Come vi dicevo, non sono un grande frequentatore di festival. E da scarso frequentatore quale ero (e rimarrò), non ho mai sopportato quei report lunghissimi, post o articoli che siano, che infilano pareri su decine di band, raccontano delle code al bagno o della qualità della birra, e si perdono nei millemila dettagli che rendono questo tipo di esperienze tanto straordinarie (perchè lo sono) quanto impossibili da essere davvero raccontate. Poi sarà il decimo post del genere su cui vi imbattete, e io ho ancora un po’ di pietà.
Mi concentro sui miei highlights personali tra i set che sono riuscito a vedere, con contributo fotografico e effetti speciali. Il resto, se vi interessa, ve lo racconto a voce.
Fujiya & Miyagi
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Nerdance! Miyagi si presenta sul palco con un improbabile maglioncino a rombi, ma alla chitarra è uno slego. Fujiya sembra uscito da una biblioteca di fisica, ma le macchine che governa sono implacabili. & (sì, si chiama proprio ‘&’; sono in tre, non lo sapevate?) suona il basso, e basta, ma non serve altro. Partono circospetti, ma un pochi minuti la platea è già la loro, e si balla che è un piacere. L’impressione è di una band dalle potenzialità assai superiori a quelle che emergono dal pur ottimo Transparent Things, e solo nel live si riescono davvero ad apprezzare i serrati incastri matematici dei giri di chitarra con la voce, le abbondanti venature funky e dei beat che, anche se non sembra, funzionano anche sul dancefloor. A questi livelli, una sorpresa.
Justice
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Intollerabili, insuperabili. La console è fronteggiata da una enorme croce illuminata, e circondata da un muro di amplificatori Marshall. Il duo francese sminuzza la pista con la grandeur e la violenza che gli sono proprie, e manda in delirio la folla che a quell’ora è lì solo per loro. Dopo un buon numero di scene surreali e una serie di acutocitazioni talmente spudorate da lasciare senza fiato, fuggo dalla calca, e assisto alla fine del set un po’ in disparte, davanti al camioncino dei Churros. Eppure non riesco a smettere di muovere il piede.
The Apples in stereo
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L’unico concerto col sole, e non a caso: la band di Robert Schneider è quella che ci fa davvero divertire. Più una ghenga di quarantenni in vacanza che una serie di nomi storici del collettivo Elephant Six, sembrano leggeri leggeri mentre la maestria sotto è tanta, e il confronto con gli altri pochi set del genere non dà adito a dubbi. Portateli in Italia, please. E fate risposare Schneider con la ex batterista Hilarie Sidney, così magari fanno pure Sunndal Song.
Modest Mouse
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Non vi dico nulla, chè se v’interessavano li avete già visti a Roma o Bologna. Che probabilmente sono stati superiori come scaletta, durata, strumentazione e quasi tutto il resto. Ma la prima volta non si scorda mai, come lo sguardo spiritato di Isaac Brock o le dita veloci di Johnny Marr sulla chitarra. I was there.
Built to spill
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Come sopra, con qualche problema tecnico in più, e un’umiltà che altre band della stessa statura si sognano. Sempre enormi.
Maximo Park (acoustic set)
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Sacrificato il loro set ufficiale in favore dei Modest Mouse, mi sono accontentato delo showacase acustico pomeridiano, offerto dallo stand di MySpace all’interno della Merienda Warp. Poche canzoni, ma un vero spettacolo scoprirle quasi perfette anche nella semplice veste voce-e-chitarra. Paul Smith ha una T-shirt di Leonard Cohen, sembra un po’ palestrato, sorride e dà davvero l’idea di essere uno simpatico. E Canta da Dio.
Smashing Pumpkins
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Difficile prescindere dall’aria di baracconata che circonda il concerto: i mantelli argentati, la bandiera americana, l’intro sulle note di Suspiria sono tutte cose che sembrano fatte apposta per mettere alla prova il buon gusto del pubblico, e per condannare Corgan a mettere in scena il suo definitivo tramonto da qui all’eternità, come un Elvis degli anni ’90. I pezzi nuovi (a parte il singolo Tarantula, che funziona) sono bruttini, ma sapientemente diluiti tra i vecchi classici sono inoffensivi. La scaletta contiene (quasi) tutto quello che serve. Rivoglio indietro la mia adolescenza, ora.
Menzioni d’onore:
_Grizzly Bear – sempre ispiratissimi, anche se rendono meglio nei piccoli club. Una certezza.
_The Fall – Mark E. Smith è insopportabile. Ancora e sempre un’icona.
_Band of Horses – dal vivo sanno davvero il fatto loro.
_Battles – chevvelodicoaffà.
_Architecture in Helsinki – ancora adorabilmente pasticcioni, ancora una piccola forza della natura.
_Wilco – sempre spettacolari.
[Altri report, ben più lunghi, da Max, Nin-Com-Pop, Colas e Giulia. Per un po’ di video, ovviamente c’è YouTube che già straripa. Sappiamo tutti che questi link non vi servono perchè del Primavera ne avete già le palle ben piene, ma sono un completista, lo sapete]