Venerdì, Radiohead live@Ferrara
2+2=4; l’esempio calza. non aspettatevi il 5 dalle addizioni. insomma c’era un’afa cristallina, poderosa e carnivora, di quelle labbra che il solo vociare falsettato credevano potesse dissipare. una somma di pelli filtrate attraverso lo stesso strato di attesa, ecco che si inabissa la bassa marea seduta, tutti si alzano e spopolano la posizione acquisita, si protendeno verso l’altare, ara dove si consuma il sacrificio, il loro, il nostro. torno ancora sul cielo acerbo di questa stagione ma già morso, miracolo di ingegneria genetica. torno ancora sulle magliette direzionali con la scritta RADIOHEAD, radioteste sintonizzate sull’unica onda magnetica. la dolorosa portata anticipale serve a rendere buono il piatto successivo. avete vene abbastanza capienti anche per i FLOW? ma dite davvero? il calore si addossa sulle spalle, svenire per la metà giusta. ok. crescono sul palco-scenico, molto scenico, molta scena. ma i brividi dove sono? il mio vicino di sudore si dimena come autoerotismo per la testadicazzo che è, RADIOCUMSHOT precoce, la mia segugia si fa festone delle mie ossa e grida un festival in stereofonia ma della radio sbagliata, stonante, sbadigliato le concedo uno sputo di dissapore. cambio onda e percezione, mi lego alla prossima corrente. intanto sento le caviglie bagnare il disagio, mi inietta addosso il senso di impazienza, quale sarà il confine di questo mare e dove mi lasceranno naufragare? il cielo ha un fresco invito scritto tra le stelle rimaste, poche, umide e anche loro insensate per qualunque occasione, torno il mio collo abituale, il mio orizzonte frastagliato e non mi reggono le punte come ad una ballerina. il mio vicino di stato mi pare viaggiare e lidi da me non trovati, recepisco il concetto, non recepisco il concerto. non lo so, ho delle emozioni appena accennate, è tutto il resto che talmente travolge che tanto spazio mi viene asportato, le luci più che altro sono ricettacoli per chi non sa fare bene il pellegrino di queste occasioni, il turista. ecco il turista, the tourist e lento mi spinge controcorrente, mi nascondo lontano in una piazza dove spero meno abitata, già è difficile posare il passo dietro l’alro, ho certi sguardi di malridotto che mi rifletto nelle pupille altrui. acqua per favore, e sorprendo gli ultimi miraggi lontano, da lontano. quasi l’appena è migliore e solfeggia fiati di cieli più bassi ed estasiate. la gente raccoglie e schiaccia il sudore attraverso un rumore e germoglia braccia come ovazione. io sono sradicato dalle mie ragioni, ho il gusto solo quando ne sento davvero il bisogno, e madido e il mio disco funziona meglio nel piccolo raccoglimento della camera, le sensazioni sgorgano come belle presenze, più tattili che altrove, funziona meglio il mio disco acceso e suonato in un borgo svenuto nella mia camera, ai confini col lenzuolo, occhi sospesi, denti fieri e labbra seguono il movimento che suggerisce l’atmosfera creata, tersa e filtra tutto il bagliore, altrove non si può, ma altri possono e non mi va di discriminare.
mi sono introdotto, in questo pomeriggio dopo il concerto. inkiostro si è concesso un riposo, io gli ho rubato momentaneamente il posto. PALaZ