I 5 dischi del semestre
[Non ho voglia di premettere la solita pippa sul fatto che le classifiche sono stupide e superficiali e bla bla bla, come si fa di solito; quindi se siete di quelli allergici al gioco delle top ten e alla connessa leggerezza da pipparoli hornbyani fatevi un giro ed evitate commenti inutili]
Visto che da queste parti a fine anno ci si diverte a stilare la top ten di quelli che ci sono più piaciuti tra i dischi usciti nel corso dell’anno (qui quella dell’anno scorso -che ovviamente già cambierei…ma fa parte del gioco), questa volta ci portiamo avanti, ed essendo da pochi giorni scollinati sulla china del primo semestre dal 2004, ci fermiamo e facciamo il bilancio intermedio dei 5 dischi del semestre secondo il tenutario del presente blog.
In rigoroso ordine alfabetico:
Adem – Homesongs. Ci ha messo un po’ a convincermi, dovendosi far strada in mezzo al mio scetticismo da cheppalle-un-altro-disco-voce-e-chitarra: ma a forza di canzoni sussurrate come carezze eppure violente come spallate è entrato di prepotenza tra i miei dischi dell’anno, rovinandomi anche più di una giornata. Da prendere a piccole dosi.
Blonde Redhead – Misery is a butterfly. Non perchè da anni sono tra i migliori, non per la costante evoluzione senza passi falsi, non per l’hype che li circonda nè perchè 2/3 hanno origine italiana: solo e semplicemente perchè è bellissimo. E’ tautologico, lo so, ma davanti alla bellezza non c’è nient’altro da dire.
Modest Mouse – Good news for people who love bad news. Ha almeno 4 canzoni che già da sole basterebbero a qualificarlo come un disco enorme, e in America se ne sta accorgendo pure Mtv; ma qui si parla del disco giusto al momento giusto, che con la sua aura da the good times are killing me è stato la colonna sonora di un sacco di cose. Quei ricordi rimarranno attaccati come dei post-it, e il fatto di non poterli strappare via sarà contemporaneamente inebriante e insopportabile. Ed è esattamente ciò che dovrebbere accadere a tutti i buoni dischi.
Morrissey – You are the quarry. Lo so tutto a memoria, o giù di lì. E in questi tempi di fast music e overdose di dischi è una cosa più unica che rara. Il resto è un successo su tutta la linea: testi, musica, atmosfera, interpretazione e personalità. Il Moz rimane una certezza, e il fatto che non ci sperassimo più rende tutto ancora più bello.
Piano Magic – The troubled sleep of piano magic. L’ho capito dalle prime note di Saint Marie che un disco così fuori dal tempo, che se ne frega più o meno di tutto e di tutti, mi avrebbe conquistato. Colpisce al cuore più che al cervello, e non se ne va più.
[Poco rock con la ‘r’ maiuscola, poca elettronica vera e propria, pochi dischi seminali e fondamentali per il futuro, poco zeitgeist sulle tendenze dell’anno, niente di italiano (davvero sconfortante) e di 3 su 5 dischi non ho mai neanche parlato sul blog. Non ne sono soddisfatto. Ma credo fosse inevitabile.]