"Ciò che conta, per noi, dovendo ogni dicembre eleggere una "rockstar dell’anno", è che quest’anno la votazione sia avvenuta all’unanimità, per evidenti meriti dovuti a uno stile di vita per il quale la definizione di rock&roll va persino stretta. I Rod Stewart, i Brian Jones, i Keith Richards dei tempi d’oro sono pivellini in confronto. La "Neverland" di Michael Jackson è una mansardina in confronto a Villa Certosa, e via così. Siamo ben fuori dal dispensare giudizi da destra o da sinistra. Siamo solo osservatori che constatano ciò che è avvenuto e avviene ogni giorno. I comportamenti quotidiani di Silvio, la sua furia vitale, il suo stile di vita inimitabile, gli hanno regalato, specie quest’anno, un’incredibile popolarità internazionale" (dall’editoriale di Carlo Antonelli, via Emmebi)
Non so chi scegliereste voi come rockstar dell’anno; non so neanche quale sceglierei io – e se riuscirei a farlo.
Di certo la mia rockstar dell’anno non è quella di Rolling Stone.
E capisco tutto, eh. Mi rendo conto la scelta di una cover come quella del numero di dicembre oggi in edicola (l’autore è lo stesso Shepard Fairey dell’icona obamiana, non è stata fatta con questo) è una mossa di comunicazione geniale (e che mediaticamente questo sia stato più che mai l’anno di papi nessuno lo può mettere in dubbio). Ma personalmente non mi fa ridere, non mi piace e – se lo facessi abitualmente – credo che non comprerei Rolling Stone questo mese (i dati di vendita sicuramente mi daranno contro, la polemica – a cui sto io stesso contribuendo – tira sempre).
In questi casi mi sento sempre più spesso un brontolone serioso e insopportabile (non anche del tutto solitario, per fortuna), che grida all’emergenza anche nel momento in cui gli altri vogliono rilassarsi e farsi due risate.
Qui [1] siamo oltretutto su un blog, in cui – pur consapevoli del fatto che in Italia ci sia poco da ridere di questi tempi – si scherza e si cazzeggia volentieri. Mi prendo però volentieri la parte dell’antipatico, se si tratta di riflettere sul sottile confine tra scherzo e ambiguità.
E dove sarebbe l’ambiguità? – potreste rispondere. In effetti Berlusconi strappa una bandiera italiana, a ben vedere e-ben-guardare la critica c’è. E sono sicuro che all’interno di questo numero non mancheranno le voci ferme e critiche sull’argomento.
Di fatto, però, una copertina come questa mi sembra fastidiosamente paracula, perché a un livello superficiale (quello di chi non solo non legge l’intera rivista, ma nemmeno osserva con attenzione l’immagine, o ha magari solo letto del "trofeo" su un qualche trafiletto di quotidiano che ha rilanciato la notizia) è in grado di suscitare l’ammirazione di tutti [2]. Quelli contro Berlusconi (perché comunque c’è sarcasmo), e quelli a favore. Per spiegarmi meglio: ieri i vari Tg ormai occupati militarmente dal Pdl davano il lieto annunzio della copertina e della motivazione tra un sorriso e un colpetto di gomito, sorvolando allegramente sulle intenzioni ironiche.
Lo stile delle copertine di Rolling Stone è da sempre quello, lo so. Me ne ricordo (e ce ne saranno state sicuramente altre ancor più provocatorie) una di diversi anni fa con un guerrafondaio G.W. Bush ritratto in graziosa posa mentre imbracciava una motosega, o qualcosa del genere (anche lui rockstar [3] ).
Ma Bush è lontano, ed è oltretutto il presidente di un paese in cui la libertà d’informazione e di critica sembra passarsela un po’ meglio. Berlusconi è qui, sta facendo a pezzi la nostra società e la nostra democrazia. C’è bisogno nel 2009 di alimentare ulteriormente il culto attorno alla sua persona? Dopo il passaparola da paesereale post-Villa Certosa "eppure tromba più di tutti noi", dovremo subire anche "è il più rock di tutti"?
Qualcuno potrebbe poi obiettare che dal punto di visti degli effetti – voluti o meno – Repubblica, con la sua campagna permanente contro la persona del presidente del consiglio, ha fatto in questi mesi ben di peggio. E non ci possiamo nascondere che dietro al diecidomandismo non c’è soltanto (giusta, fondata) critica socio-politica, ma anche la precisa volontà di attirare visite e vendere copie.
Ma Repubblica è un quotidiano, non può evitare di parlare di politica. Deve dare notizie. Preferisco che lo faccia denunciando con livore le sconcezze di cui altri tacciono, anche se non ottiene (come pare) altro risultato concreto che quello di vendere più copie.
Rolling Stone si occupa principalmente di intrattenimento. E se per farti pubblicità in questo campo utilizzi un messaggio ambivalente come questo… beh, sei libero di farlo. E io di criticarti.
Anche per aver fatto finire la scritta PEARL JAM sopra il capello trapiantato di una persona che disprezzo.
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[1] Il discorso vale sia per il ben più interessante Inkiostro, sia per il mio piccolo blog dove avevo postato ieri una versione demo, più a caldo e raffazzonata, di questo post.
[2] Sempre fermandosi a un confronto tra copertine ed esulando dai contenuti delle rispettive riviste: a molti è tornata in mente quella del Mucchio di qualche anno fa, che peraltro fu "censurata" e non andò nelle edicole. Trova le piccole differenze (e rifletti su quanto sia davvero la sensibilità del pubblico a decidere quale satira è corretta e quale no).
[3] Volendo si potrebbe discutere a lungo di questo allargamento del concetto di "rock and roll", che un tempo includeva anticonformismo e ribellione, mentre adesso pare una caratteristica che si accompagna sempre al grande successo mediatico, comunque conseguito. Forse è colpa di Celentano, forse il rock è solo invecchiato.