Ok, a ormai più di un mese dal suo svolgimento, ho capito che non scriverò mai un post completo ed esaustivo sulla CMJ Marathon. I 5 giorni del meta-festival newyorkese sono stati un'abbuffata musicale senza precedenti, una sequenza senza soluzione di continuità di showcase e live grandi e piccoli, con i migliori tastemaker della scena indipendente (etichette, magazine, siti web, blog, agenzie di promozione) a fare la gara a chi creava il party con la line-up più zeppa di nomi che ora sono ignoti e che domani (forse) diventeranno grandi. Il che rende difficilissimo orientarsi e scegliere il proprio percorso (e rende indubitabilmente irrealizzabile la speranza di riuscire a vedere tutti i nomi interessanti tra i più di mille presenti), ma porta a piccole grandi scoperte completamente casuali che sono il sale di eventi come questi.
Lascio a eventuali post futuri, se alcune delle promesse che ho notato saranno mantenute, racconti e trattazioni dettagliate. Per ora mi limito a poche parole e un sacco di link.
Bello!
Se dovessi dare solo due nomi avrei pochi dubbi: Grimes e Still Corners.
Adorabile, imbarazzatissima e talentuosa ragazza canadese, Grimes è circondata da un hype palpabile, ma quando sale sul palco da sola, e la vedi davanti a due synth, un Mac e un altro paio di macchine non le daresti davvero due lire. Quando comincia a suonare e cantare il suo bubblegum pop etereo e stratificato, però, sei fregato. Lei è bravissima e suona tutto, la sua musica assomiglia a un sacco di cose (da Madonna a Lykke Li a Robyn a Fever Ray) e l'alchimia di tutti gli elementi, non si sa bene perchè, è ammaliante e funziona da paura. L'anno prossimo, quando dovrebbe uscire il suo disco d'esordio, farà sfracelli. Io ve lo d'ho detto.
Completamente diverso è l'effetto che fanno live gli Still Corners, band inglese uscita su Sub Pop recensita ottimamente un po' ovunque. Il loro set cammina in punta di piedi, come è d'uopo per musica tanto cinematica e stereolabica, e grazie soprattutto alla vocalist Tessa Murray, che ha l'eleganza e la malinconia di certe ragazze d'Albione, il live cresce d'intensità e bellezza e conquista tutti.
Ma ci sono altri set che mi hanno colpito molto, curiosamente tutti femminili. Non sapevo cosa aspettarmi da un set da solista di Deradoorian, già voce nei Dirty Projectors, ma nel suo set da sola mi sono venuti in mente tanto Bjork quanto i The Knife: elettronica fredda e intellettuale non priva di squarci di grande bellezza. E hanno mantenuto le promesse i set cupi e intensissimi della spettrale Chelsea Wolfe (di cui vi ho parlato qua) e della waver gotica Zola Jesus. Artiste molto simili (benchè la prima si muova più su sonorità folk e noise mentre la seconda è più dalle parti del dark e dell'industrial), bravissime sul palco e supportate da ottime band. A occhio, nomi che resteranno. Tra l'altro, Zola Jesus suona al Covo il 7 Dicembre (dopodomani), io non me la perderei.
Uhm, interessante
Un gradino sotto il quintetto al femminile che mi è piaciuto di più, ci sono stati altri live che mi hanno lasciato un ottimo sapore in bocca. Impossibile non citare il divertentissimo set messo in piedi da The Stepkids; il loro principale selling point non è il (pur ottimo) filologicissimo sound funk/soul psichedelico anni '70 ma le straordinarie proiezioni che vengono sparate sulla band, e che aggiungono tutta un'altra dimensione trippy al concerto. Guardate qui e qui per avere un'idea. Sempre in area soul si muovono i giovanissimi Ava Luna, capitanati da un ragazzino appena uscito dall'adolescenza che canta come Prince e da un trio multietnico di coriste che probabilmente frequentano ancora la high school. Veramente impressionanti.
Venendo a suoni più indie, molto carucci sia The Beets, che si muovono tra lo-fi e garage e hanno inciso per la Captured Tracks, sia i canadesi Parlovr, che sono una specie di Wolf Parade ancora più acidi che mi hanno colpito all'istante. E impossibile non citare i Cavemen, che dal vivo sanno il fatto loro, finendo per fare abbastanza il botto al festival, e diventando in ambito indie uno dei nomi più caldi del momento.
Per finire merita una menzione Chad Valley, improbabile cicciobomba inglese che suona una chillwave sontuosa e ci spara sopra dei falsetti effettati che possono lasciarti secco. Superata l'ilarità iniziale, più convincente di tanti nomi più blasonati nel genere ipnagogico.
Ma anche no
Non c'è niente come vedere decine di gruppi al giorno per farti diventare super esigente e per farti sparare pesanti giudizi tranchant dopo due pezzi (il gioco funziona così).
Pollice verso quindi per l'imbarazzante pseudo new age dell'arpista elettronico Active Child (il cui set era molto atteso; la gente è PAZZA), per i droni sperimentali di Oneohtrix Point Never (girare due manopole non basta a fare un buon live) e per il derivativissimo dream pop dei Twin Sister (ci faceva cagare negli anni '80, e adesso questa roba è ancora più tediosa).
L'hip hop non è il mio genere (soprattutto quello che va di questi tempi), ma in un festival così grande è stato impossibile non incappare in almeno due set (il beat-master super cool Aaraabmuzik e il duo gangsta dei poveri Main Attraktionz) che, pur diversissimi, mi hanno ovviamente fatto cagare. E' importante avere dei punti saldi.
Un po' inutile dal vivo la chill-wave dei Com Truise (che oltre ad avere un nome bellissimo su disco non mi dispiacevani, in realtà), per nulla apprezzabile la svolta elettronica degli allora math-rocker The forms, e privo di mordente e una direzione precisa il progetto Bleached (che contiene un paio di Mika Miko).
Venendo a cose che su disco mi piacciono, è ancora povero il set solitario del nostro connazionale Porcelain Raft, il cui delicato e riverberato pop da cameretta è difficile da far rendere su un palco. E, per quanto faccia simpatia e tenerezza per la giovane età sua e del resto della band (tutti sono i 18 anni, credo), il crooner indie-pop ginger King Krule dal vivo non riesce a rendere le belle atmosfere del suo EP di esordio ed è poco sopra la sala prove, e non nel modo sghembo che talvolta ci piace.
Varie ed eventuali
Il CMJ, come si diceva sopra, è un festival fatto per scoprire cose nuove. Andarci per vedere e inseguire nomi grossi e già affermati è una missione non facile (non ce ne sono poi molti) oltre che piuttosto stupida. Ho fatto una sola eccezione, aiutato dalla scaletta di uno dei day parties di quello che indiscutibilmente è il re del festival (l'uber-blog Brooklyn Vegan), per J Mascis, già leader dei Dinosaur Jr e leggenda dell'indie americano, che a inizio anno ha pubblicato un disco acustico che finirà diritto nella mia top ten dell'anno. Il live set non ha riservato sorprese: diretto, spartano, semplicissimo e splendido.
Molto brava anche Eleanor Friedberger, che si è presa una pausa dai Fiery Furnaces, e la scorsa Estate ha inciso un bel disco solista di rock con pochi fronzoli, ottimamente reso al palco. Caruccio ma decisamente troppo educato il live di Emmy the Great, dove sono capitato per caso perchè ho sbagliato porta mentre cercavo di andare a vedere la star australiana Gotye (di cui ho visto solo due pezzi, di cui uno però era il piccolo capolavoro Somebody I used to know, quindi sono soddisfatto).
Poi metto qua un po' di altri nomi che mi hanno lasciato un'impressione genericamente positiva, ma non abbastanza da aver voglia di scrivere qualcosa oltre al loro nome: Young magic, DOM, Gauntlet Hair, Silver Swans, Widowspeak, Lord Huron, We Barbarians, Locksley, Prussia. Un elenco che serve più a me che a voi, mi sa.