Niente link, foto o video; oggi scrivo dal più profondo del cuore di un fatto molto personale: mi sono stufato delle serie televisive.
A questo punto il pubblico immaginario emette un “oooooh” di sorpresa; conoscendomi, sa infatti che sino a due minuti fa ne ero uno dei fan più accaniti; i miei pomeriggi post scuola di bambino figlio di divorziati li trascorrevo in loro compagnia: in pratica, sono stato allevato dalla signora Garrett; una volta aperto un blog, ne ho scritto in diverse occasioni e in argomento ho sempre un’opinione con cui illuminare mondo.
Ora non più. Ora, esse sono un corpo estraneo laddove prima erano una parte di me non meno importante del fegato (peraltro trattata assai meglio di quest’ultimo): ho infatti realizzato, quasi all’improvviso, che le serie televisive sono il male.
Pensateci.
Ormai sono fatte troppo bene. Sono troppo belle. E sono troppe.
Esse, con la loro beltà, scippano la parte migliore delle nostre giovani – colpo di tosse – vite; non abbiamo più tempo per altro; ci attacchiamo, assetati, al primo rivolo di torrente che sgorga alla mattina, dopo la lunga nottata di attesa; ma spesso ci attende il dramma, perché senza sottotitoli non si va da nessuna parte: e allora possono essere giorni di vero e proprio strazio.
Io non leggo più. E non parlo di Dostoevskij, bensì di Vanity Fair. Sono indietro con Vanity Fair.
Una volta, in crisi d’astinenza, mi sono fatto spedire un cofanetto da un amico che lavora negli Stati Uniti. Me lo ha mandato (senza batter ciglio, come fosse cosa normalissima) con il sistema di posta interna in uso nella megagalattica entità per cui lavora. Sono andato a ritirarlo dalle mani di una efficiente segretaria presso la sede milanese della menzionata entità, simulando un’espressione seria, come se si trattasse di documenti d’importanza capitale, in realtà sforzandomi di trattenere una risata sguaiatamente nervosa per l’assurdità della situazione; avevo una metaforica (almeno spero) bava da impazienza alla bocca.
Le serie negli ultimi anni hanno dunque cambiato le nostre vite; ma per il meglio? Non ne sono più sicuro.
Siamo malati, questo è certo, e io prima d’ora sono sempre stato un grande supporter delle ossessioni. Perché è di questo che si tratta. Non c’entra necessariamente la qualità del prodotto. Il meccanismo di cui andiamo alla ricerca è l’ossessione per l’ossessione, la (appunto) serialità.
Perché ci succede? Ha senso interrogarsi seriamente su questo? Perché ne ho sentito la necessità? Perché non la sento per altri tipi di interessi?
Il capolavoro del subdolo lo compiono le serie considerate più….“serie”; non i guilty pleasures come Gossip Girl, troppo facilmente attaccabili.
Prendete Mad Men, la serie che nel nostro piccolo mondo di blogroll e twitter friends sta andando per la maggiore (a dir il vero anche su giornaletti come il New York Times e il New York Magazine; sul New Yorker non so). É fatta molto bene. Non avevo mai visto una tale attenzione per la regia, per i dettagli di sceneggiatura (indimenticabile per me il particolare di un palloncino che rimane simbolicamente impigliato in una porta, per liberarsi solo qualche attimo dopo).
Ma poi? Non vi chiedete mai, alla fine dell’episodio di turno della serie osannata di turno, “E allora?” (la stessa domanda è da porsi alla fine di una giornata qualsiasi, ma questo temo sia un poco off topic). Voglio dire, ormai vengono sfornate con ritmo incalzante serie su serie fatte sempre meglio, sempre più vicine alla cura utilizzata per i film. Solo che… non sono film; non ne hanno la compiutezza né l’ambizione (di voler dire qualcosa, di dimostrare una tesi). Ma non si limitano più soltanto a raccontare una storia. Sono nel mezzo, né carne né pesce. Paradossalmente, sono fatte troppo bene. Illudono lo spettatore sulla loro profondità. Sono molto forma, poca sostanza. Spesso è più intrigante l’idea di base della serie stessa realizzata nella sua interezza. E infatti il meglio lo danno all’inizio, quando dipingono l’ambiente e presentano i personaggi. E poi?
E poi c’è il nulla. E solitamente infatti sbracano. Ma a quel punto è troppo tardi, e noi siamo già stati presi all’amo.
Ho la sensazione di avere perso tanto, troppo tempo prezioso.
Che dite, esagero? Ho diritto a dire quanto sopra se non più tardi di ieri mi sono procurato la puntata di una nuova serie oggetto di parecchio hype? o è solo che sono, siamo, un coacervo di contraddizioni? O, ancor più banalmente, è la crisi del settimo anno di un innamorato?
A questo punto il pubblico immaginario emette un “oooooh” di sorpresa; conoscendomi, sa infatti che sino a due minuti fa ne ero uno dei fan più accaniti; i miei pomeriggi post scuola di bambino figlio di divorziati li trascorrevo in loro compagnia: in pratica, sono stato allevato dalla signora Garrett; una volta aperto un blog, ne ho scritto in diverse occasioni e in argomento ho sempre un’opinione con cui illuminare mondo.
Ora non più. Ora, esse sono un corpo estraneo laddove prima erano una parte di me non meno importante del fegato (peraltro trattata assai meglio di quest’ultimo): ho infatti realizzato, quasi all’improvviso, che le serie televisive sono il male.
Pensateci.
Ormai sono fatte troppo bene. Sono troppo belle. E sono troppe.
Esse, con la loro beltà, scippano la parte migliore delle nostre giovani – colpo di tosse – vite; non abbiamo più tempo per altro; ci attacchiamo, assetati, al primo rivolo di torrente che sgorga alla mattina, dopo la lunga nottata di attesa; ma spesso ci attende il dramma, perché senza sottotitoli non si va da nessuna parte: e allora possono essere giorni di vero e proprio strazio.
Io non leggo più. E non parlo di Dostoevskij, bensì di Vanity Fair. Sono indietro con Vanity Fair.
Una volta, in crisi d’astinenza, mi sono fatto spedire un cofanetto da un amico che lavora negli Stati Uniti. Me lo ha mandato (senza batter ciglio, come fosse cosa normalissima) con il sistema di posta interna in uso nella megagalattica entità per cui lavora. Sono andato a ritirarlo dalle mani di una efficiente segretaria presso la sede milanese della menzionata entità, simulando un’espressione seria, come se si trattasse di documenti d’importanza capitale, in realtà sforzandomi di trattenere una risata sguaiatamente nervosa per l’assurdità della situazione; avevo una metaforica (almeno spero) bava da impazienza alla bocca.
Le serie negli ultimi anni hanno dunque cambiato le nostre vite; ma per il meglio? Non ne sono più sicuro.
Siamo malati, questo è certo, e io prima d’ora sono sempre stato un grande supporter delle ossessioni. Perché è di questo che si tratta. Non c’entra necessariamente la qualità del prodotto. Il meccanismo di cui andiamo alla ricerca è l’ossessione per l’ossessione, la (appunto) serialità.
Perché ci succede? Ha senso interrogarsi seriamente su questo? Perché ne ho sentito la necessità? Perché non la sento per altri tipi di interessi?
Il capolavoro del subdolo lo compiono le serie considerate più….“serie”; non i guilty pleasures come Gossip Girl, troppo facilmente attaccabili.
Prendete Mad Men, la serie che nel nostro piccolo mondo di blogroll e twitter friends sta andando per la maggiore (a dir il vero anche su giornaletti come il New York Times e il New York Magazine; sul New Yorker non so). É fatta molto bene. Non avevo mai visto una tale attenzione per la regia, per i dettagli di sceneggiatura (indimenticabile per me il particolare di un palloncino che rimane simbolicamente impigliato in una porta, per liberarsi solo qualche attimo dopo).
Ma poi? Non vi chiedete mai, alla fine dell’episodio di turno della serie osannata di turno, “E allora?” (la stessa domanda è da porsi alla fine di una giornata qualsiasi, ma questo temo sia un poco off topic). Voglio dire, ormai vengono sfornate con ritmo incalzante serie su serie fatte sempre meglio, sempre più vicine alla cura utilizzata per i film. Solo che… non sono film; non ne hanno la compiutezza né l’ambizione (di voler dire qualcosa, di dimostrare una tesi). Ma non si limitano più soltanto a raccontare una storia. Sono nel mezzo, né carne né pesce. Paradossalmente, sono fatte troppo bene. Illudono lo spettatore sulla loro profondità. Sono molto forma, poca sostanza. Spesso è più intrigante l’idea di base della serie stessa realizzata nella sua interezza. E infatti il meglio lo danno all’inizio, quando dipingono l’ambiente e presentano i personaggi. E poi?
E poi c’è il nulla. E solitamente infatti sbracano. Ma a quel punto è troppo tardi, e noi siamo già stati presi all’amo.
Ho la sensazione di avere perso tanto, troppo tempo prezioso.
Che dite, esagero? Ho diritto a dire quanto sopra se non più tardi di ieri mi sono procurato la puntata di una nuova serie oggetto di parecchio hype? o è solo che sono, siamo, un coacervo di contraddizioni? O, ancor più banalmente, è la crisi del settimo anno di un innamorato?