midlife crisis

lunedì, 03 11 2008

Lo vuoi un palloncino colorato?

Inkiostro mi ha chiesto di remixare gli I’m From Barcelona, con la stessa leggerezza di uno che chiede a Troy McLure di tenergli d’occhio l’acquario (tutte le altre similitudini che mi vengono in mente sono più fiche, ma probabilmente poco adatte a un pubblico facilmente impressionabile). Io però non avevo ancora sentito il pezzo originale e allora ho deciso di accettare a scatola chiusa. L’ascolto delle singole parti vocali e strumentali si è subito tradotto nell’entusiasmo di poter tradurre i cori di chiesa in una disperazione industriale alla Radiohead trattata con tecniche di produzione alla Burial o alla Four Tet. Il pezzo originale invece era più dalle parti di un cartone animato degli Arcade Fire, con lieto fine. Nel mio caso invece la trama è che c’è un serial killer vestito da cantante degli I’m From Barcelona che testa l’età mentale degli indie-kid col Nintendo DS e il giochino della Kidman e se uno dimostra meno della metà dell’età fisica lo fa a fette. Ovviamente il lieto fine ce l’ho anch’io: il serial killer non uccide le indie-kid e canta con loro il coro finale sul tetto dell’Hana-bi.

it-pennywise-basement

mercoledì, 15 10 2008

Appunti per una pièce da spogliatoio


Da qualche mese a questa parte ho preso la decisione di fermare la lenta ma inesorabile demolizione del mio corpo ricominciando a fare sport. Dopo un periodo passato a fare attività che appartengono alla categoria "noia mortale" (cyclette, corsa, aratura manuale dei campi fuori Settimo Milanese) ho deciso di staccare dal chiodo la racchetta da tennis e vedere se valevano di più i dodici anni di attività o i dieci di inattività. Se avete scommesso sulla seconda complimenti, avete vinto, passate alla cassa e ritirate il buono omaggio.  

Tra gli elementi collaterali al fare sport che possono rivestire grande interesse sociologico c’è senza dubbio il filone dei cosiddetti "discorsi da spogliatoio" (o, come li chiamano i sociologi tedeschi, gewurtztraminer), che spesso riservano grandi sorprese. Il rilascio di endorfine dovuto all’attività fisica appena conclusa, unito a quel minimo di intimità necessaria a svestirsi davanti ad una persona estranea e sessualmente non attraente porta le persone a denudarsi in maniera anche metaforica, lasciando emergere parti dell’io sconosciute e sommerse. Questo fa si che vengano formulati discorsi di grande pregnanza filosofica e poetica, che potrebbero rivaleggiare con le più grandi pièce teatrali della nostra cultura contemporanea.

(Va anche detto che questi discorsi sono nulla a confronto di ciò che accade negli spogliatoi femminili, almeno a giudicare da alcuni filmati che mi è capitato di visionare per sbaglio convinto che avrei assistito a Caos Calmo.)

Certo dell’alto valore teatrale e, perchè no, poetico del monologo che ho ascoltato oggi, mi sono riservato di arrivare a casa e appuntarmelo, sai mai che torni utile a qualcuno.

Luogo: spogliatoio di circolo tennis. La stanza che ospita lo spogliatoio è divisa a metà dalle docce. Due amici quaranta-cinquantenni chiacchierano, probabilmente convinti di essere soli, mentre si svestono per farsi la doccia dopo la partita. Entrambi lombardi, uno dei due ha un accento che tira verso il Veneto, e di quelle parti ha la caratteristica erre arrotata. Dopo una breve disamina della partita, quello dei due che pare aver perso – il veneto –  porta il discorso verso una decisa deriva esistenzialista. Il dialogo che segue ha forma di monologo perchè l’amico non controbatte alle affermazioni del primo ma si limita ad ascoltare e talvolta interviene annuendo o sogghignando. Pur non vedendo la persona che parla, la immaginiamo con lo sguardo perso nel vuoto, come in trance, mentre dal profondo della sua anima emergono concetti profondi ma al tempo stesso estremamente limpidi.

<RUTTO SONORO>,
…ieri sera l’ho trombata, ma di malavoglia…
…il problema… è che non c’è più l’amore…
…eeeehhh, beato te che sei innamorato, beato te…
…certo che poi, alla fine, l’uomo innamorato è l’ombra di se stesso.


Sipario. Applausi.

venerdì, 10 10 2008

SFW XXX : Porno di Moda, Moda Porno

mercoledì, 08 10 2008

If that really is your name – Part one

di

Sentire un nome in una canzone, soprattutto quando è il nome di una persona realmente esistita, mi fa sempre un certo effetto. Non so bene nemmeno io perché. Forse perché mi ricorda un pezzo di Billy Joel per cui andava matta mia madre circa una ventina di anni fa, che si chiamava We didn’t start the fire. Fu proprio lei a spiegarmi che il testo della canzone, che a me sembrava fatto di parole confuse di una lingua a me ancora sconosciuta, era composto unicamente da eventi di quarant’anni di storia. La maggior parte dei quali erano nomi e/o cognomi di celebri americani. "Senti, che in questo punto dice joe-di-mag-gi-o?". Quel giorno, scoprii chi era Joe di Maggio.

Allo stesso modo, mi ha fatto effetto sentire come Knickerbocker, la canzone che apre Lightbulbs, il terzo disco di Fujiya & Miyagi – e il loro lavoro migliore, a mio avviso – sia basata sulla ripetizione della frase "Vanilla, strawberry, knickbocker glory, I saw the ghost of Lena Zavaroni". Anche perché, al di là della vaniglia e della fragola, io non lo sapevo, chi fosse questa Lena Zavaroni. Adesso lo so.

Chi era Lena Zavaroni?

Lena Zavaroni era una cantante. O meglio: una bambina-prodigio. A tutt’oggi, la più giovane artista ad aver mai conquistato la top10 nel Regno Unito. Scozzese, classe 1963, Lena pubblicò infatti il suo primo album nel 1974. Uno di quei piccoli mostri che ogni tanto spuntano fuori, e diventano famosissimi, e tutti a dire ma quanto è pucci Lena, e quanto talento la piccola Lena, ma guarda come canta Lena, cielo, e poi purtroppo Lena diventa adulta, e muore.

Lena Zavaroni è scomparsa nel 1999 a causa di un’anoressia nervosa che le aveva reso la vita impossibile fin dall’età di 13 anni, peggiorata dalla morte della madre per overdose di tranquillanti, un matrimonio fallito dopo un anno e mezzo, una denuncia per furto per aver rubato un pacchetto di caramelle all’età di 35 anni, diverse overdose, diversi tentativi di suicidio, diversi elettroshock, e un’operazione psicochirurgica definitiva che invece di guarirla le provocò una polmonite, uccidendola. Alla sua morte, Lena Zavaroni pesava 32 chili.

Flashback. 1974. Lena Zavaroni ha di nuovo 10 anni. Ed è ospite di Johnny Carson, al Tonight Show.

Mi è sembrato di vedere un fantasma. A voi no?

Billy JoelWe Didn’t Start the Fire (mp3)
Fujiya & Miyagi Knickerbocker (mp3)

(Fujiya & Miyagi saranno in Italia nei prossimi giorni: a Milano al Rocket il 9 ottobre, il giorno dopo a Bologna al Covo Club, e l’11 a Roma al Circolo degli Artisti)

 

 

[Update by ink: pare che un membro della band abbia appena perso il passaporto e che sateranno quasi sicuramente la data di Milano e probabilmente anche Bologna e Roma. La notizia non è ancora confermata ufficialmente, quindi rimanete sintonizzati per aggiornamenti (e incrociate le dita). (via e via)]

 

 

[Update all’update by ink: E’ confermato: il tour italiano di Fujiya e Miyagi è rimandato al 4-5-6 dicembre. (via)]

 

 

domenica, 28 09 2008

Choose. Your. Own. Guru.

di

PER LEI:

Chi: Gwyneth Paltrow

Url: http://www.goop.com

Slogan: nourish the inner aspect

Spiegati meglio: Make your life good. Invest in what’s real. Cook a meal for someone you love. Read something beautiful. Treat yourself to something. Go to a city you’ve never been to. Learn something new. Don’t be lazy.

Chi potreste cuccare: Brad Pitt, Ben Affleck, Chris Martin



PER LUI:

Chi: Andrew W.K.

Url: http://www.awkarchive.com (sezione "text")

Slogan: PARTY HARD!!!

Spiegati meglio: DO WHAT EVER YOU WANT! NEVER LET DOWN! LIFE IS TOO SHORT! NO REGRETS! LIVE HARD! OUR TIME HAS COME!!! LIVE!!! NOW!!! OR NEVER!!!

Chi potreste cuccare: Melissa Auf Der Maur (non verificato)

mercoledì, 10 09 2008

Ci sarà un cerotto per smettere, come per le sigarette?

di
Niente link, foto o video; oggi scrivo dal più profondo del cuore di un fatto molto personale: mi sono stufato delle serie televisive.
A questo punto il pubblico immaginario emette un “oooooh” di sorpresa; conoscendomi, sa infatti che sino a due minuti fa ne ero uno dei fan più accaniti; i miei pomeriggi post scuola di bambino figlio di divorziati li trascorrevo in loro compagnia: in pratica, sono stato allevato dalla signora Garrett; una volta aperto un blog, ne ho scritto in diverse occasioni e in argomento ho sempre un’opinione con cui illuminare mondo.
Ora non più. Ora, esse sono un corpo estraneo laddove prima erano una parte di me non meno importante del fegato (peraltro trattata assai meglio di quest’ultimo): ho infatti realizzato, quasi all’improvviso, che le serie televisive sono il male.
Pensateci.
Ormai sono fatte troppo bene. Sono troppo belle. E sono troppe.
Esse, con la loro beltà, scippano la parte migliore delle nostre giovani – colpo di tosse – vite; non abbiamo più tempo per altro; ci attacchiamo, assetati, al primo rivolo di torrente che sgorga alla mattina, dopo la lunga nottata di attesa; ma spesso ci attende il dramma, perché senza sottotitoli non si va da nessuna parte: e allora possono essere giorni di vero e proprio strazio.
Io non leggo più. E non parlo di Dostoevskij, bensì di Vanity Fair. Sono indietro con Vanity Fair.
Una volta, in crisi d’astinenza, mi sono fatto spedire un cofanetto da un amico che lavora negli Stati Uniti. Me lo ha mandato (senza batter ciglio, come fosse cosa normalissima) con il sistema di posta interna in uso nella megagalattica entità per cui lavora. Sono andato a ritirarlo dalle mani di una efficiente segretaria presso la sede milanese della menzionata entità, simulando un’espressione seria, come se si trattasse di documenti d’importanza capitale, in realtà sforzandomi di trattenere una risata sguaiatamente nervosa per l’assurdità della situazione; avevo una metaforica (almeno spero) bava da impazienza alla bocca.
Le serie negli ultimi anni hanno dunque cambiato le nostre vite; ma per il meglio? Non ne sono più sicuro.
Siamo malati, questo è certo, e io prima d’ora sono sempre stato un grande supporter delle ossessioni. Perché è di questo che si tratta. Non c’entra necessariamente la qualità del prodotto. Il meccanismo di cui andiamo alla ricerca è l’ossessione per l’ossessione, la (appunto) serialità.
Perché ci succede? Ha senso interrogarsi seriamente su questo? Perché ne ho sentito la necessità? Perché non la sento per altri tipi di interessi?
Il capolavoro del subdolo lo compiono le serie considerate più….“serie”; non i guilty pleasures come Gossip Girl, troppo facilmente attaccabili.
Prendete Mad Men, la serie che nel nostro piccolo mondo di blogroll e twitter friends sta andando per la maggiore (a dir il vero anche su giornaletti come il New York Times e il New York Magazine; sul New Yorker non so). É fatta molto bene. Non avevo mai visto una tale attenzione per la regia, per i dettagli di sceneggiatura (indimenticabile per me il particolare di un palloncino che rimane simbolicamente impigliato in una porta, per liberarsi solo qualche attimo dopo).
Ma poi? Non vi chiedete mai, alla fine dell’episodio di turno della serie osannata di turno, “E allora?” (la stessa domanda è da porsi alla fine di una giornata qualsiasi, ma questo temo sia un poco off topic). Voglio dire, ormai vengono sfornate con ritmo incalzante serie su serie fatte sempre meglio, sempre più vicine alla cura utilizzata per i film. Solo che… non sono film; non ne hanno la compiutezza né l’ambizione (di voler dire qualcosa, di dimostrare una tesi). Ma non si limitano più soltanto a raccontare una storia. Sono nel mezzo, né carne né pesce. Paradossalmente, sono fatte troppo bene. Illudono lo spettatore sulla loro profondità. Sono molto forma, poca sostanza. Spesso è più intrigante l’idea di base della serie stessa realizzata nella sua interezza. E infatti il meglio lo danno all’inizio, quando dipingono l’ambiente e presentano i personaggi. E poi?
E poi c’è il nulla. E solitamente infatti sbracano. Ma a quel punto è troppo tardi, e noi siamo già stati presi all’amo.
Ho la sensazione di avere perso tanto, troppo tempo prezioso.
Che dite, esagero? Ho diritto a dire quanto sopra se non più tardi di ieri mi sono procurato la puntata di una nuova serie oggetto di parecchio hype? o è solo che sono, siamo, un coacervo di contraddizioni? O, ancor più banalmente, è la crisi del settimo anno di un innamorato?