Arte, punto e a capo
Oggi ho sfidato l’influenza, e sono stato ad Artefiera.
Artefiera: art has a point è, tautologicamente, una fiera d’arte, benchè la definirei più come una fiera dei galleristi. Ovvero: ogni galleria d’arte ha il suo stand, dove espone le opere dei ‘suoi’ artisti che, volendo, si possono comprare. Una via di mezzo tra un enorme museo e un supermercato, più o meno.
Trattandosi di gallerie, quindi, le opere esposte sono tutte piuttosto recenti (non ho visto nulla di pre-novecentesco), e vanno da Picasso, De Chirico e Magritte ad artisti contemporanei come Vanessa Beecroft e Fabrizio Plessi, fino a opere realizzate l’altroieri da scultori sconosciuti in cerca di consacrazione. Stordente come tutte le fiere e i grandi musei, molto stimolante ma anche decisamente controverso.
C’erano alcune cose molto belle (di cui ovviamente ho subito dimenticato i nomi), molte brutte e varie carine, ovvero il genere di cose di cui apprezzi l’originalità e l’idea ma che non ti azzarderesti mai a definire belle. In simili circostanze è impossibile non farsi la domanda da un milione di dollari: ma cos’è davvero l’arte? Un quadro interamente nero può essere davvero considerato arte? Se un tizio belga può esporre dei disegni fatti da un bambino -e venderli ad un prezzo probabilmente superiore allo stipendio annuale di un italiano medio- perchè non posso anch’io? Va bene il dadaismo, la rottura degli schemi, la morte dell’arte e via dicendo, ma queste cose, che erano nuove e sconvolgenti un secolo fa, non sono ormai talmente scontate da essere diventate imbarazzanti? Ma, soprattutto, chi potrebbe davvero comprarsi cose simili quando a volte non solo non comunicano nulla ma sono pure brutte?