Miei adorati lettori di Repubblica online, benvenuti.
Siete finalmente preoccupati anche voi che il mondo possa essere inghiottito da un enorme buco nero creato dalla Svizzera? Benvenuti, di nuovo. Consideriamone intanto i lati positivi: in questo modo, intanto, la Svizzera verrebbe finalmente ricordata per qualcosa che non sia l’orologio a cucù o il cioccolato (non serve che citi la famigerata frase pronunciata da Orson Wells, nevvero?*)**.
Secondariamente, dovete valutare il fatto che diverse persone si preoccupano dell’argomento da molto prima di voi, sollevandotimori apocalittici o smentendoli più o meno categoricamente (vi prego di apprezzare come in ognuno dei tre articoli che vi ho linkato il coordinatore dei professori preoccupati dal fatto sia una persona differente). Su Asphalto se ne dibatte ovviamente da tempo, e chi ha un po’ di audience vip ha ricevuto una spiegazione su misura (in calce al post), divertente e rassicurante, che contiene inoltre un’informazioncina aggiuntiva che mi pare nessuno degli organi di stampa ufficiali abbia divulgato: una volta fatto il collaudo il 10, verificato che l’apparecchione funziona e che i tecnici non prendono la scossa, le prime collisioni saranno il 21 ottobre. Segnatevi la data sul calendario.
Perchè ecco, sì, anche nelle menti più ragionevoli, nonostante le rassicurazioni, permane una certa ansia. Io personalmente ho approfittato mesi fa della pazienza del sempre benemerito Dr Psycho per scrivergli una mail chiedendogli se siamo spacciati, mail a cui lui mi ha risposto puntualmente e rapidissimamente, sostenendo che no, nient’affatto. Inoltre quest’estate ho scoperto che una mia cara amica sta facendo la tesi della sua specialistica in fisica proprio su questo argomento, e non concedeva spazio agli imprevisti.
Tuttavia ad angustiare è quella minuscola, insignificante premessa a tutte le rassicurazioni, che recita all’incirca così: "se succedesse qualcosa, significherebbe che le teorie attuali della fisica sono sbagliate, e di molto". Il che, uhm, considerando il modo vieppiù empirico con cui alcune teorie scientifiche si sono rivelate esatte od errate (ora non sto nemmeno a fare una stima, ammettiamo anche che sia solo lo 0,1 per cento: non è come dire mai, mi pare), non basta a fugare completamente ogni paura. Tanto più che dopo aver speso sei miliardi di dollari per realizzare il tutto, appare improbabile che si decida davvero di non utilizzarlo. O sono io che sono amabilmente naif?
Qual è la morale di questo post? Beh, almeno cantiamoci su***.
Piccolo update: persino Delio non dico che tema qualcosa, però dubita che l’LHC si muova su leggi fisiche completamente note. Per dirla a parole mie, che non ne capisco nulla, si sarà intuito (per chi invece è in varie misure competente, invito a leggere il link presente nel summenzionato post di Delio, e specialmente i commenti).
* Ci sono svizzeri in sala? Tranquilli, a voi la spiego dopo.
** Come? Mi sono inimicato in un post solo i lettori di un noto quotidiano nazionale ed un’intera nazione straniera? Bene, piacere, sono Giorgio Blueblanket. Se le cose andassero male, entro un paio di settimane quello che ho scritto qua non importerà granchè. Se invece andassero come previsto, volevo raccontarvi questo gustoso aneddoto:
nel 2004 ero in vacanza a Barcellona. Ad un certo punto mi presentano un amico di un amico, e mi dicono: "Questo è Michel, viene dal Liechtenstein". Ed io, stringendogli la mano: "Oh, cavolo, incredibile!" Al che lui: "Perchè incredibile?" Io: "Beh, non pensavo ci fossero veramente abitanti, in Liechtenstein.".
Oh, non ci crederete, ma non mi ha parlato più per il resto della vacanza. Pensa te.
*** Dovreste trovare già apprezzabile il fatto che abbia risparmiato battute sul killer groove, o sulla musica black (like in "hole"), o su quant’altro possa venirmi in mente se ci penso altri trenta secondi.
Da qualche giorno in rete gira la notizia dell’ imminente uscita – metà settembre – di Guitar Praise Solid Rock, la versione "Christian Rock" del noto gioco con la chitarra di plastica. Immagino la spasmodica attesa dei ragazzini sciroccati che si vedevano in Jesus Camp, pronti a "…rockeggiare con i migliori mentre pregano il Signore". Il gioco sarà purtroppo (?) disponibile solo per PC e Mac.
Questo naturalmente è un grosso errore: da convinto possessore di un Nintendo Wii posso tranquillamente dire che coloro che hanno prodotto Guitar Praise dovrebbero meglio considerare i loro investimenti.
A questo proposito, sono fiero di presentare in esclusiva qui su inkiostro le prime anticipazioni di un gioco di cui è ancora sconosciuta la data di uscita ma di cui si fa un gran parlare nelle comunità di giovani cattolici online. L’ Osservatore Romano, interrogato sull’argomento, ha dichiarato al sottoscritto: "Benedetto figliolo, non ho capito una parola di quello che hai detto… Sei sicuro di essere italiano?".
Un videogioco che, ne sono certo, non potrà che fare epoca.
Wii Priest: the Path to the Light.
Proprio così, cari lettori, in questo straordinario videogame sarà possibile seguire passo passo la carriera di un giovane parroco appena uscito dal seminario!
Ecco alcune delle features incluse:
– Scegli il tuo percorso di carriera! Sarai un prete comunista che lotta giorno dopo giorno nelle favelas brasiliane o un prete militante di Militia Christi, pronto ogni anno il 20 settembre a commemorare i morti pontifìci di quel tragico ed irreparabile evento che è stato la breccia di Porta Pia?
-Grazie alle sensazionali possibilità offerte dal sistema wiimote le funzioni svolte giorno per giorno da tutti i preti del Mondo possono essere riprodotte in maniera estremamente fedele: dondola il turibolo con perizia e spandi l’incenso per sbloccare il Patchouli Power Up!
-Fai il pellegrino di casa in casa sotto Natale, impugna saldamente il tuo aspersorio e benedici più case possibili! (acqua benedetta non inclusa). Cerca di rispondere con santa pazienza ai rifiuti sdegnati degli atei (che friggeranno all’inferno) e impara a sorridere mentre mangi i cantucci fossili offerti dalle ottuagenarie!
-Con il potere dei due controller incrociati, pacifica le anime degli indemoniati e salvali dalla dannazione!
Esci da questo corpo! ESCI DA QUESTO CORPO!
Poichè il gioco è ancora in fase di sviluppo, ogni suggerimento è beneaccetto. Poi, eventualmente, ai soldi ci penso io, per sicurezza. WiiPriest: the Path to the Light: finalmente un gioco educativo.
Decisamente meglio di certi giochi pieni di insensata e brutale violenza.
(Un enorme grazie ad Albi per il supporto fotografico)
Il meme inutile del giorno è su F.A.T., e si chiama Inbox Victory: svuota la cartella inbox della tua casella email dalle centinaia e centinaia di messaggi che ti rimangono da leggere e/o a cui rispondere, accendi la webcam del tuo maledetto macbook, fatti una gloriosa foto in cui mostri tutto il tuo orgoglio per l’eroica impresa, inviala al sito, e poi, già che ci sei, really dude, get a life.
Ovvio scherno a parte, il risultato è piuttosto spassoso.
Comunque, se anche voi siete così stressati dal flusso di informazioni che giunge quotidianamente nella vostra gmail e nel vostro google reader (perché anche se quel blogger vi sta sulle palle e odiate ogni singola cosa che dice non potete evitarvi di leggerlo tutti i giorni, non si sa mai che una volta o l’altra parli di voi), non vi si può che consigliare, per l’anno che verrà, il Bubble Calendar.
Credo che l’immagine parli da sé. Si compra qui. E costa pure un botto.
Non sono mai stato un accanito videogiocatore, sia perché da cinefilo ho sempre avuto problemi con attention span che superassero i 150/180 minuti, sia perché sono sempre stato una pippa clamorosa a qualunque gioco. Però è innegabile che sia un mondo affascinante, soprattutto quando spingono sul pedale – è il caso della saga di GTA, per esempio, che sta già cambiando molte cose anche al di fuori del semplice contesto videoludico, ed è – veniamo a noi – il caso di Spore.
Spore è un videogioco che uscirà a Settembre, in corso di sviluppo da molti anni, che mescola la strategia con il genere "god game", permettendo al giocatore di creare una forma di vita e di seguirne lo sviluppo dalla forma monocellulare in avanti. Tutto molto bello. Tra ieri e il giorno prima, è stato rilasciato sia in versione demo che in versione completa un programma chiamato Spore Creature Creator (vedi immagine) che permette di creare la propria creaturina in tutta libertà. E qui viene il bello: si può esportare il risultato – udite udite – su Youtube.
Ora, sappiamo che aggirare i divieti di Youtube è ormai uno sport globale, e che la deriva sessuale di un RPG qualunque è un passaggio quasi scontato fin dai tempi in cui si tirava un dado da +20 per vedere quante botte si davano alla locandiera della taverna dell’Orso Rosso tra un drago e un troll, ma mai avrei potuto pensare che Spore avrebbe potuto creare addirittura un genere nel giro di pochissime ore. Invece esiste, e si chiama Sporn. Il blog Rock, paper, shotgun ha provveduto ad una instant anthology dello Sporn, e ce n’è di tutti i colori: semplici peni giganti, creature dotate di peni giganti, colorite e inquietanti variazioni sul tema dell’ermafroditismo, e via dicendo.
Ho l’impressione che presto ne sentiremo parlare nella colonnina di Repubblica.
Eccone un esempio. Lo metto piccolino perché è schifido. Apritelo a vostro rischio e pericolo – tipo, se siete in ufficio lasciate perdere. Ne so qualcosa.
Wow. Direi che da oggi in poi i furries possono dormire sonni tranquilli.
E’ un rito che ai tempi abbiamo fatto decine di volte.
Abbiamo passato ore a scegliere tutti i pezzi uno ad uno, a decidere l’ordine migliore, cosa mettere in apertura e cosa in chiusura, dove piazzare i pezzi da novanta e dove posizionare i pezzi che sottolineavano meglio il messaggio che volevamo mandare (c’era sempre un messaggio). Abbiamo scritto i titoli uno dopo l’altro stando attenti a non far sbaffare il tratto-pen sulla carta lucida della copertina (io, per evitare di passarci sopra con la mano e toccare l’inchiostro fresco, li scrivevo in ordine inverso), abbiamo considerato se mantenere un look sobrio e anonimo (titoli e poco più, di solito io facevo così) o se donargli una veste grafica più accurata (una foto? un ritaglio di giornale? un disegno?), abbiamo scelto il titolo (la chiave -ovviamente enigmatica- per capirne il senso profondo), valutato se fare una dedica o quantomeno una firma o una sigla, e alla fine l’abbiamo messo nella piastra e premuto «play», per sentire come suonava dell’inizio alla fine.
Abbiamo registrato mixtape per far colpo sulle ragazze, per far conoscere musica nuova agli amici, per avere la nostra colonna personale nell’autoradio, per festeggiare ricorrenze nostre o altrui, per selezionare la scaletta killer di un artista o un genere, per confezionare il mix da party definitivo, e per far colpo sulle ragazze (l’ho già detto?). Alla fine degli anni ’90 siamo passati ai cd masterizzati, sembrava un passo naturale ma già non era la stessa cosa. Ora facciamo le playlist sull’iPod, scriviamo le scalette sui blog, linkamo i nostri muxtape, ma la magia è persa, e lo sappiamo. La magia dei nastroni e della loro cultura è persa, e non tornerà.
Mix Tape – L’arte della cultura delle audiocassette è il libro compilato da Thurston Moore (voce e anima dei Sonic Youth, tra le decine di altre cose) per celebrare ed onorare questa piccola forma d’arte ormai scomparsa. Pubblicato negli States nel 2005 e appena uscito nelle nostre librerie nell’edizione italiana (bellissima e assolutamente fedele all’eccezionale veste grafica dell’originale) grazie alla sempre beneamata ISBN Edizioni, Mix Tape raccoglie le storie e le immagini di decine di nastroni originali a suo tempo creati da una serie di personaggi dell’undergound americano, selezionati da Moore.
Un libro che è un piacere sfogliare e guardare, rifacendosi gli occhi con le BASF dai colori acidi e le Sony nere e sobrie, con i titoli scarabocchiati a penna, le grafiche do-it-yourself, il mondo perso che evocano e i ricordi che fanno riaffiorare. Un libro che è un piacere leggere, nelle annotazioni brillanti di Thurston Moore e di Bruce Sterling (autore, nell’introduzione all’edizione italiana, di alcune delle osservazioni più lucide), nelle storie minime -ironiche, curiose, malinconiche- raccontate dagli autori dei nastri, nelle scalette d’altri tempi che riportano, e negli squarci di vita che se ne possono desumere. Un libro eccezionale.
Stasera, a Get Black, (come sempre alle 21 sui 103.1 FM a Bologna e provincia, per gli altri in streamingOGG o MP3, e dal weekend scaricabile in podcast) parliamo di nastroni, mixtape, cassette e di quello che hanno significato per noi, nei nostri personali amarcord e nella storia della musica e della sua fruizione.
Non paghi di scoperchiare questo vaso di Pandora, tentiamo nel nostro piccolo di emulare Thurston Moore e il suo certosino lavoro di ricerca sul tema, e chiediamo aiuto a voi: mandateci via mail (all’indirizzo black |at| getblack.it) i vostri nastroni storici e le storie che ci sono dietro, salite in soffitta e tirateli fuori dagli scatoloni, soffiate via la polvere e date loro nuova vita spiegandoci cosa succedeva in quei giorni, cosa vi ha guidato nella scelta della scaletta, a chi l’avete regalato (o da chi l’avete ricevuto) e cosa ha significato per voi. Se volete armatevi anche di scanner e macchina fotografica, per farci vedere la grafica e far sospirare un po’ anche noi.
Chi ci manderà il nastrone più significativo, in ogni possibile senso del termine, riceverà una copia di Mix Tape – L’arte della cultura delle audiocassette, grazie a ISBN Edizioni. Diversamente dal solito avete a disposizione una settimana (premieremo il vincitore venerdì 20 giugno), così avete tutto il tempo per recuperare i nastroni dai luoghi in cui sono finiti, o di contattare quella ex a cui avevate fatto una formidabile compilation nel ’96 per chiedergliela indietro (tanto l’ha ascoltata al massimo due volte, ormai lo sapete). Chissà che, da questo, non nascano altre storie da raccontare.
Nelle ultime 2 settimane in giro per la rete si sono letti talmente tanti articoli che ne parlano che il cultore dello zeigeist che alberga in me non può fare a meno di rilanciarlo: domani all’Apple’s Worldwide Developer Conference di San Francisco Steve Jobs terrà uno dei suoi celebri keynote, gli eventi in cui il guru della Apple svela al mondo con quale aggeggio lucido e scintillante ha intenzione di cambiare il mondo questa volta.
La stampa è unita nel pensare a questo giro sarà il turno del nuovo iPhone 3G, e se tutti sono concordi nel dare come certo il supporto UMTS -conditio sine qua non per lo sbarco in parecchi paesi, come l’Italia-, sul resto delle caratteristiche le ipotesi si sprecano: GPS, doppia fotocamera per le videochiamate con una rinnovata versione di iChat (anche per Windows), diversificazione dei modelli e delle funzionalità, prezzo super-ridotto (si parla di soli 200$) quando è venduto in bundle con un abbonamento, apertura dello store con le applicazioni create da terza parti, fino a ipotesi più fantascientifiche come l’alimentazione a energia solare.
Eccovi un po’ di link, prima che, alle 19 di domani sera, diventino tutti inesorabilmente obsoleti:
_il riassuntone di MacRumours (se cliccate su un solo link, questo è il più completo).
_l’analisi delle foto leaked diffuse venerdì da Crunchgear.
[per la cronaca: no, non penso che comprerò l’iPhone neanche se tutte o quasi le voci che girano fossero confermate, nonostante sia un oggetto bello e fatto molto bene. Mi trovo ottimamente col mio geekissimo Nokia]
Il piccione volava distratto, sfiorando pericolosamente alcuni passanti più bellicosi e rapidi di altri, una bici, un pioppo, un paio di suv, un lampione – il lampione chiaramente nemmeno si era mosso.
Con un paio di volute affannate riuscì a sollevarsi ancora ed a posarsi sul tetto dell’edificio, vicino all’insegna. Casaleggio ed., LTD, si leggeva, e sulla T spiccava un volatile sovrappeso. Il piccione valutò la situazione e decise di restare lì a meditare ancora un po’ sul da farsi, mentre tre piani più in basso Miscavige entrava nell’edificio. Il traffico intorno al Madison Square garden continuava indifferente.
***
“Cin”
“Cin”
“… davvero, non è questione di aspirazione alla frustrazione.”
“Mh.”
“Il punto è che Hank piace perché noi abbiamo già tutti i suoi difetti: pensiamo da anni alla stessa persona, non abbiamo mai sfruttato davvero le nostre capacità, siamo infelici e incapaci.”
“…”
“E la differenza è che lui oltre a questo è un donnaiolo ed uno scrittore di talento. Non si desidera l’infelicità, si desiderano le capacità.”
“E la possibilità di fare l’allegro cazzone a quarant’anni.”
“Sì, ma sul serio. Io ero un quarantenne quando ne avevo venti, a quarant’anni vorrei essere un ventenne.”
"Cinico e un po' stronzo?"
"Cinico e un po' stronzo."
“…”
***
L’odore è ancora troppo penetrante quando riapre gli occhi. Le palpebre sono pesanti, ed il sevoflurano ancora in circolo nei polmoni rende troppo difficile da sopportare persino la voce altrui.
“Parlate di meno, lentamente, faccio fatica”, riesce a dire dal letto alle due persone che gli sono accanto, che conversavano animatamente. Tacciono. Gli occhi che spuntano dalle lenzuola bianche e grezze dell’ospedale sembrano confusi.
“Cosa…”, cerca di dire, ma la fatica ha la meglio e ritorna a dormire.
***
“Quand’è che questo gioco è diventato più grande di noi? Che non siamo più riusciti a controllarlo? Per esempio… Ironman, l’hai visto Ironman, tu?”
“Beh, io…”
“Sai cos’ha scritto Strade dissestate? Cinquanta righe di elogio – alla sceneggiatura, agli attori, alla regia, agli effetti speciali, alle metafore – con un lunghissimo panegirico sul sottotesto morale. Tu l’hai visto, Ironman?”
“No, com’è?”
“E’ orribile. Si salvano gli attori e gli effetti speciali. La regia è scontata e la sceneggiatura fa ridere – dove non fa tristezza. È un elogio degli americani buoni e delle armi usate per giusti fini, inframmezzato da gag più o meno divertenti.”
“…e?”
“E quando è diventato normale il camp? Quand’è diventato encomiabile? Da quando Ironman è globalmente un bel film?”
“Io non…”
“Siamo noi che abbiamo legittimato tutto questo?”
***
Occhi aperti. Fatica. Occhi chiusi. Ecco, ora sì. Oocchi aperti. Bene. Pensieri da coordinare. Parliamo, proviamoci. Sorridono. Come sta. Sto bene, dico, o forse ci provo soltanto, forse farfuglio “OEEE” e lascio a loro lo sforzo di interpretare. Ieri febbre, mi dicono, capita, è normale. Adesso flebo, da domani mangia, non la voglio la flebo, già mi fa male tutto, non la voglio la flebo voglio solo dormire, dormire, dormire e ricordarmi perché sono qui e che cosa ci faccio.
***
Io al concerto dei Battles non c’ero. Non ero in città, se ci fossi stato ci sarei andato.
Eppure lo so, come era quel concerto. Era un frullatore: elettronica, math-rock, improvvisazioni di jazz acido, noise, tasti suonati a caso. Mi piace? Mi piace, è la mia posizione ufficiale, oramai io sono le mie posizioni ufficiali. Mi piace l’elettronica, mi piacciono i Battles.
C’ero al concerto? No, ma se necessario sì. Se dovessi potrei parlarne, ne ho viste a decine di concerti così, non fa nulla che non fossi davvero sotto il palco a vedere Ian Williams che ballava sghembo con la sua chitarra violentando sincopatamente la tastiera.
Se dovessi potrei parlarne, io il concerto dei Battles l’ho visto anche se non c’ero.
“Normale. Domani comincia il tuo training. È stato così per tutti, stai reagendo bene. Beppe abbiamo dovuto legarlo il primo giorno”
Beppe. “Beppe…”
“Sì. È normale, te l’ho detto, non sei il primo. Dormi, riposati, domani ti spiegheremo.”
Dormo.
***
E non lo so fino a che punto è stata una scelta voluta e quanto invece le cose si sono impossessate di me. Fisso lo schermo e non riesco a rispondermi.
Io ci lavoro, davanti a quello schermo. Ci passo le giornate, mi sono detto, tanto vale dedicarci anche il tempo libero, mi ci trovo. Così – twitter, myspace, anobii, lastfm, flickr, non ricordo più neanche dove ho veramente aperto un account e dove ho solo pensato di farlo.
E le cose si impadroniscono di te così, lentamente, un passo per volta. Cosa importa se dopo nove ore di lavoro passo ancora altre due ore davanti ad un LCD. Non mi costa fatica. Non mi dispiace.
Uscire? Ancora un feed, ancora un commento.
La ventola ronza silenziosa mentre la luce passa tra i contatti, costante ed indifferente a dispetto di tutti i fan di nerooogle del mondo.
***
Oggi è diverso. Lo aiutano ad alzarsi, a lavarsi, lo vestono. Ti gira la testa? No. Va bene un discorso più lungo? Va bene. Vieni con noi. Va.
La stanza è un ufficio asettico virato in bianco, un ficus stereotipato, qualche foto alle pareti. Il titolo di commodoro, una foto dell’attore che salta sopra i divani impegnato a promuovere Narconon.
Dietro la scrivania ci sono due sedie, sulle sedie due marionette, o due persone, è tutto ancora così buffo. Parlano, una in inglese ed una in italiano, spiegano.
Non ti devi preoccupare di nulla, ci pensiamo noi. Tu non ricordi, è normale, è tranquillo, è tutto scritto. Indicano dei fogli, gli puoi dare un’occhiata se vuoi, alle prime pagine, riconosci la grafia?
Il resto non lo leggi però, funziona così. Riconosce la grafia.
Da adesso andrà tutto bene, da adesso non sei più solo, ci pensiamo noi, non ti devi preoccupare di nulla. Non sei il primo sai, sappiamo già cosa fare, in questo momento stai vedendo Cai Guo Qiang al Guggenheim. Tranquillo, leggi e ricorderai. La gente, la gente si aspetta delle cose da te, tu non ne potevi più, quelle cose gliele daremo noi. Non ti devi preoccupare di nulla, è normale.
La conversazione dura troppo e le palpebre sono di nuovo pesanti ed il ficus è più difficile da osservare adesso ed una delle due persone in camice se ne accorge perché la conversazione termina così.
***
“Ehi.”
“Ehi, quanto tempo… Come va?”
“Ti ricordi l’anno in cui Julian Cope si tagliò sul palco? Ti ricordi i concerti al Velvet? Ti ricordi la prima volta che ti accennato del gruppo svedese che a maggio avrebbe suonato a Bologna, la prima volta che ti ho parlato di Gibbard?”
“Che hai?”
“Sono stanco.”
“Lavori troppo. Ma non è questo. Mi spaventi. Che hai?”
“Niente.”
“Mi chiami dal nulla, parli a fiume, non è vero che non hai niente. Che hai?”
“Sono sempre stato così?”
“…”
“Seriamente.”
“Così come?”
“Dai che lo sai che voglio dire”
“Sì. No. Uff. Che vuoi che ti dica?”
“Non lo so”
“Sei sempre tu, io ti conosco da tanto. Però non sei sempre stato così. Non posso parlare comunque, sto lavorando. Mi chiami dopo?”
“Mh.”
“Mi chiami dopo?”
“Va bene.”
“Va bene. Ci conto. Stai tranquillo e poi ne parliamo.”
“Sì. Ciao.”
“Ciao.”
***
Poi per un momento mi è sembrato di ricordare. Ero sveglio, dormivo, non lo so. Cioè lo so, razionalmente lo so, si chiama allucinazione ipnagogica. Di solito succede che credi di svegliarti e rimani paralizzato. Urli e non ti sente nessuno. Hai visioni, probabilmente è così che la gente parlava con dio anni fa. Allucinazioni ipnagogiche. Eppure mi è sembrato di ricordare.
Scrivevo, avevo questo… avevo un blog. Mi chiamavo… mi chiamavo Fabiano Frangia. Sì, Fabiano. Mi pare. Scrivevo di musica, scrivevo, la gente… maledetta indeterminatezza dei sogni. Non era così. Mi chiamavo… mi chiamavo Filippo. Filippo Facci. Sì, questo me lo ricordo, Filippo Facci, il nome me lo ricordo. Scrivevo di tutto, la gente leggeva e commentava, male commentava, la gente leggeva e mi insultava. Filippo Facci. Oppure no, la gente mi insultava davvero? Eppure per un momento mi è sembrato di ricordare.
***
La gente balla comunque, se metto elettronica ucraina o quel pezzo che adoro che dice Then you picked the wrong place to stay. La gente balla comunque, lo fa da sempre qui, eppure mi sembra diverso. Mi sembra che prima ballassero di tutto perché erano curiosi di tutto, era il sapere aude della musica. Ora ballano di tutto perché tutto gli è indifferente, non sono qui per la musica, non sono qui per scoprire, sono qui ma potrebbero essere al Billionaire se fosse di moda il Billionaire.
Meglio quando ce la tiravamo in trenta, quando Meloy era un cognome come un altro? Chissà. E chissà quanti lo hanno detto di me quando sono entrato qui la prima volta, quando guardavo io l’uomo con il box dei dischi dietro il palchetto rialzato scegliere la canzone successiva. Where are your friends tonight?, continua a chiedere, ed io la risposta davvero non la so.
***
“Reagisce meglio del previsto.”
“Sì, ottimo soggetto.”
“Il team come sta andando?”
“Bene. I nuovi si stanno integrando con quelli scelti da lui. Un po’ troppo anarchici.”
“Pensi che…”
“Solo se necessario.”
“I nostri?”
“Firmeranno a suo nome. Alcuni già lavoravano per…”
“Sì, chiaro.”
“E per Antonio.”
“Mh.”
“Cosa?”
“Ce n’era davvero bisogno?”
“Lo sai anche tu che non ho fatto niente stavolta, è stato lui”
“Sì, ma…”
“Sarà utile, non ti preoccupare.”
***
Ieri ho passato il limite. Dal nulla hanno cominciato a parlarmi in tre su googlechat. Ho detto che stavo uscendo e ho salutato tutti affrettatamente.
Poi mi sono deciso, non ne posso più, ci pensavo da un po’. Basta, davvero.
Sono andato alla libreria e l’ho preso. Il web è morto, viva il web. Non ho potuto fare a meno di ridere. Com’è ironico il fato, i segnali che ci manda quando si diverte a prendersi gioco di noi.
Ho controllato la quarta di copertina mentre cominciavo a premere i numeri sulla tastiera.
“Pronto?”
“Gianroberto?”
“Chi parla?”
“Mi chiamo Francesco. Però scommetto che conosci il mio blog. Vorrei proporti un patto. So come funzionano le cose, vorrei farne parte anche io.”
“…”
“Beh?”
“Non parliamone qua. Ci incontriamo per un caffè e ne discutiamo un po’, ti va?”
“Va bene.”
“Senti, se ci trovassimo d’accordo… ti piacerebbe vedere Sutton Square di persona? Sai, mi pareva che ti piacesse…”
“Sì.”
“Bene. Mi faccio sentire. Ciao”
***
Mi hanno lasciato quelle quattro pagine sul comodino. Francesco Fungo, c’è scritto grosso nella prima, e la grafia è la mia, il nome è il mio. Continua con una serie di dati inutili per una pagina e mezza. Salto. Leggo. Dipendenza, recupero, collaborazione, editore fantasma, amnesia indotta, 2.0. Rileggo, non ci posso credere. Io sottoscritto Fungo Francesco… non ci posso credere. Però comincio a sentirmi meglio. Respiro. Non ho neanche voglia di dormire.
Entrano, gli chiedo se posso tornare in quell’ufficio, devo chiedere una cosa. Nessuna sorpresa. È tutto normale, certo, non sono il primo, eccetera.
E adesso, domando. Adesso ci pensiamo noi. E se volessi aggiungere qualcosa? Puoi, chiaro che puoi. Beppe aggiunge sempre delle battute qua e là. E gli altri? Gli altri li hai scelti tu, da prima. Io? Tu.
You think over and over, "hey, I'm finally dead.”
Io. Va bene allora, scriverò qualcosa io, voglio sancire il passaggio, voglio marcare la differenza. Non esiste e non è mai esistito, è una vostra proiezione mentale, batto in terza persona come da protocollo, rido da solo adesso nella luce fioca della stanza, e altrove continuo, dopo 5 anni e mezzo, da queste parti comincia l'era due punto zero.
Previously, on Radiohead: esce un disco nuovo, puoi scaricartelo senza pagare, è legale. Lo sa pure mia nonna che ascolta Radio Zeta. La promozione del disco e dei singoli è fatta attraverso iniziative che sfruttano web, UGC, eccetera. Tra queste trovate spicca Nude Re/mix: puoi scaricare i "layer" di cui è composta la canzone, e successivamente caricare il tuo orrido remix sul sito stesso. Ma la canzone ha struttura ritmica e compositiva che rende l’operazione – o almeno, ottenere risultati decenti – quasi impossibile. Fin qui ci siamo.
Finché arriva un tizio chiamato James Houston, e decide di suonare Nude utilizzando le seguenti apparecchiature al posto degli strumenti:
Sinclair ZX Spectrum – Guitars (rhythm & lead)
Epson LX-81 Dot Matrix Printer – Drums
HP Scanjet 3c – Bass Guitar
Hard Drive array – Act as a collection of bad speakers – Vocals & FX
Era solo questione di tempo: prima o poi doveva accadere. Come riportano diverse fonti (1, 2, 3), un giornale musicale piuttosto blasonato (Rumore) ha recensito, senza accorgersene, la versione fake di un disco diffusa su internet al posto di quella vera. Il disco in questione è Narrow Stairs dei Death Cab for Cutie, eletto Disco del mese dal mensile in una recensione firmata da Sara Poma (ma probabilmente, c’è da dire, di questi tempi una cosa simile poteva capitare quasi a chiunque) che con tutta evidenza parla del disco sbagliato, citando arrangiamenti elettronici, inserti di pianoforte, o sperimentazioni rumoristiche di cui nei brani originali non c’è nemmeno l’ombra (e nei fake sì).
E’ già noto da un po’ che la copia del disco che è stata diffusa in rete ad inizio Aprile è in realtà per lo più composta da pezzi della band tedesca Velveteen, e complici l’incredibile somiglianza tra il sound dei due gruppi e gli mp3 perfettamente taggati, ci sono cascati quasi tutti (anch’io). Se avete scaricato una copia del disco ad Aprile, è probabile che anche voi abbiate la versione sbagliata (controllate su wikipedia se la durata delle canzoni coincide).
Lascio a voi le prese per il culo (qui c’è già un instant-blog), i sorrisini per la palese figura di merda e i sacrosanti O tempora o mores, che in prima battuta di fronte a un passo falso così evidente sono quasi inevitabili. Chi sa come va il mondo, però, sa anche che qualunque appassionato di musica nel 2008 (anche i professionisti, sì) non può prescindere dall’ascolto e dal download, legale o meno, di canzoni e dischi da Internet, e che incidenti del genere sono -e saranno sempre di più- all’ordine del giorno. Le cause e le conseguenze di una situazione simile sono tante, e anche se a tal proposito sono già stati scritti fiumi di inchiostro, siamo certamente ancora ben lontani dall’averle approfondite tutte.
Mi piacerebbe che nel prossimo numero di Rumore, invece di far finta di niente (ce ne scorderemo, in fin dei conti) o di liquidare la cosa in qualche trafiletto, ci fossero un po’ di articoli, magari firmati dai collaboratori più lucidi del giornale (da Campo a Lo Mele, da Compagnoni a Girolami, da Pomini a Messina) che approfondiscano la questione e riescano a farcela vedere anche dalla prospettiva che noi non addetti ai lavori non abbiamo. Sarebbe una prova di onestà e lungimiranza non da poco.
Perché limitarvi ad ascoltare cassettine farlocche confezionate con freschi mp3 da persone che conoscete con dentro canzoni che nella maggior parte dei casi vi eravate già scaricati (leggi muxtape) quando potete ascoltare le cassettine vere di persone che sono sì assoluti sconosciuti, ma ehi, almeno loro hanno una vita vera? E magari suonano in un gruppo? Oppure magari un loro amico conosce uno che è cugino di uno che suona in un gruppo?
Cassette from my ex[via] è stato creato dal fondatore di Found Magazine, e si propone di raccogliere compile analogiche fatte da ex fidanzati/e e successivamente dimenticate nel cassetto, corredate di post memoriale e dalla puccissima immagine dell’amato/odiato dispositivo di tortura.
Un esempio: la cassettina di Joe, ex ragazzo di Claudia Gonson dei Magnetic Fields, compilata nel 1986. Wow. Oppure, vediamo, er, no, per ora è l’unica a sollevare in me un vaghissimo interesse.
Tempo di chiudere il post ed è scemato del tutto pure quello.
Inkiostro, perfavore, torna.
Questo primo maggio, non ho da aggiungere nulla a questo oggettino (da www.tecnocino.it).
Chi ha orecchie per intendere, intenda questo silenzio che grida.
Ok, che non sono inkiostro l’avete capito, sono kekkoz, bla bla bla, è inutile ripetere tutta la solfa. Non essendo io come blublànchet che si è preparato il lenzuolone un mese fa, né come Valido che ormai chiama il dibs pure su cose che non sono ancora successe, ed essendo io un timidone, cosa mi rimane da dire?
Mi toccherà parlare di sesso.
Sesso. Sesso sessone.
E’ sempre bello infilare il naso in rete nel magico mondo del biscotto pucciato.
Per esempio, la vedete questa poltrona, qui sopra? Costa 500 dollari, l’ho scovata su Apartment Therapy (il link è NSFW), e serve dichiaratamente a chiavare. Ripeto, dichiaratamente. Cito testualmente: "By night, it is the ultimate love making lounger! You will lose yourself in the experimentation and sexploration". Sic. Sexploration? E noi che abbiamo perso tutto quel tempo al Covo e alla Casa 139, invece di stare a casa a sexplorare. E c’è anche ques’altra, ma costa il doppio, e si sa, noialtri siamo tirchi, che sennò i dischi ce li compreremmo e basta. Cielo, è davvero inkiostro questa cosa della poltrona, ho i lucciconi. A me una libreria, presto!
Altra cosa, poi vi lascio perdere, giuro.
Basta, con i commenti disinteressati negli shoutbox di Lastfm tipo "ehi ma anche tu sei di Milano e anche tu ascolti Styrocoso, vediamoci"! Basta, con le foto ammiccanti su Flickr e "mi piace davvero come hai composto l’inquadratura, sulle tue poppe, e che colori"! Ora, per trovare la vostra anima gemella sull’internet c’è Intelligentpeople.com (via). Se vivete in Nord America (o nel Regno Unito o in Danimarca), e siete intelligenti, ma intelligenti intelligenti in modo assurdo, questo è il sito che fa per voi. Basta rispondere a 18 semplicissime domande in un tempo massimo di 18 minuti e potrete accedere al sito di dating definitivo, dove troverete soltanto persone in grado di rispondere alle suddette – e soprattutto che hanno tempo da perdere per fare una roba simile.
(per dire, io tra la domanda 8 e la 10 stavo già raccogliendo il latte dalle ginocchia a brocche e ho cominciato a rispondere a caso. Non mi hanno accettato. Un poco mi frustra. Non tromberò mai più?)
Prova anche tu il brivido di una serata ad alto tasso di IQ: una cena macrobiotica, una partita a Scarabeo, la visione dei contenuti speciali del Ritorno del Re, Mozart, e sentirti dire mentre ti stai togliendo le mutande "Scusa, non ho mai praticato una fellatio, me la spieghi un po’?".
A quando anche dalle nostre parti, questo sito bellissimo e risolutivo?
Ah no, scusate, noi qui abbiamo rieletto Berlusconi.
(che poi, inkiostruccio, mentre eri via qui è diventato presidente del Senato un ex DC tacciato di viscidume a livelli bipartisan, il cui unico provvedimento politico fu dichiarato anticostituzionale? Dico, sei davvero sicuro di voler tornare?)
Ciao, ero kekkoz e saluto tutti quelli che mi conoscono.
Da un paio di giorni mi sembra di avere il jet-lag, non riesco mai a capire che ore siano.
Forse dovrei cominciare a portare un orologio; magari uno tipo questi:
Qua da noi non è ancora uscito (nè è nota la data di uscita, credo), ma nel resto del mondo l’ultimo film di Michel Gondry Be kind the rewind ha dato il via già da un po’ a un fenomeno curioso: così come i protagonisti del film girano delle versioni tarocche e molto lo-fi dei film del loro videonoleggio (qui, ad esempio, c’è la loro versione dei Ghostbusters), così là fuori è pieno di gente con troppo tempo libero che crea versioni «sweded» (chissà se da noi lo tradurranno «svedesate») di celebri film. Un mesetto fa su YouTube ha avuto una certa fama una sgarrupatissima versione di Star Wars, ma ieri mi ha davvero conquistato il sontuoso ed assolutamente esilarante remake de La compagnia dell’anello che trovate qua sotto (via). Se non vi basta (ma a quel punto forse dovreste farvi vedere da uno bravo), qui e qui c’è pure la versione extended.
Se poi qualcuno ha voglia di girare una versione sweded di Casablanca, io ci sto. Però il ruolo di Humphrey Bogart lo faccio io.
-Disclaimer di rito-
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