Spinning in the grave – The three biggest reasons music magazines are dying è esattamente quello che sembra: un articolo (firmato da Jonah Weiner, ex senior editor del defunto Blender, e pubblicato su Slate.com) sulla morte dei giornali musicali.
Chiudono i negozi di dischi, le case discografiche vanno in rovina, l’intero settore dell’industria musicale barcolla senza essere in grado -pare- di trovare la soluzione per convivere con le nuove tecnologie. E i giornali musicali? Chiudono anche loro.
Negli States hanno già cominciato da un po’, qui da noi sembra tutto immobile (ma forse è solo perchè siamo come al solito in ritardo, oppure perchè la crisi colpisce meno duro se un settore è già perennemente in crisi), ma il fenomeno è cominciato, e difficilmente si attenuerà.
Weiner non si limita a rilevarlo, ma cerca anche di spiegarlo: quali sono le ragioni per la fine dei giornali musicali? Queste le sue risposte:
1. There are fewer superstars, and the same musicians show up on every magazine cover.
2. Music mags have less to offer music lovers, and music lovers need them less than ever anyway.
3. Music magazines were an early version of social networking. But now there’s this thing called "social networking" … [#]
Il punto 1 a me non pare così fondamentale, ma forse chi bazzica giornali con tiratura e pubblico più ampio di quelli che leggo io (XL o Rolling Stone, per dire) può confermarne l’importanza.
Il punto 2 è sacrosanto: la rete contiene tutto quello che contengono i giornali, con in più contenuti multimediali e funzionalità interattive che la carta non potrà mai avere. I giornali li puoi leggere in treno, sotto l’ombrellone o in bagno e vederli impilati fa un bellissimo effetto, ma difficilmente la cosa basterà a salvarne la maggior parte dal (fisiologico?) rimpiazzo da parte dei siti web.
Il terzo punto è interessante, e si distanza un po’ dalle solite argomentazioni. Non sono solo Pitchfork e Drowned in sound (gratuiti, ben scritti, aggiornatissimi e pieni di contenuti multimediali) a uccidere i giornali, ma anche e soprattutto i blog e la loro rete, e poi Facebook, Twitter, Last.Fm, i forum, i fan site, le mailing list, tutti i posti in cui l’appassionato di musica incontra i suoi simili, si scambia dritte e opinioni (e da un po’ direttamente i dischi) e coltiva la sua identità musicale come una volta faceva anche e soprattutto grazie ai giornali musicali e ai negozi di dischi.
E la mitologica figura del critico musicale? Si sta trasferendo sul web, ma secondo Weiner è comunque destinato a ridimensionarsi non poco:
Meanwhile, with the proliferation of online music, sanctioned and otherwise, music fans don’t need critics to play middleman the way they once did: If a fan wants to decide whether he likes a new album, there are far easier ways than waiting for a critic to weigh in, from streaming tracks on MySpace and YouTube to downloading the whole thing on a torrent site or .rar blog. The value of the music reviewer has always been split between consumer service (should people plunk down cash for this CD?) and art criticism (what’s the CD about?), but of late the balance has shifted from the former toward the latter—answering the question of whether to buy an album isn’t much use when, for a lot of listeners, the music is effectively free. It’s a valid point that the professional critic still wields an aura of authority rare in the cacophonous world of online music, but between taste-making blogs and ever-smarter music-recommendation algorithms like Apple Genius and Pandora, the critic’s importance is being whittled down. [#]
E’ davvero l’inizio dela fine? I giornali musicali riusciranno a mantenere un loro ruolo o il loro settore (per definizione multimediale e interattivo) ne decreterà la morte? La nascita e l’evoluzione del web, per sua natura più adatto a gestirne i contenuti e in grado di dare un’esperienza più ricca al lettore, determinerà la fine dei giornali musicali così come li conosciamo?