In questi giorni è tutto un gran fermento di analisi e arzigogoli sul rispetto delle istituzioni, delle sentenze, sul ruolo della Consulta e su altre amene questioni. Vorrei fare qualche considerazione grossolana sulla natura "politica" della Corte Costituzionale e su ciò che questo potrebbe voler dire:
1. La Corte Costituzionale, a differenza, ad esempio, della Corte di Cassazione, non è formata da giudici che, avanzando nella loro carriera, giungono infine a un traguardo così illustre. La corte ha formazione squisitamente politica, essendo costituita da 15 giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento e (solo) per un terzo dalle "supreme magistrature". Questa composizione non è ovviamente casuale: il ruolo della Consulta è di porre un limite alla discrezionalità del legislatore, un limite sostanziale al potere dei rappresentanti del popolo di legiferare. In questo senso, non si tratta di un giudice come gli altri. I giudici costituzionali sono un contrappeso al potere del Parlamento. Le leggi le fa il Parlamento, ma le leggi non possono disporre liberamente di certi questioni.
2. Il giudizio di costituzionalità delle leggi è una faccenda estremamente delicata. Chiunque abbia mai dovuto cimentarsi con un codice, una legge o un problema di diritto sa bene che le norme giuridiche non hanno molto in comune con le equazioni matematiche. Il linguaggio umano è uno strumento ambiguo e polivalente e anche il legislatore più capace lascia innumerevoli lacune, margini di dubbio, incertezze. Funziona così, non è un difetto di questa o quella legge (anche se ci sono norme migliori di altre, da questo punto di vista). E’ una cosa connaturata alla legge. E, spesso, è fatto pure apposta: il legislatore è vago (o flessibile) perchè gli risulta impossibile prevedere tutti i vari casi della vita a cui quella norma dovrà applicarsi. A fare questo secondo lavoro, via via che i casi della vita si presentano, ci sono i vari operatori del diritto e, in ultimo, i giudici. L’utopia positivista del giudice-macchina che applica la legge senza interpretarla è, appunto, un’utopia. Si può discutere (e ci sono scaffali e scaffali di biblioteche che lo fanno) su limiti e modalità di questa attività interpretativa. Ma non la si può eliminare. L’interpretazione è un’attività necessaria. Se questo succede per il più specifico dei codicilli tecnici, figuriamoci per una norma costituzionale. La Costituzione, per sua stessa natura, parla una lingua assai più aulica e generica: dispone un sacco di principi generali la cui applicazione è lasciata all’interprete. Prendiamo il famoso articolo 3, primo comma: Tutti i cittadini… sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza eccetera. La lettura spontaneista che invade oggi gran parte del paese è chiaramente infondata: l’art. 3 non vieta di certo al legislatore di prevedere trattamenti differenziati per diverse categorie di cittadini. Le leggi italiane (e di tutti i paesi) sono zeppe di trattamenti differenziati anche in materie delicatissime come il processo penale. E non è neppure vero che queste differenziazioni sono sempre fatte con legge costituzionale. Quello che dice l’articolo 3 (come è stato interpretato, di nuovo, da decenni di giurisprudenza costituzionale) è, in soldoni, che le differenziazioni fatte dal Parlamento debbano essere ragionevoli. Più principio generale di così è difficile trovarne.
3. Anche qui, ci sono scaffali e scaffali di libri sulla faccenda della ragionevolezza e su cosa significhi realmente. Fatto sta che se alla Corte Costituzionale viene chiesto di valutare la compatibilità di una certa norma con l’articolo 3 vuol dire – sempre grossolanamente – che le si sta chiedendo di esprimersi sulla ragionevolezza di un certo trattamento differenziato deciso dal Parlamento nei confronti di una categoria di persone o di situazioni. E’ ragionevole che il codice penale mandi in carcere fino a due anni chi turba una cerimonia cattolica e diminuisca invece la pena se la cerimonia turbata non è cattolica? Non è ragionevole, dice la Corte (sentenza 327 del 2002) e fine del trattamento differenziato tra cerimonie cattoliche e non. E’ ragionevole che il rapporto sessuale tra suocero e nuora debba essere punito come incesto, anche se suocero e nuora non sono parenti ma solamente affini? Sì, dice la Corte, è ragionevole (sentenza 518 del 2000) e l’incesto tra affini in linea retta rimane in piedi.
4. Non solo il trattamento differenziato è ammesso dalla Costituzione, ma talvolta è proprio l’articolo 3 (nell’interpretazione formatasi negli anni) a richiederlo. In altre parole, situazioni diverse non possono essere irragionevolmente accomunate con un medesimo trattamento. Col tempo, poi, la Corte ha ideato anche nuove forme di sentenze, definite dai costituzionalisti "sentenze manipolative", con cui non si dice semplicemente se una norma è conforme oppure no alla Costituzione, ma si dice cosa dovrebbe prevedere per superare il problema di costituzionalità. Tipico il caso in cui la Corte sentenzia che la tal norma è incostituzionale nella parte in cui non prevede la tal cosa. Queste si chiamano sentenze additive, in quanto, a conti fatti, aggiungono un pezzo di norma che il Parlamento non aveva deliberato.
5. La stragrande maggioranza delle sentenze della Consulta sono noiosissime e trattano argomenti ultratecnici e specifici. Basta pescare a caso tra le questioni recentemente sottoposte all’esame della Corte: norme sui riparti di competenze in materia di cancellazione dalle liste elettorali, tassa sulle merci imbarcate e sbarcate, modalità di erogazione dei finanziamenti relativi a certe funzioni attribuite alle Province eccetera eccetera. Sempre, però, anche per le questioni più tecniche, la Corte è chiamata a porre paletti e limiti al potere legislativo. A volte questi limiti sono più meno scritti nero su bianco, più spesso sono frutto di anni e anni di dottrina, interpretazioni, precedenti della stessa Corte, considerazioni sistematiche e parecchia altra roba complicata. Come tutte le sentenze (e come tutti i ragionamenti giuridici in generale) le sentenze della Corte Costituzionale possono suscitare obiezioni più o meno grosse. E negli anni, la Corte ha più volte esteso i confini dei suoi compiti, con estensione creativa della propria funzione.
6. La cosa è molto molto più complessa di così, ma mi sembra che possiamo trarre alcune conclusioni. Primo, la Costituzione ammette trattamenti differenziati e addirittura in certi casi li impone, purché siano ragionevoli. Secondo, i trattamenti differenziati possono riguardare anche principi e materie molto importanti, come la procedura penale (vedi il Tribunale dei Ministri), le immunità et similia (vedi il Presidente della Repubblica, i diplomatici, gli stessi giudici della Consulta), la famiglia eccetera. Terzo, i trattamenti differenziati non sono una deroga all’art. 3: qualsiasi trattamento differenziato deve essere ragionevole e questo è, in soldoni, quel che dice proprio l’art. 3. Quarto, i trattamenti differenziati non devono essere per forza introdotti con legge costituzionale (esempio: è una legge ordinaria che dice che i componenti del CSM non sono punibili penalmente per le opinioni espresse nello svolgimento della loro funzione). Quinto, il compito della Corte confina (e spesso si confonde) con un compito "politico", in senso alto: pone limiti di contenuto al potere legislativo del Parlamento eletto dal popolo. E’ vero che la discrezionalità della Corte è limitata e circoscritta, ma spesso è impossibile fissare il limite tra la valutazione tecnica e quella politica: dire il contrario è un po’ ipocrita.
7. La funzione della Corte Costituzionale è dunque politica, in senso lato e nobile. E non c’è vergogna a dirlo. Diciamo di più: data la vaghezza e la natura di molti principi, il giudizio costituzionale si presta molto a far trapelare le concezioni ideologiche e politiche di chi decide. Scoprire quindi che la Consulta decide in modo (latamente) politico è una non-notizia.
8. Il problema di questi giorni non è questo. Quali che saranno le motivazioni della sentenza sul Lodo Alfano, saranno discutibili e ha poco senso dire che "qualunque cosa decida è giusta per definizione: è praticamente la Costituzione stessa". Certo, è giusta per definizione come lo è, in un processo penale, una condanna definitiva della Cassazione. In altre parole, potrebbe benissimo contenere ragionamenti giuridici discutibili o addirittura incoerenti, ma la legge dice che a un certo punto qualcuno deve prendere una decisione finale. Punto. Per quel che ne so, in tempi di convivenza civile normale, una norma del codice di procedura penale che prevedesse la sospensione temporanea à la Alfano sarebbe probabilmente passata inosservata. O forse no. E’, appunto, discutibile.
9. Il problema è un altro. E’ che si accusa la Corte di essere faziosa in modo doloso e di agire deliberatamente a danno di un altro potere costituzionale. Anzi: si accusano poteri e organi e stampa e imprenditori di concertare a danno di un potere dello Stato.
10. I ragionamenti di diritto, anche quelli banali e imperfetti fatti qua, non c’entrano un bel niente. Il problema è che la civitas italiana si è sfasciata del tutto e dobbiamo solo sperare che non finisca in un coma irreversibile.