra ne seguirono altre negli anni successivi sempre suscitando le reazioni scandalizzate della critica ufficiale e del pubblico cosiddetto benpensante. I pittori sopra citati avevano stili e idee anche molto diverse gli uni agli altri, ma comune era l’intento di chiudere con l’arte “accademica”. Era la prima volta che alcuni artisti rifiutavano volontariamente di essere collocati nei luoghi tradizionalmente dedicati all’arte.
Nell’epoca in cui mi trovo a vivere e a studiare l’arte è sempre più palpabile la sensazione che l’arte contemporanea sempre meno trovi casa nei musei e nelle chiese. L’arte contemporanea non è mai stata così complicata, sfuggente, è un’arte che bisogna letteralmente andarsi a cercare spesso fuori dai grandi circuiti, nelle piccole gallerie, negli happening, ma anche per le strade, oppure setacciando le numerose biennali con grande attenzione. Significativo in questo senso è il successo di un artista come Banksy, che ha iniziato la propria “carriera artistica” come writer per le strade di Londra e poi con piccole ed innocue azioni terroristiche ha cominciato ad appendere i propri quadri nei musei senza che mai nessuno riuscisse a catturarlo. Una sorta di moderno Lupin al contrario che non porta via quadri dai musei ma che ne porta di nuovi, che impone in modo scherzosamente violento la propria arte al “museo”.
Potrei citare anche il caso di Blu che dopo essere stato cacciato da Milano, è stato invitato ad esporre alla Tate Gallery di Londra, senza timore, questa volta, che i propri graffiti possano essere ricoperti da tristi pennellate grigie. Oppure Rirkrit Tiravanjia il quale come forma d’arte cucina pranzi e cene ad invita il pubblico a sedersi e chiacchierare mentre assaggia il suo cibo. O ancora Cai Guo-Quiang che crea esplosioni di fuochi d’artificio nel cielo, visioni che durano il tempo di un battito di ciglia.
Sono tutti esempi di come l’artista contemporaneo si trovi sempre più spesso a suo agio in ambienti in cui è libero di sperimentare senza limiti. Dunque potremmo affermare che l’arte contemporanea ama luoghi non convenzionali.

Ecco alcuni siti assolutamente di primo piano per chi volesse entrare nel crazy word dell’arte contemporanea:

Acidolatte


Today and Tomorrow

But does it float

Le immagini galleggiano nel web con tutta la loro violenza e immediatezza, sembra davvero che la critica sia così obsoleta.

venerdì, 28/08/2009

E sempre per la serie ‘librerie belle che tengono tre libri’

[fotografata da Andrea a Porta Romana, Milano. Grazie]

 

giovedì, 27/08/2009

Il vostro incubo peggiore

di


Ok, lo so che detta da me fa un po’ ridere, ma vi prego, seguitemi:

– da una parte abbiamo il Film4 FrightFest di Londra, uno dei festival horror più prestigiosi a livello mondiale, quest’anno alla sua decima gloriosa edizione. Una di quelle cose rare che uniscono un programma coi controcoglioni, ospiti prestigiosi (un nome a caso: John Landis), e una vera e commovente passione old school grazie alla quale vedi ancora gli organizzatori in persona passare il tempo a chiedere agli spettatori in coda se sta andando tutto bene. Beat that, Marco Müller.

– dall’altra abbiamo quella banda di deficienti dei 400 calci, che hanno mandato in missione al FrightFest nientemeno che Nanni Cobretti in persona, il quale si sacrificherà al diabolico altare del 2.0 per farvi la cronaca minuto per minuto su Twitter di tutta la faccenda. Una vera e propria missione d’assalto. E ha promesso instant-reviews, inside-scoops, dvd-quotes, easter-eggs e qualsiasi altro termine inglese figo vi possa venire in mente. Anche un botta e risposta con @aplusk e @THE_REAL_SHAQ.

Detto questo, io vi consiglio di seguirlo, e non solo perché tutti sanno che mi vanto di essere amico di Nanni Cobretti.
Da stasera alle 19 a lunedì alle 24 circa, su @i400calci.
Nel caso, insultate direttamente lui che con Twitter si può (non è meraviglioso?).

giovedì, 27/08/2009

Non mi divertivo così tanto dai tempi di Eliza

Una volta c’era Eliza.

Ora i tempi sono cambiati, e ci dobbiamo accontentare di Anna, la commessa virtuale dell’IKEA scoperta grazie alla segnalazione di Personalità Confusa su FriendFeed. Eccellente per le serate solitarie, gli esperimenti di Intelligenza Artificiale e i consigli su come arredare il salotto.

 

 

mercoledì, 26/08/2009

Trip a 8 bit

8 bit trip.

Ingredienti: musica a 8 bit, videogiochi vintage, un sacco di lego. Il videocilp del futuro, anzi, del retrofuturo.

 

martedì, 25/08/2009

L’esordio dell’anno?

Se la difficoltà nel parlare di un disco spesso è una conferma della sua qualità (e per me di solito lo è), il disco di esordio dei The XX è davvero un grande disco.

Uscito qualche giorno fa per Young Turks Records (ma dietro ci sono pure colossi come XL e Rough Trade), il quasi omonimo esordio del giovanissimo quartetto londinese (tutti diciannovenni) ha ricevuto recensioni stellari praticamente ovunque, forse proprio perchè è estremamente difficile da descrivere e da catalogare.

 

Pressochè inutile descriverne il genere (c’è della new wave, ma anche trip-hop, qualcosa di certo folk intimista ma atmosfere tipiche del dream pop, strutture a modo loro shoegazer ma in qualche caso si rischia di sfiorare tangenzialmente persino l’r’n’b, e c’è anche chi parla di dubstep, ma menzionando anche i primi Cure), molto difficile paragonarli ad altre band, e un esercizio di stile inutile la descrizione del loro sound.

 

Potrei dirvi che suonano una musica straordinariamente notturna, pulita e clinica ma non per questo fredda, percorsa da una tensione palpabile che ora crepita ora si distende, seducente e sofisticata ma per nulla falsa e patinata.

Potrei dirvi che le loro canzoni sono fatte di giri di basso scavati come roccia carsica, melodie in punta di chitarra che li rincorrono, ritmiche sintetiche ma legnose come quelle di una batteria vera, e due voci (una maschile, l’altra femminile) che cantano insieme senza però mai compiacersene.

 

Ma a cosa servirebbe?

Si tratta di un disco fatto di vuoti, in cui è molto più facile apprezzare quello che non c’è perchè fa risaltare quello che c’è. Un esordio quasi perfetto.

[The XX suoneranno sabato 17 Ottobre al Covo. Bel colpo.]

 

 

 

 

The XX – Basic Space (MP3)

The XX – Islands (MP3)

 

lunedì, 24/08/2009

Two weeks (later)

Sono tornato (cosa che a quanto pare non si può dire della quasi totalità delle altre persone che scrivono su queste pagine. Ci siete?). Sto smaltendo i più di 2000 feed accumulati durante la mia assenza online, trascorsa insieme ad alcuni dei miei più cari amici a grigliare pesce, bere grappa Šljìvovica, leggere La versione di Barney e urlare «Djnosaura Pepa!».

Mentre mi metto in pari col resto della rete, supero lo shock del ritorno al lavoro, recupero la season premiére di Mad Men e il preAir di Dexter e comincio a farmi una scaletta mentale dei concerti dei prossimi mesi (che per ora non sono niente male) per voi ecco l’ennesimo fan video per Two weeks dei Grizzly Bear (firmato Gabe Askew), che a guardarlo mi fa sentire, almeno un pochino, ancora in vacanza.

 

 

sabato, 15/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto (Quarta e ultima parte, con finale tragico)

“Sai cosa sembri quando fai così?”
“Un fottuto uomo pieno di buon senso, ecco cosa sembro.”

(Prologo)

(Struttura)

(Teoria e pratica)

Quest’anno ho spesso sentito prendere in giro i dialoghi di Twilight, e a ragione, forse.
Una battuta come “this is the skin of a killer” è una battuta profondamente kitsch, una battuta scritta per eccellenza, magari bellissima se arriva in un determinato momento nella vita di un personaggio di carta. E che se la metti in bocca a qualcuno su uno schermo nove volte su dieci si sgonfia. (1)
Ora, invito i detrattori di this is the skin of a killeeeeeer! a mettersi davanti ai dialoghi tra Logan e l’indiana, o a quelli tra Logan e Liev Schreiber – Fratello Cattivo, o ai monologhi patriottardi con cui Danny Huston cerca di tenere stretto il guinzaglio a entrambi.
Vi sembrano:
a. un gioco sugli stereotipi, come certe puntate di “True Blood”;
b. il tentativo di produrre un clima volutamente straniante;
c. il frutto di un Final Draft che non afferra la lingua umana e quindi traduce tutto a catchphrase e battute solenni ma generiche, tanto che non ci starebbe male un “… this is Sparta, and that’s how we roll dawg” ? (2)

Ovvio che se poi tutti parlano allo stesso modo (quello) anche il senso ultimo della loro presenza vada a farsi benedire. Anche le azioni diventano intercambiabili. Niente causa/effetto, ma nemmeno niente WTF? pseudo-liberatorio, alla Ghost Rider, perché esiste comunque una struttura da “prima vai qui, poi torna là”, per quanto mal congegnata (leggi: stupidissima e complicatissima insieme).
Il caso più macro: per il 90% del tempo il fratello vuole ammazzare Logan, lo insegue in tutto il mondo, organizza dei tranelli machiavellici, poi a cinque minuti dalla fine cambia idea e lo salva. Lo salva da un pupazzone digitale, però lo salva. (3) Ditemi perché. Un punto di svolta così grosso non può non esistere. Devo essermelo perso io, per forza. Non è possibile che sia bastato quel nanosecondo di ops, mi sa che La Legge sta fregando pure a me – pacina pacetta?. Specie dopo il ritorno in scena di un personaggio ucciso a metà film, con annesso Flashback Esposizione e voce off che scandisce “mi è stata iniettata una sostanza in grado di provocare la morte apparente”.
(Spoiler alert: Logan, va bene che non sei mai stato un fulmine, ma così? Intendo, mille anni da soldato mutante con un fratello mutante sempre in mezzo ad altri mutanti e non te ne eri accorto? “Sospensione dell’incredulità” non fa rima con “circonvenzione di incapace”. Naturale, in una storia più avvincente ci saremmo tutti passati sopra. La trappola sarebbe scattata. Ma dato che qui l’unico fattore motivazionale fa rima con “amica”, e sono tre film che ce la menano con te che sei un animale ma in fondo hai i sentimenti? Sparisci, tronco.)
(Che poi, chiaro, io sono una canaglia che di fronte a scene quali “lui chiude gli occhi del suo amore morto” comincia a canticchiare Dust In The Wind. Però, come dire, ci sono volte in cui lo faccio mentalmente e ci sono volte in cui lo faccio a voce alta. Meno male che l’avevi scaricato, direte voi. Giusto. Non ho disturbato nessuno. Dato che l’ultima persona ad aver ammesso di aver scaricato la  copia lavoro di questo film è stata licenziata, e lavorava per la Fox, confido che sarete voi a spedirmi le arance quando andrò in SVEZIA.)
Ecco, la cosa che non sono mai riuscita a mandare giù di tutti gli X-Men al cinema è questo insostenibile tono I am serious man / this is serious business, che non dico faccia rimpiangere i Batman di Schumacher ma quanto meno costringe a riflettere sul divario (qui un baratro) tra ambizioni e soluzioni.
Il lato positivo è quando poi scrivi tu ci stai un pelo più attento. Magra consolazione, oh. Se era questione di apprendimento, potevo apprendere dal buon esempio. Non sono un animale.
E al di là del monumentale odio per la razza umana che il vostro film ha suscitato in me, un risultato piccolo ma essenziale non l’avete portato a casa.
Sono ancora viva.

Conclusioni.
a. E’ tutto molto divertente finché qualcuno non si cava un occhio.
b. L’ingrediente segreto è l’amore.
c. Ryan Reynolds o ricomincia a spogliarsi o si dedica agli hobbies, che di scherzi così gliene si abbuona uno al decennio.
d. L’unica possibile ragione per cui il brutto siderale a volte ha senso è farci venire una botta di autostima. Il lettore scelga se regnare all’Inferno è davvero meglio che servire in Paradiso.

Entro l’estate 2010 Violetta Bellocchio finirà il suo secondo romanzo. Dopo di che si dedicherà agli hobbies.

1. Se poi la metti in bocca a Edward Cullen con ogni probabilità determina il punto di non ritorno dello sghignazzo, un po’ come il “non sono le mie sferzate che temono” di 300.
2. Copyright @ Morgenstern.
3. Però ne approfitta per dare voce a quello che tutti pensano a quel punto, cioè “se qualcuno ti ammazza sono io”. And that’s how we roll dawg.

venerdì, 14/08/2009

5 cose su Lady Gaga che probabilmente non sapete

Fino a qualche mese fa non l’avrei mai detto, ma a questo punto è abbastanza evidente: Lady Gaga è il personaggio pop dell’anno.

Ecco 5 cose che probabilmente non sapete di lei:

 

 

1. Pare che solitamente non indossi le mutande.

 

2. Lady Gaga è in realtà un fantoccio nelle mani dell’Ordine occulto degli Illuminati, come è chiaro dal suo look e dal simbolismo associato (analisi dettagliata su The Vigilant Citizen, memorabile sito cospirazionista che vi consiglio).

 

3. Il suo stile è un completo plagio di quello di Roisin Murphy, già cantante dei Moloko. (se n’è lamentata lei stessa).

 

4. Online c’è un completo video tutorial per conciarvi come lei nel video di Poker Face.

 

5. Voci insistenti dicono che in realtà sia un’ermafrodita.

 

 

Con in giro gossip del genere è chiaro che ha già vinto.

 

 

Orba squara – Poker face (Lady Gaga cover) (MP3)

[splendida]

 

venerdì, 14/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto. (Terza parte: teoria e pratica.)

(Prologo)

(Struttura)

E fin qui, ci siamo lasciati guidare dal LOAL.
Il problema però non sta nel fatto che un film come Wolverine sia facilmente derisibile. Sta lì apposta, in un certo senso.
Il problema sta nel vuoto teorico che lo circonda.
Un vuoto che va a toccare questo tipo di progetto in particolare. Nessuno cerca di giustificare l’esistenza di La Meglio Gioventù da una prospettiva di centro-destra utilizzando strumenti teorici: al massimo lo si etichetta come un guilty pleasure, o si tirano in ballo argomenti molto personali (“che bella colonna sonora”). Non so bene come siano andando le cose in altri campi – musicale, letterario, teatrale. (Ditemelo voi. Sul serio, mi piacerebbe saperne di più.) Per quanto posso vedere, attorno all’intrattenimento per immagini si è creato un buco nero, tanto più spaventoso quanto più quell’intrattenimento è ovunque. O ci limitiamo a trattarlo con il solito taglio costumoso (quorum nos, quando lavoravo di più per i femminili), oppure finiamo a parare nel “la merce per sua stessa natura deve essere insoddisfacente eccetera”. Così poi quando persone per altri versi stimabili scrivono “ZOMG, Michael Bay è l’ultimo vero Autore del cinema americano” (1)  non solo nessuno guida una processione verso casa loro con torcia e forcone (2) ma ci sarà, per forza, qualcuno che li prenderà sul serio, e che di fronte al tuo più bonario ma magari anche un po’ sticazzi scusa ti accuserà di volerlo censurare, come I NAZISTI.
No.
Abbiamo tutti bisogno di modelli. E’ chiaro. La presenza di un modello ci spinge a migliorare, e, se siamo fortunati, a trovare una strada più autentica.
Ma esiste uno studioso come David Bordwell, che usa il suo blog come scatolone di sabbia dove abbozzare (con smalto già notevole) i futuri lavori accademici, ed esiste… cosa ?

Esempio. Quando in preda al masochismo giovanile guardavo Cruel Intentions, non ce ne ricavavo nulla tranne il piacere della conferma (“è proprio brutto come dicono”). Poi però trovavo Alberto Pezzotta (3) che ne parlava su Linus, e diceva cose interessanti sull’uso della colonna sonora in questi brutti film, e allora capivo che, sì, pompare trasgressione e ritorno all’ordine con la stessa musica non era mai una gran pensata, a meno che dietro non ci fosse una precisa scelta stilistica (fidatevi, è raro). E questi semini di buon senso applicato alle immagini me li sono portati dietro fino a qui. Bella per me.
Adesso però chi glielo spiega, a quelli che si sono fatti piacere Wolverine, che un utilizzo dei materiali simile è uno sputo in faccia alla narrazione? Che non si può imbastire una storia delle origini – perché Le Origini, come le fiabe, sono roba appassionante e molto reale – e pretendere di riassumere tutto in “mutanti che esistono e fanno cose”?
C’è un nesso. Per forza.
A narrazione di merda, critica di merda.
La pochezza è tale che viene la tentazione di rifugiarsi sul versante recensione degli abiti indossati dagli attori e/o quante volte (se) i suddetti attori mostrano chiappe e toraci. Un modo di affrontare il testo che il blogger Ohdaesu chiamava “carrellata di giudizi estetici aspesiani” e altri chiamano “dannunzianesimo”. Per capirci, quello che succede quando aprite un quotidiano nazionale cercando di capire cosa succede a Cannes o Berlino e ci trovate solo descrizioni di amplessi con molti gemiti. (4)
Il dannunzianesimo non giova a nessuno, e, va da sé, non genera figli normali.

Certo però che: Dominic Monaghan ha un abbozzo di superpotere e mezzo momento recitativo ma muore subito (fuori campo, mi sa con una lampadina in bocca); il giappo lavora di sopracciglio inarcato manco fossimo in un porno con ammazzamenti (non ho voglia di andare a cercare su IMdB chi sia l’attore, probabilmente una superstar coreana pagata a noccioline); Danny Huston somiglia sempre più a Vincent D’Onofrio e anche lui qui a tratti attacca delle faccine devastanti, a proposito, regista premio Oscar per Il suo nome è Tsotsi, gli attori magari dirigili, ti avranno assunto per qualcosa, e invece le scene d’azione sono orrende E gli attori vanno ognuno per conto loro, MA non è che andando ognuno per conto loro producono quel senso di WTF? complessivo che può anche risultare liberatorio, post-cinema lo chiamano, come quando per fare un film su una rapina in banca prendono il rapper del momento e gli dicono apra la bocca signo’ e lui butta lì un paio di yo homie e poi torna nella sua roulotte a progettare la distruzione delle isole Fiji, nel frattempo prendono anche un attore di “Lost”, un francese di quelli che si buttano dai palazzi, una mezza celebrità degli anni Ottanta Novanta e una giappa bona, li chiudono ciascuno nella sua roulotte e li tirano fuori uno alla volta solo quando c’è da girare i primi piani separati di loro che fanno le faccine [non so se avete visto Tropic Thunder, però immaginatevi una versione super-impettita del film che stanno girando i protagonisti nella giungla, dategli la patina di uno straight to DVD ungherese e avrete il film che vi sto raccontando, e che, ve lo giuro, cammina tra noi], ecco, qui c’è un andazzo tristissimo di minimo sindacale da tutte le parti, namo dotto’ oggi amo fatto presto, e poi voglio vederlo il classically trained actor slash director Liev Schreiber a tornare a casa da Naomi Watts di nuovo incinta e razionalizzare la sua vita fino a quel punto. Com’è andata oggi? Mah, son stato tutto il tempo a ripetere “ooh, shiny” davanti a un bluescreen. Mi stanno venendo come dei leggerissimi dubbi sul progetto. (Naomi si poggia le mani sulle reni. Oh, Liev. Sei sempre il solito baluba.) E hai voglia a recitare quando stai lì con il sudafricano più scasso in città, giuro, ti capisco. Oh guarda, un blue screen per terra. Namo dotto’ er cosmo è pronto. L’avanzo di serie televisiva per fratelli incestuosi dell’Oklahoma che fa Gambit almeno non parla con l’ascento franscése tuto così, ma, come dice il collega Nanni Cobretti, “dal film ho solo capito che il suo superpotere è mischiare le carte molto bene”. Mio padre dopo aver visto The Prestige è tornato a casa e ha detto uno con quella faccia può fare solo il Lord o il deputato, e aveva ragione, perciò prendiamo Hugh Jackman e cancelliamolo tutti dal nostro nervo ottico, ADESSO. Che a confronto la trilogia era un capolavoro di mezzi toni, e si vede tantissimo che si è rotto il cazzo, anche se è lui che co-produce questa roba. Kris Kristofferson ha zoppicato attraverso tre Blade tre e ha fatto una figura molto più dignitosa. Just sayin’, son. E mi piacerebbe sapere, ma proprio giusto per sapere, quali chiodi avevano in mano quelli che hanno crocifisso Terminator: Salvation, che tra parentesi aveva un production design decente, scoppiava roba di continuo e se non altro ti restavano impressi i cappotti.

Ci sarebbe anche da parlare di Deadpool, ma fa troppo ridere.

[Seguiva qui un lungo excursus sul mio orientamento sessuale, espunto perché uno, come esempio pedagogico di dannunzianesimo basta e avanza il pezzo qui sopra, due, il mio orientamento sessuale non interessa a nessuno e, tre, è comunque meno rilevante rispetto a quello di Deadpool. E non tocco l’argomento con un bastone di sei metri.
Termina il ricreativo, principia il culturale.]

Ci sono persone che hanno ricevuto La Chiamata per questo progetto.
Se è per questo, ci sono persone che non parlano dei loro sentimenti perché li hanno più profondi degli altri, e persone che non parlano perché dentro non c’hanno niente. (5)
Mi sfugge l’allure di David Benioff come sceneggiatore (Troy più Stay uguale Benzina ti presento Fiammifero) e già vedere il nome “Skip Woods” nei titoli non era stato un bel momento. Però poi è un falso problema. L’avranno anche firmato loro due, ma ci sarebbe da capire quante decine di mani abbiano strapazzato questo copione, quanti produttori associati abbiano chiesto o imposto “giusto una spuntatina”, quante professionalità abbiano contribuito a plasmare questo tragico figlio di nessuno, questo fratello leso da vestire a festa e portare controvoglia alle cene di famiglia (cit.), che se gli togli tutti i punti in cui Wolverine tira fuori gli artigli, li guarda basito / intenso / spavaldo e li ritira dentro resti con un minutaggio da pubblicità contro gli incidenti stradali. (6) Allora sì, se si tratta di allungare la zuppa buttiamoci dentro un grande obeso e il negro dei Black Eyed Peas come alleggerimento – naturalmente gestito con una mano di amianto, ma non è questo il punto: hai talmente poca fiducia nella storia che stai raccontando (e talmente tanto odio per chi la sta guardando) che ci devi inserire dei siparietti comici inopinati dopo un’ora e rotti? Per giunta con dei tagli di inquadratura e montaggio equivalenti a uno che ti racconta una barzelletta interrompendosi a ogni battuta e dicendo “eh? eh? niente male, eh?”. (7)
Giusto. Parliamo del montaggio.
Il montatore è il secondo padre di un film, e questo film ha avuto un’infanzia dickensiana. E’ impossibile montare così male a meno che il girato non sia stato predisposto in funzione di un montaggio simile, come accade. In quanti casi il regista non entra nemmeno in sala di montaggio? In tanti. Ci entra un delegato della produzione, ecco chi. Ma non è nemmeno possibile che la dipendenza da sedativi per animali di grossa taglia del poraccio di turno sia passata inosservata a chi doveva vegliare sul progetto. (8)
E allora perché questa roba esiste? Perché, come può capitare solo alla roba clinicamente dozzinale, perché si muove e sente e pensa e respira e pretende?
E soprattutto, cosa vuole da me?

(continua)

1. A volte senza ZOMG, ma abusando di termini come “aporia visiva”. Ragazzi, la vita è dura.
2. Se vi riconoscete nella descrizione appena letta, questa sono io che mi nascondo dietro il fienile.
3. Persona con cui poi ho avuto la fortuna di lavorare, e che mi ha quasi sicuramente salvato da una pessima fine. Se non potete averlo come collega, supervisore, insegnante o vicino di casa, potete sempre leggerlo. Fatelo. Per piacere.
4. Argomento che, al di là dei singoli casi, basterebbe a determinare l’attuale superiorità dei cineblogger sulla critica istituzionale. Almeno i film loro li vedono.
5. Questa la capiamo in tre, per cui facciamoci un giro di pacche sulla spalla a vicenda. Fingeremo di non riconoscerci quando ci rivedremo nell’aldilà.
6. La terza volta credo di aver pensato “cos’è, un’installazione?”. Poi mi sono messa a ridere.
7. David Benioff, ti sto guardando mentre faccio il gesto di Mystic River. Scusa se isolo te dal mucchio, ma dopo tutto la firma ce l’hai lasciata, no? Mica sarà sempre colpa di Paul Haggis.
8. E che invece in sottofondo urlava “più tortura! più tortura! ah ah ah ah ah!”.

giovedì, 13/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto. (Seconda parte: struttura)


 

 

(Prologo)


Considerazioni preliminari:
La pura esistenza di questo film così com’è adesso è un atto di schadenfreude talmente potente che, in un altro momento, avremmo visto le fiamme inghiottire la 20th Century Fox e ardere nella notte come pozzi di catrame all’inferno.

Considerazioni preliminari /2:
Se Wolverine fosse uscito prima di Hot Fuzz, di sicuro in Hot Fuzz ci sarebbe stata una scena in cui Nick Frost chiedeva a Simon Pegg “have you ever held a dead body in your arms and gone aaaaaaaah?”.

Soltanto un anno fa c’era Iron Man.
Sarebbe a dire, un prodotto di successo che è piaciuto a più tipologie di pubblico – gli appassionati del fumetto, i visitatori casuali del multisala da sabato sera, gli estimatori di Robert Downey Jr., il mio amico Stefanino – grazie a una buona idea a cui era agganciato tutto il resto. Nel caso specifico, “uomo di quarant’anni subisce radicale cambiamento: cercherà di capire come far funzionare la roba nuova nel contesto della roba vecchia”. Un’idea abbastanza semplice e abbastanza precisa attorno a cui ruotavano personaggi, situazioni eccetera, ciascuno declinato in modo un po’ diverso per amor di varietà. Un sistema non troppo lontano da quello che, applicato al minimalismo, Tom Spanbauer chiamava “i cavalli”: la spia tematico-lessicale che accompagna il plot, “la diligenza”, dal punto A al punto Z.
Dicesi invece “fase pilota” quel micidiale ritmo establishing shot / primi piani / arriva qualcuno / esposizione pezzo trama / primi piani con i personaggi che fanno le faccine / establishing shot, ritmo tipico delle primissime fasi di una sceneggiatura, sia che si tratti di una puntata di una soap opera (e allora a volte resta così fino alla fine) sia di un film con maggiori ambizioni ma ancora parecchio al di là della scioltezza necessaria per entrare in produzione.
Un’ora e quarantacinque inchiodati alla fase pilota in cambio di tre minuti di Ryan Reynolds che spara cazzate a raffica (1) e Liev Schreiber che dice “funny, Wade, I didn’t think you liked girls” non sono un cambio accettabile.
Buttano benzina sul fuoco di mezzi spunti totalmente estranei all’opera, magari di roba mia, magari persino di roba sessuale mia, ma non c’entra. (2)
Questo detto da una che, senza motivazioni plausibili, si è inoculata (tra gli altri) Nicolas Cage astrofisico al M.I.T., La Meglio Gioventù da una prospettiva di centro-destra, Gesù e Predator tra i Vichinghi, Risparmiatevi la fatica che lui non torna e un’intera stagione di “Ashes to Ashes”. Conosco e comprendo l’attrazione per l’insoddisfacente. Se non fosse così, non avrei infilato tanto spesso la testa nelle fauci del leone. E non avrei mai noleggiato Overnight. (3)
Sul serio, adesso. Non ho alcun problema con il contenitore. Né con la definizione del giorno per etichettare un testo “altro”: prequel, AU, reboot, re-imagining, eccetera. Credo sinceramente che facciano bene alla fantasia. Soprattutto di chi all’inizio ci ha pensato un po’ sopra. Perché i risultati – il contenuto è un discorso diverso.
Per dirla con il Dogma Italico (vado a memoria), “non organizzo un concerto per chitarra classica se so suonare solo La canzone del sole, e pure male”. (4)
Ecco, la cosa divertente – l’unica – in un film simile è il retrogusto guardami guardami sto fregando la legge, perché dubito che una drammaturgia di bruttezza siderale sarebbe stata riscattata o compensata dal vedersi il prodottino finitino ripassato bene bene bene, e quantomeno così c’erano gli omini disegnati come sulle porte dei bagni che venivano sbatacchiati dai camion in transito e Ryan Reynolds attaccato ai fili, e quando ti ricapita, scusa. Io Ryan Reynolds attaccato coi fili al soffitto del tinello che spara cazzate non ce l’ho avuto mai. Forse nei paesi civili una volta all’anno lo Stato te lo passa. In SVEZIA, ad esempio.
Scusate, non lo faccio più. Torniamo a bomba.

Prendiamo la mostruosa parte con Logan e l’indiana in Canada (anche nota come “I’m a lumberjack and I’m ok”), giustamente sbeffeggiata da tutti, e a quella sono arrivata almeno preparata, ma non al fatto che lo stesso modulo si ripresentasse paro paro un quarto d’oretta dopo con i due vecchi e il fienile (5). Che se già di per sé la manfrina ehi lo sai figliolo tu non sei un animale anche se hai un aspetto diverso dal mio ma tanto in fondo siamo tutti figli di Diaaaaaaaaaah (muore) è un mezzuccio che andava messo fuori legge ieri, sbatterla due volte nello stesso film è una mancanza di rispetto atroce, atomica, annichilente nei confronti di chi guarda.

Stesso discorso per la caratterizzazione: se l’eroe è la parte più impari di un progetto simile (6), parteggiare per un cattivo che va avanti a suon di sguardi matti e denti aguzzi è come guardare Hulk 2 perché c’è Tim Roth (non mi avrete). E non sto facendo un discorso specifico sul fumetto di partenza, la cui continuity avrebbe fatto scoppiare la testa anche a gente migliore. E’ proprio la pessima abitudine che va per la maggiore negli adattamenti oggi: si prendono dei frammenti sul genere “solo parti originali”, li si infila più o meno a caso in una struttura rozza e ripetitiva e si pretende che lo spettatore in the know sia appagato da un paio di strizzate d’occhio. (Vedi la battuta che citavo all’inizio.) Ribellatevi, cazzo. Siete nerd? Usatela, la nerditudine. Non date più una lira a questa gente. (7) Non vi amano, non vi rispettano, non hanno a cuore i vostri interessi o la vostra felicità, non tengono bassa la voce quando vi chiamano “fissati”. Vi odiano.
Per inciso, non sappiamo nemmeno se un adattamento “molto fedele” degli stessi testi sarebbe stata la scelta giusta, date le condizioni. A me piacciono i libri di Harry Potter. Li ho letti con allegria. Questo non significa che i film tratti da quei libri non siano via via arretrati fino a ricordare un’accozzaglia di money shot tenuti insieme da rappezzi pesantissimi e personaggi che fanno le faccine. E lì la responsabilità è di chi, sfogliando un fascio di documenti, ha detto “ah però, visto che questi film incassano fiumi di denaro lo stesso, facciamoli BRUTTI”. (Poi è andato a rimuovere le minorenni thailandesi morte dalla roulotte di Tony Macello. Credo.)
Ma qui? Qui di chi è la responsabilità?

(continua)

 

1. Cosa desiderabilissima in ogni circostanza esuli dalla saga di Blade.
2. Il fanon va a correggere o integrare quanto è percepito come “suscettibile di miglioramento”, e magari lo fa in modo talmente incisivo (o prende talmente piede) che diventa parte del discorso. Va tutto bene, però farsi piacere un film fermo alla Fase Pilota solo per poter speculare sui gusti sessuali di un supereroe è un po’ come dire “mio marito mi ha spaccato i denti per vent’anni, però una volta mi ha portato un mazzo di fiori”.
3. Tempo speso bene, quest’ultimo, perché così in aereo non resto mai a corto di argomenti.
4. La collega Dolores Point Five mi ha confermato che, se ha accantonato il progetto “L’albero dei valori morali di Fast and Furious”, è perché non ha mai imparato a usare Excel. Per dire.
5. Santissimo Dio, perché non mi avete avvisato? Perché?
6. Innanzitutto va dimostrato, poi ne riparliamo nell’ultima parte.
7. E non scaricate questi film, da cui il titolo del triste apologo morale sotto i vostri occhi. Altrimenti la mia morte sarà stata inutile.

mercoledì, 12/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto. (Un racconto di pura fantasia.)

Ormai, che scaricare significhi rubare l’abbiamo accettato praticamente tutti. Ma scarichiamo lo stesso. Ne abbiamo bisogno.

Perciò ognuno di noi, chi più chi meno, si costruisce la sua etica personale della situazione. Di solito ciò si traduce in una serie di domande a scelta sì/no, che vanno a formare un percorso, e alla fine di quel percorso c’è un dito su un tasto.
Ad esempio, forse voi vi chiedete sto rubando il pane di bocca a qualcuno (sì / no), pagherei anche solo mezzo centesimo per acquisire una copia legale (sì / no), mi dovrebbero pagare a me (sì / no), c’è possibilità che arrivi nel paese dove al momento abito (sì / no), c’è possibilità che vada in onda prima delle 02:00 di Ferragosto del 2015 (sì/no), ci sono già i sub (sì /no), la storia a cui sto lavorando potrebbe presentare punti di contatto con questa storia (sì /no), voglio aspettare di vederlo doppiato orribilmente senza rumori di fondo e proiettato in una sala dove c’è odore di puledro (sì / no). Giusto per citare le più comuni. (1)
Stando così le cose, scaricare una workprint è la cosa più scema si possa fare e il più sonoro schiaffo in bocca a un sistema vissuto come “corrotto”.
“Workprint” – copia lavoro – significa la versione provvisoria di un film: quella ancora suscettibile di aggiustamenti al montaggio, magari con suono o effetti speciali mancanti. (2) Nessuno dovrebbe vederla a parte chi ci sta lavorando sopra. Non è quello il suo scopo.
D’altro canto, anche quello che scelgo di vedere obbedisce a logiche non sempre chiare.
Ci sono cose di ovvio interesse, cose che appagano una curiosità, cose a cui bene o male un occhio ce lo si butta, cose da vedere in nome dell’affetto (presente o passato) per qualcuno che ci ha messo le mani, cose che ho visto perché sono stata pagata per farlo, e cose per cui a un certo punto ho pensato ehi, dovrei lavorare, ma sulla base della photo gallery credo che questo si qualifichi come “pausa estetica”.
E poi ci sono Gli Inspiegabili.
Magari sono pochini – sia come biglietti staccati sia come scaricamenti inopinati – però ci sono. Devono esserci. Fa parte del gioco.
Ora, la mia curiosità verso una copia lavoro è direttamente proporzionale al drama che la sua messa in rete ha suscitato.
Se Eli Roth non avesse frignato come una casalinga, non mi sarei mai sognata di depredarlo dei miei sette euro per Hostel 2 – anche perché, con ogni probabilità, non avrei mai visto il film. (3)  E aggiungiamoci pure che, per i bizzarri percorsi della vita, ho passato un anno a vedere film non finiti, capendo così che la qualità essenziale di qualcosa non dipende da un missaggio del suono preciso al mille per mille, e che se una casa di produzione col prodotto interno lordo di una piccola nazione in caso di leak attacca una sceneggiata a colpi di oh noes, per amor di Dio, aspettate di vederlo in sala, siamo indietro con gli effetti, non si interrompe così un’emozione, la pirateria ammazza il cinema, non fate piangere San Luigi, questo significa, senza ombra di dubbio e a prescindere dal contesto, che il film fa schifo.
Perciò ho scaricato la workprint di X-Men: Le Origini – Wolverine.
Ho poi naturalmente proceduto a ignorarla per quattro mesi, dando la precedenza a qualunque altra cosa, crogiolandomi nel pensiero che – ehi! – il film faceva schifo e tante brave persone in tutto il mondo l’avevano disprezzato, ma almeno non dovevo né pagare né uscire di casa per averne le prove. Se mai le avessi volute. E mentre il disco fisso mi guardava sussurrando apra la bocca signo’ io stringevo i denti. Il paradiso lo vogliamo in questa vita. (4)
Avanti veloci fino al sette agosto (venerdì), quando facendo pulizia sono andata a sbattere contro il classico dilemma del nerd. (5)
“Ok, abbiamo questo file, lo spostiamo dritto nel cestino dando retta al buon senso e a tutti i tuoi amici che con una sola eccezione (la quale poi non si capisce bene come è messa) hanno usato l’espressione  ‘brutto forte’, oppure ne guardiamo i primi 20’ tanto per essere sicuri?”
La risposta al dilemma è stata la più convenzionale.
Attorno al minuto 18’ arriva Ryan Reynolds che fa Deadpool. Lì ho capito che mi ero fottuta con le mie stesse mani.

[continua]

1. Io ci aggiungo “questo libro ha un prezzo tutto sommato ragionevole e mi arriverà entro due mesi (sì/no)”, ma sono in minoranza. Credo.
2. Oddio, c’è chi si spinge più in là: Rob Zombie nella copia lavoro di Halloween ha inserito un finale opposto a quello del montaggio finale, confermandosi l’indiscusso Re Del WTF.
3. E quindi non avrei mai versato calde lacrime nel vedere Heather Matarazzo appesa per i piedi. Per non parlare della bionda finita in mano a Ruggero Deodato. Come si dice, una storia a lieto fine.
4. Ogni tanto potrei anche aver picchiato un pugno sul tavolo.
5. Beh, io lo sono. Questa storia ne è la prova vivente.