giovedì, 24/02/2011

Push and store

Il Push and store cabinet è un pezzo di design interessante:

Chung-Tang Ho created a cabinet that changes shape during use, a solid volume that opens up when objects are stored within it. The cabinet is in fact a sculpture in the round you and your objects can participate in.

[Grazie a Ilaria]

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mercoledì, 23/02/2011

Emilia Romagna capitale dell’hip hop

No, non sto parlando dell'esperienza storica dei Sangue misto e neanche della nobiltà di strada di Inoki, e neppure del gangsta dell'ultima fila Trucebaldazzi: qualche giorno fa passando in macchina dalle parti di Zésena in radio mi sono imbattuto ne La Lova, il nuovo singolo di DJ Tamoil e DJ Bietola (alias i Rap di Romagna), e sono rimasto rapito.
Le citazioni citabili del testo sono troppe per poterle enumerare, le metafore sapienti e vivide e il ritratto della figa lessa standard quasi fotografico; il video poi è una delle cose più belle che io abbia mai visto e quando ho sentito il resto della discografia del duo (Voglio la patonza sorpassa a destra i primi 883, Andem a Marena è l'inno alla Beverly Hills locale che ci mancava) e ho visto che sono stati ospiti persino su Pomeriggio Cinque sono definitivamente diventato un fan. Romagnoli, perchè ce li avete tenuti nascosti?

 

 

martedì, 22/02/2011

Ringo e la Morte Nera

Hanno un nome che è un gioco di parole intraducibile tra il batterista dei Beatles e la gigantesca astronave dell'Impero di Guerre Stellari (la Death Star, in italiano tradotta come Morte nera). Suonano uno shoegaze da manuale, che ha lo stesso mix di ingenuità nichilista e incoscienza rumorosa che fu dei My Bloody Valentine e dei Jesus and Mary Chain, ma quando si aprono al pop si muovono dalle stesse parti dei Pains of being pure at heart (mentre quando si abbandonano alle derive psichedeliche possono assomigliare addirittura ai Black Angels).
Sono i Ringo Deathstarr, e se non vi spaventano i volumi alti e le chitarre deragliate, ho idea che vi piaceranno.
Suonano sabato al Covo di Bologna e domenica al Mattatoio di Carpi. Ci si vede là.

 

 

 

 

MP3  Ringo Deathstarr – So High

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lunedì, 21/02/2011

Player One e la denarrazione

Nell'ultimo romanzo di Douglas Coupland (che si chiama Player One ed è uscito in inglese da qualche mese; l'ho scoperto prima di Natale vedendolo sugli scaffali di una libreria londinese, cosa che fino a qualche anno fa non mi sarebbe mai successa, visto che facevo il countdown per le sue uscite) ci sono come al solito varie riflessioni in qualche modo meta-umane. Sono una delle cose che amo di più dei libri di quello che fino a qualche anno fa descrivevo senza esitazioni come il mio scrittore preferito (ora non saprei cosa rispondere), prima che la trama prenda il sopravvento e, negli ultimi libri, in qualche modo finisca per mandare tutto in vacca. C'è sempre qualche personaggio (spesso più di uno) che riflette sulla specificità degli esseri umani, su cosa li renda tali e su cosa ne muova le azioni; qualcosa che molto banalmente si potrebbe definire senso della vita, che però in Coupland appare come un concetto lontanissimo, completamente post-religioso, mistico in modo molto poco convenzionale e sempre più razionale che esistenziale.

 

Lo leggevo l'altra sera, in un'ora in cui mi ripeto sempre che farei bene ad essere già essere a letto, e la tesi, in qualche modo ovvia, è che una delle cose che ci rende umani è la tendenza (il desiderio, più che altro) a vedere le nostre vite come delle storie e delle narrazioni con una loro sequenzialità (a differenza di quanto succede agli altri animali, che vivono sempre e solo nell'hic et nunc), con corollario di concetti come 'tempo', 'ricordi', 'esperienza', 'futuro' alieni alle altre specie. La qual cosa naturalmente implica che siamo tanto più felici quanto più vediamo un senso e un progresso nella nostra storia, e che invece siamo tristi e smarriti (affetti da denarrazione, dice Coupland) se non riusciamo a vederne la strada. E' il tipo di cosa ovvia che ti sembra di avere sempre saputo, ma quando ci pensi ti rendi conto che no, in questi termini esatti forse non ci avevi mai pensato.

 

Io in passato davo poco peso a questa componente (uno dei primi sottotitoli del mio blog, in un'era preistorica in cui è improbabile che qualcuno di voi lo leggesse, era Se non sai dove stai andando, tutte le strade portano là), a causa probabilmente della segreta convinzione (ben nascosta da una robusta dose di cinismo) che la vita avrebbe continuato a riservarmi scoperte e sorprese esattamente come ha fatto tra i 16 e i 25 anni. Non c'è bisogno di dire che poco dopo il tempo ha cominciato a correre più veloce e più monotono, e che oggi molte cose, anche nuove, sembrano spesso già vecchie e scontate in partenza. Il sottotitolo del mio blog è cambiato varie volte in frasi sempre meno ottimiste, e se la vedo in termini couplandiani la mia vita da un po' di anni è una sequenza inorganica di esperienze, oggetti e riflessioni accumulate in modo famelico e assai poco lineare. Una storia che magari ogni tanto è interessante, ma che nella sua interezza è ormai quasi completamente priva di una direzione. Il tipo di storia che se la racconti, un po' ti annoi. Pensare di avere uno scopo con la S maiuscola è assurdo per qualunque persona con un minimo di spessore e curiosità, è ovvio. Ma un verso, una strada, una narrazione che sta andando da qualche parte anche solo vagamente definibile in questo momento mi appare come una cosa tutt'altro che indesiderabile.

Del resto è molto improbabile che scrivere queste cose su un blog avvicini anche solo di un millimetro il raggiungimento di una simile compiutezza. Oppure no?

 

 

Player One è il tredicesimo romanzo di Douglas Coupland, ed è bello. Non può essere bello come i primi (tutto è ormai troppo familiarmente couplandiano per colpire ancora come allora), ma non è deludente come molti degli ultimi. Non ho idea di quando (o se) verrà pubblicato in italiano. L'appendice terminologica Future legend (o A glossary of new terms for a messed up future) è ancora leggibile online qua. E, anche se non è nel libro, è consigliata anche la Radical pessimist's guide to the next 10 years.

venerdì, 18/02/2011

Se ti concentri ci senti anche il mare

Ignoravo che su Youtube ci fosse gente che 'suona' melodie di canzoni usando solo i toni della tastiera dei cellulare, ma ora che l'ho scoperto devo dire che sono incantato (c'è anche Losing my religion, ma fino al finale non gli somiglia granchè). A quando il primo disco sperimentale interamente suonato così?

giovedì, 17/02/2011

Tu mi fai girar Tu mi fai girar come fossi Sara Lov

Una bella cover, classica ma un po' western, cantata con una pronuncia italiana quasi perfetta, la voce splendida di sempre e un arrangiamento elegantissimo: con queste premesse è consentito cimentarsi anche con un pezzo talmente famoso da essere quasi intoccabile, ed è quello che ha fatto Sara Lov con La bambola di Patty Pravo. 

La nostra amata cantautrice californiana è infatti tornata con un nuovo album (I already love you, che in Italia esce per la storica Irma Records mentre nel resto del mondo è acquistabile online anche in modalità up to you), e in quale settimana dell'anno poteva uscire un disco che contiene una cover del genere se non nella settimana di Sanremo?

(sì, lo so: La bambola non è una canzone di Sanremo. Ma passatemela, dai)

Tra un paio di settimane Sara Lov farà un tour italiano che passa un po' ovunque. Non perdetevela.

[grazie a Claudio]

 

 

 

MP3  Sara Lov – La bambola (Patty Pravo cover)

mercoledì, 16/02/2011

Wikipedia for the win

 

Lo so che è sbagliato, lo so che dovrei scuotere la testa, lo so che dovrei pensare che scherzetti così infantili fanno ridere per un minuto e tolgono valore al più grande progetto collaborativo della rete. Lo so. Però la voce inglese di Wikipedia su Emilio Fede (finchè dura) mi fa ridere un sacco. Che ci volete fare.

[via Tommy su FB]

mercoledì, 16/02/2011

Perchè Impronte digitali è Impronte digitali

Nonostante da queste parti normalmente si frequentino abbastanza poco la musica leggera, la tv italiana e i talent show, è ormai tradizione fare una piccola eccezione per il Festival di Sanremo, perchè la spocchia è più bella se ogni tanto la ripieghi e la infili nell'armadio per qualche sera. E come d'uopo lo abbiamo fatto in compagnia di Eddy Anselmi, premiato sanremologo già creatore mille anni fa del sito FestivalDiSanremo.Com e autore di due libri sul festivàl, che mentre fa carriera (l'anno scorso commentava in diretta su Radio Due, quest'anno tra una comparsata a Domenica In e l'altra è diventato membro della delegazione di San Marino all'Eurovision) trova ancora il tempo per regalare qualche collegamento telefonico alla radio su cui ha trasmesso per più di 10 anni.

 

Ed è quello che è successo ieri sera a Impronte Digitali: dismessi per una settimana gli argomenti tecnologici e temporaneamente sostituito il mio sodale Pirex con l'inossidabile Mingo, abbiamo fatto una chiacchierata con Eddy in diretta dal Teatro Ariston per il solito pout-pourri di aneddoti gustosi, previsioni, retroscena e cattiverie assortite. Consigliato se volete avere qualche buona battuta da fare al bar o coi colleghi alla macchinetta del caffè, o anche solo per capire quale dei cantanti in gara ha in passato incrociato da vicino la vita del sottoscritto (e soprattutto in quali torbide circostanze).

 

Quanto alle canzoni del festival, a me non è piaciuto quasi niente di quanto ho sentito ieri (no, neanche i La Crus. E neanche Max Pezzali. Giusto un pochino Madonìa con Battiato), ma questo non è strano. Finchè ci si possono fare quattro  risate leggendo FestivaldiSanremo.Com e l'instant blog sanremese di Pop Topoi su Donna Moderna per me siamo già a posto.
Buon ascolto.

 

 

MP3 Impronte digitali – Intervista con Eddy Anselmi

martedì, 15/02/2011

Nothing on TV is real

(via)

lunedì, 14/02/2011

Buon San Valentino

[Saturday Morning Breakfast Cereal]

lunedì, 14/02/2011

Oltre lo strateggismo

Ruby e Alfonso Luigi Marra, io non so davvero più cosa dire.
[E vogliamo parlare delle versioni doppiate? No vabbè, è troppo]

venerdì, 11/02/2011

Let Polly shake

Negli ultimi 4 giorni, da quando è in streaming integrale sul sito della NPR, ho ascoltato praticamente solo Let England Shake, il nuovo disco di Polly Jean Harvey.

Che sarebbe stata l'ennesima rivoluzione nel sound della cantautrice del Dorset era chiaro fin dall'emergere delle prime nuove tracce live, ma era anche chiaro che il cambiamento sarebbe stato anche su un altro livello. Non saprei spiegare esattamente il perchè, ma già da subito sembrava evidente che, dopo White Chalk, il gioco di maschere che aveva sempre caratterizzato la sua carriera (come scrivevo nel suddetto post: nuova promessa dell’alternative rock femminista, controversa e rumorosa mangiauomini, romantica e disperata femme fatale con parrucca e ciglia finte, timida ragazza acqua e sapone della campagna del Dorset, socialite mondana della Grande Mela, rude e androgina blueswoman e esangue e perduta dama dell’ottocento) era al termine, e che l'epoca in cui Everybody wants to be a PJ (but herself), come dicevo sette anni fa su queste pagine con un brutto calembour, stava per finire.

 

Polly ora sembra assai a suo agio nei panni di se stessa, e ha a disposizione una tavolozza che contiene ormai tutti i colori della musica, e una sicurezza di sè assai solida che le consente di sfruttarla con una fantasia spiazzante e imprevedibile. Ed era imprevedibile, almeno per me, il fatto che pur essendo così poco tradizionale Let England Shake mi sarebbe piaciuto così tanto.

Per il resto, del disco scrive benissimo Stefano Solventi (già autore del notevolissimo PJ Harvey – Musiche, maschere, vita) su SentireAscoltare:

 

Con Let England Shake inizia quindi a tutti gli effetti una nuova fase nella carriera di PJ. Niente più maschere, niente più ricerca di sé: sarà un caso se per la prima volta Polly non compare in copertina? La sua emotività è libera di indagare altrove, di aprirsi al mondo prendendosene cura, mettendo al centro della questione il tema evergreen della guerra, o meglio l'idea del conflitto come mito fondante di un popolo. Lo fa esplicitamente senza rinunciare ad una spiazzante elusività, ovvero parlando a nuora perché suocera intenda, all'Inghilterra assunta come simbolo arcaico di un imperialismo globale che – mutando modi, forme, alibi, nome – continua ad essere la spinta che pianifica le sorti della nostra civiltà. In questo senso, Let England Shake è un disco d'altri tempi, nel quale puoi addirittura avvertire la fragranza folle e urticante dei Sixties californiani antagonisti (in All And Everyone, con la sua madreperlacea solennità, sembra ammiccare al lirismo emblematico dei Jefferson Airplane). E' solo un rumore di fondo tra gli altri di un programma che con gli ascolti svela un variegato ventaglio di frequenze e radici, non a caso inaugurato dalla grottesca ambiguità della title track, imperniata sul sample di Istanbul (Not Constantinople), uno swing ibrido inciso negli anni Cinquanta dai The Four Lads.

 

Siamo lontanissimi dalla vecchia, selvatica PJ. La rocker aspra e convulsa degli esordi ha lasciato progressivamente il posto ad una cantastorie conturbante e riflessiva, che ha imparato a manipolare l'irrequietezza per farne narrazione, a trasfigurare la patologia in racconto, lo schizzo furibondo in una trama di cromatismi ammalianti. C'è ancora un lato rabbioso che sgomita per farsi luce, ma è come domato, ricondotto nei ranghi come una frase che sta tra le righe (vedi il folk blues indiavolato di Bitter Branches). L'abito sonoro – allestito assieme ai fidi John Parish, Mick Harvey e Jean-Marc Butty, con Flood ad occuparsi del missaggio – è parco ma prezioso, fatto di percussioni terrigne e frugali, di chitarre semiacustiche ed elettriche dal timbro morbido, mai invasive, spesso echoizzate come un sogno esotico. Poi c'è l'autoharp, diventato un po' il feticcio della rinata Polly Jean (e quanto se ne sia ormai impadronita è palese in The Words That Maketh Murder, sorta di pseudo-rumba col veleno dentro), quindi discreti ma incisivi interventi di sax e trombone, le apparizioni commoventi del piano, pochi e vaghi sfondi di tastiera. [#]

 

 

MP3  PJ Harvey – The words that maketh murder

MP3  PJ Harvey – In the dark places

giovedì, 10/02/2011

Quanta verità

(via)

giovedì, 10/02/2011

Clapping Music

Qualche sera fa a cena assistevo ammirato (ma inevitabilmente poco partecipe) a un paio di amici che chiacchieravano di musica contemporanea partendo dall'ormai celebre libro di Alex Ross Il resto è rumore. Io non so quasi nulla di musica classica e non sono in grado di distinguere Šostakovič da Ligeti, Bartòk o Philip Glass (anche se sono sicuro che sono diversi più di quanto lo siano i Kraftwerk dai Sex Pistols o da Britney Spears), quindi, a latere di questo ipnotico video che vede Clapping Music di Steve Reich "messa in scena" da Lee Marvin and Angela Dickinson in un estratto da Senza un attimo di tregua, non riesco a fare neanche una battuta o un gioco di parole piccolo piccolo. Però voi magari sì.

(via)

 

mercoledì, 09/02/2011

Non l’avrei mai detto, ma mi mancavano

Ecco, Under cover of Darkness, il nuovo singolo degli Strokes. Repeat!

 

mercoledì, 09/02/2011

Angry board birds

Il più celebre gioco per App Store diventa un gioco da tavolo.

[io però continuo a preferire Cut the rope]

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mercoledì, 09/02/2011

McBain, The movie

A quanto pare prima di quelli di College Humor non se n'era accorto nessuno: se metti uno dopo l'altro i frammenti dei film di McBain che compaiono all'interno di varie puntate (in varie serie) dei Simpson, esce fuori una storia di senso compiuto:

 

martedì, 08/02/2011

Impronte digitali: i social network aiutano o aizzano la rivolta?

di

 Anche ad Impronte digitali aderiamo a modo nostro alla Social Media Week aperta da ieri fino a venerdì 11 a Roma. Stasera alle 19 su radiocitta'fujiko ospitiamo Giovanni Boccia Artieri, docente a Urbino di Sociologia dei new media e Comunicazione pubblicitaria. In un articolo su Apogeo il professore ha sottolineato l'importanza della consapevolezza:

La rivoluzione non la fanno il web, i social network e i blog. Però frequentarli, scoprire il modo in cui sono profondamente correlati alla nostra vita, sperimentare i modi di organizzarci attraverso essi, abituarci a pensare orizzontalmente la comunicazione, acquisire la consapevolezza dei limiti di azione ed informazione… sono tutti modi per renderci più consapevoli e far(ce)lo sapere.

 

La rete e i social network non sono il motore dello scontento sociale e politico, ma sono uno strumento con cui la protesta si organizza e manifesta. Strumento parecchio affilato, direte voi.

 

MP3 – IMPRONTE DIGITALI Giovanni Boccia Artieri

lunedì, 07/02/2011

Spring Fiction

Oggi è una di quelle giornate in cui, anche se è ancora Febbraio e anche se è lunedì, il sole è così alto e il cielo così terso che sembra quasi primavera, e tutti quello di cui hai voglia, anche se ancora non lo sai, è di una grande canzone pop con il clavicembalo da ascoltare con il repeat.

La trovi, un po' inaspettatamente, in uno di quei dischi piccoli piccoli che ascolti una volta e poi ti scordi di avere. Invece l'ultima opera di Bill Ricchini aka Summer Fiction è aperta da una piccola suite di indie-pop spruzzato di sixties, là dove si incontrano i Divine Comedy, i Belle & Sebastian e i Magnetic Fields degli anni d'oro, ed è subito repeat. E se fingere che sia Estate è ancora troppo difficile, un'aria almeno di primevera qua non ce la toglie nessuno.

 

MP3  Summer Fiction – She's bound to get hurt

venerdì, 04/02/2011

Week Ends

E poi ci sono quei weekend che se avessi ancora un calendario fatto di carta li avresti cerchiati di rosso con un bel contorno di punti esclamativi, preparandoti a una tripletta di gran concerti come da queste parti non se ne vedono spesso.

 

Si parte stasera con gli Sleigh Bells al Covo, per quella che si annuncia una serata sudatissima e molto, molto rumorosa. Nonostante la proposta del duo di Brooklyn non sia in fondo niente di più di un sapiente pop ammiccante disteso su beat hip-hop molto croccanti e spettinato da chitarre iper-sature (per darvi un'idea: sono finiti sotto l'ala protettrice di M.I.A.), io ho un debole per loro fin dagli inizi (dal primissimo demo! how lame is that?) e sono molto curioso di vederli all'opera. Probabilmente sarà un trionfo o una completa disfatta, e voglio proprio vedere se i detrattori dovranno arrendersi all'evidenza o se alla fine ero io che mi sbagliavo. 
Se tastare l'hype non vi interessa, ottime anche le alternative: al Locomotiv ci sono i beneamati My awesome mixtape (con in apertura i gustosi Spaghetti Bolonnaise) mentre all'Arterìa c'è quel solito meraviglioso pazzo di IOSONOUNCANE.

 

MP3  Sleigh Bells – Rill Rill

MP3  Sleigh Bells – Infinity Guitars

 

 

Sabato sarà d'uopo veleggiare verso le terre di Romagna, dove al Bronson di Ravenna sarà di scena our beloved Laura Veirs. Dell'occhialuta folksinger del Colorado e del mio amore per lei vi ho già parlato parecchie volte, l'ultima delle quali in occasione della sua data della scorsa Estate all'Hana-bi, che come tutti sapete del Bronson è la versione estiva. Si sa che molti artisti vengono una volta in Romagna e ne rimangono conquistati tanto da diventare dei veri e propri regulars (qualcuno ci si è persino trasferito), quindi una seconda data a così breve distanza non stupisce neanche un po'. La stagione primaverile del locale ha un programma eccellente, quindi bisognerà tornare spesso da quelle parti, prima ovviamente di metterci le tende in pianta stabile all'avvicinarsi della stagione estiva.

Se non volete fare tanta strada, al Covo ci sono i Gay Beast e al Locomotiv gli Zen Circus + Der Maurer. E all'Estragon c'è Fabri Fibra. Mica cotiche.

 

MP3  Laura Veirs – Secret someones

MP3  Laura Veirs – Life is good blues

 

 

Domenica, si sa, è il giorno del Signore, e che siate o meno soliti recarvi in chiesa per celebrarne la Gloria, questa volta non avete scelta: nella Chiesa di Sant'Ambrogio a Villanova di Castenaso (alle porte di Bologna, a due passi dal casello di San Lazzaro) avrà infatti luogo un evento abbastanza eccezionale. Mark Kozelek, già indie-rock / slowcore / folk legend, leader degli indimenticati Red House Painters e dei Sun Kil Moon, nonchè interprete dalla voce inconfondibile e dall'intensità straordinaria. Vederlo in un contesto del genere sarà, come minimo, splendido. 

Giù il cappello alla crew del Covo per aver organizzato la data e soprattutto a Don Stefano Benuzzi, che di Sant'Ambrogio è il parroco e che, anche se non lo sapete, avete probabilmente incrociato un sacco di volte ai concerti delle vostre band preferite. Tutte le info qui, prenotatevi subito ché poi rimanete fuori.

 

 

MP3  Mark Kozelek – Celebrated Summer

MP3  Red House Painters – All mixed up

giovedì, 03/02/2011

Rubik’s Mug

[si compra qui]

mercoledì, 02/02/2011

Fuck Yeah Boris

Prime immagini e pressbook dal film di Boris, e una certezza: il film esce, appropriatamente, il Primo Aprile.

Come è appropriato che il trailer, già in visione in sala, non sia ancora visibile online.

Uffici stampa alla cazzo di cane?

 

 

 

 

[e nella colonna sonora ci sono ovviamente Elio e le storie tese, che interpretano un pezzo intitolato Pensiero Stupesce. Aspettare fino ad Aprile sarà dura]