Tiga – You gonna want me (MOV)
In attesa del nuovo video del «novello sanfrancesco metrosessualo» (cit.), ritiriamo fuori il clip del suo pezzo più famoso, in cui Oliver Gondry (sì, il fratello) ci dà giù con degli effetti digitali appena appena revivalistici trasformando la finta band rotante del giullare dell’electro in giochi di pura luce e movimento. Prima o poi finiranno per sembrare teneramente patetici come i chroma key atomici degli anni ’80 e il cerchio sarà chiuso. Forse, però, lo sembrano già.
Morrissey – You have killed me (MOV)
Sì, lo so, di questo video hanno già scritto tutto: la presentazione in italiano (così esotica!), il clima da Eurofestival (Eurovision, per i filologi), il microfono a sigaretta e il Mozzer sempre più imbolsito. Su pezzo e disco non mi pronuncio ancora, anche perchè guardando questo video non riesco che a pensare a una cosa: non sembra anche a voi che la scenografia del palco e le capigliature del pubblico siano cronologicamente incongruenti?
Yuppie Flu – Glueing all the fragments (MOV)
E’ strano veder uscire solo ora come singolo la canzone che ha incorniciato buona parte della mia tarda primavera scorsa; mi provoca un inconsueto corto circuito, come se i frammenti incollati allora, all’arrivo di una nuova primavera, vacillassero scossi dallo scirocco carico di pollini. La canzone è magistrale e il video, luminoso e molto ben fatto, quasi riesce a rendergli giustizia. Un sollievo.
Ant – When your heart breaks (into many little pieces) (MP4)
Altro video di casa Homesleep, altri frammenti di qualcosa che si è rotto, altro corto circuito stagionale; qui non più primavere vecchie e nuove ma inverni nevosi e boschi ghiacciati. Stavolta, però, ci sono le impronte sula neve lasciate da Ant (sabato al Covo) da seguire, e tanto basta ad uscirne. Bedroom pop gentile il disco, onestamente lo-fi il video, e tutto torna.
Broken Social Scene – 7/4 (Shoreline) (MOV)
«Sax, lights and audiotapes»: così è stato brillantemente etichettato il nuovo video del collettivo canadese più amato da grandi e piccini, che incrocia il solito canadindie con un soul quasi funkeggiante ben guidato dalla voce della beneamata Leslie Feist. Se mi date retta (ma non mi date retta, lo so), l’unico grande pezzo dal loro mediocre ultimo disco; il video aggiunge poco ma non toglie niente, e tanto basta.
The Racounters – Steady as she goes (MOV)
Un signor singolo con un signor video d’altri tempi, rurale e in bassa fedeltà come non se ne vedevano da tempo, per il nuovo progetto di Jack White e Brendan Benson. Il pezzo va gù che è una meraviglia, il video è fatto con due soldi, ma da un divertissment mica ci si può aspettare altro. Una giacca un po’ meno di gattivo gusto, appena quello.
Calexico – Cruel (MOV)
C’è nel mondo qualcuno che non ha stroncato l’ultimo disco dei Calexico? Qualcuno che sia siuscito a trovare argomenti per parlarne bene? Se sì, vi prego illuminatemi, perchè tanto le vecchie produzioni mi piacevano (non tutti tutti i pezzi, magari, ma 3 o 4 assi in ogni disco c’erano sempre) quanto Garden ruin mi sembra piatto e deludente. A cominciare dal suo singolo, insipido come pochi e con un video che non lascia quasi traccia sulla retina. Delusione.
Hot Chip – Over and over (RM)
Inglesi che escono per DFA, che roba. Nelle parole di Pitchfork: «Innegabilmente synth-retrò, innegabilmente indie schoolyard pop, innegabilmente dance rock, insopportabilmente cool». Lo ammetto, il mio pezzo preferito del nuovo disco è la ben più tamarra Boys from school, ma anche il primo singolo, arrivato il ritornello, ha un tiro che lévati. Il video, geniale delirio croma(key)tico, fa del suo. E abbiamo delle nuove celebrità.
Midlake – Young Bride (MOV)
Sempre quelli di Roscoe, sì. Il disco esce a Giugno ma c’è già un video: bello, triste e fatto a matita. Anche la canzone è bella, triste e un po’ fatta a matita, e la certezza che non usciranno a breve dal circuito indie ce li rendeno più simpatici.
Casiotone for the painfully alone – The Subway home (MOV)
Owen Ahfort suona come suonerebbe Aidan Moffat degli Arab Strap se bevesse meno pinte di birra e uscisse più raramente dalla propria cameretta. Il parlato strascicato è quasi lo stesso, i temi e le atmosfere proprio no, come ben illustra la curiosa scelta di questo lentone d’atmosfera come brano da abbinare a un video. L’acquerello fa il resto, ma quando è più autoironico e morrisseyano ci piace di più.
Mates of State – Fraud in the 80’s (MOV)
I Mates of State sono gli Aqueduct del 2006: escono anch’essi per l’etichetta del cane con il disco in bocca (la Barsuk), e con la band di You sold gold condividono certi riferimenti all’adolescenza nei decenni passati. ALla fine, anche se ti verrebbe da catalogarli come carini e poco più, il loro disco rimane nel lettore per mesi, e anni dopo ti scopri a saperne ogni dettaglio a memoria. Mi piace persino il loro video, che ha come protagonisti una cassettiera e dei ritagli fotografici animati. Sono senza speranza?