[0. Intro
Tutte queste parole ti spaventano? (Ciao, Valido, che piacere). Non leggerle: limitati a guardare i due trailer inglesi pubblicati finora – qui e qui – e questo delizioso giochino virale in flash che posterei ora se non fosse grande tre volte il layout di questo blog. Altri link alla fine delle mille righe che seguono]
Lo ammetto, fino ad un paio di giorni fa ero scettico. Scettico? Catastrofista.
Come ogni persona che abbia avuto l’occasione di leggere
Watchmen, probabilmente la più completa graphic novel di tutti i tempi, l’idea dell’adattamento cinematografico mi faceva venire in mente solo cattivi pensieri.
Per almeno tre motivi: il primo, legato all’opera in sé. Anche se non sono mai stato tra i puristi che considerano “fumetto” una definizione derogativa, relegare Watchmen al semplice rango di storia illustrata, magari di fantascienza da nerd cresciuti a pane e Asimov (non me ne vogliano i nerd, può capitare a tutti, anch’io ho letto quasi tutto Asimov fino a 12 anni: poi però si cresce) sarebbe veramente ingiusto.
[1. Del perché Watchmen è una delle più belle storie mai scritte]
Non c’è modo per renderne conto esaustivamente senza rivelare troppe cose che è d’uopo scopriate man mano con la lettura (perché lo leggerete, sì?) e la visione del film. Per farla breve,
la storia è questa: un uomo viene assassinato, si ignora chi siano i responsabili, e si scopre presto che quest’uomo lavorava come, mmh, supereroe (semplifico) prima che una legge
ad hoc per impedire una sollevazione popolare lasciasse alle sole forze dell’ordine ufficiali (ed al quasi-onnipotente
Dr. Manhattan, l’unico in tutta la storia ad avere dei superpoteri) il compito di vegliare sulla popolazione americana. L’unico dissidente tra questi paladini della legge, che è anche la nostra voce narrante (almeno, lo è nel fumetto) indaga.
Oppure potrei essere un po’ più analitico: Watchmen è un’
ucronia (tipicamente una distopia nata da un “what if”) ambientata in un’America degli anni ’80 guidata da Nixon e vincitrice incontrastata sia in Vietnam che nella guerra fredda (a causa del suddetto Dr. Manhattan). O forse potrei partire così: Watchmen è un fumetto con i supereroi, che ne decostruisce il concetto stesso, ne nega la funzione, ne rivoluziona la prospettiva. O forse: Watchmen è un’opera metanarrativa (uno dei personaggi legge continuativamente un fumetto di avventura – alla maniera ottocentesca, con i pirati e i fantasmi – chiamato Tales of the Black Freighter, la cui storia si interseca continuamente con la macrostoria, che a sua volta non si ferma al solo medium del fumetto, ma si amplia con documenti ed estratti di libri e giornali fittizi, come il
New Frontiersman, un giornalaccio scandalistico e cospirazionista che fa anch’esso da frequente raccordo narrativo), permeata di cultura pop (nei colori, negli ambienti, nelle canzoni citate dovunque), ossessivamente intertestuale come ogni opera di Alan Moore (che se non si fosse dedicato negli ultimi dieci anni quasi esclusivamente alla
magia pagana ed alla
letteratura pornografica insieme alla sua seconda moglie sarebbe tutt’ora uno dei più geniali autori viventi), in cui
ogni dettaglio (ogni vetrina di un negozio, ogni scritta su un muro, ogni giornale ed ogni notiziario) ha un suo sottotesto, in cui ogni snodo narrativo si allaccia ad un altro che sembrava esserne totalmente avulso. O ancora: Watchmen, come anche lo splendido V for Vendetta (liofilizzato in pappetta al cinema dai fratelli Wachowski, ma parto altrettanto geniale della mente del signor Moore), è un esercizio di etica, perché costringe a riflettere tantissimo sul concetto di giusto ed ingiusto, sui limiti della libertà umana di operare per un bene comune (ed in senso appena più lato sui limiti che è giusto imporre alla collettività per il bene comune), sulla violenza propria ed inestricabile dal genere umano. Ma è anche un esercizio di politica, è un trattato di sociologia, è una serie di riflessioni mai scontate sul tempo – riflessioni esplicite o esplicate dal continuo susseguirsi di piani temporali, non solo con gli ampi flashback canonici per il genere, ma con scarti improvvisi da vignetta a vignetta. Ed è sicuramente una prova: è dura alla lunga sostenere tutta la violenza che ci presenta davanti, è probante per il lettore abituato al semplice manicheismo di molta della produzione contemporanea dover stabilire di volta in volta se quello che accade è, o ci sembra, (completamente) giusto o sbagliato.
[2. Del rapporto tra Alan Moore e il cinema]
Proprio le mille sfaccettature del prisma narrativo (ed etico, insisto) di Moore sono la causa del secondo problema: il cinema non gli ha mai reso giustizia. Dai personaggi creati da lui ma sviluppati da altri (Constantine) al thriller storico di From Hell, alla distopia orwelliana del succitato
V for Vendetta al delizioso divertissement postmoderno ed iper-intertestuale di
The League of Extraordinary Gentlemen (che i doppiatori italiani hanno pensato di
semplificare ben prima che Wikipedia diffondesse
l’abitudine), Hollywood ha sempre colto di Moore solo il livello di lettura più immediato, il feticismo giocattoloso, lo scarto immaginifico ed immaginativo, badando sempre bene di riallinearne le intemperanze lungo una linea di pensiero più canonica e comprensibile (il lunghissimo calderone di banalità para-new age con cui i fratelli Matrix hanno affogato V for Vendetta). Al punto che Moore è arrivato dal protestare per il trattamento subito dalla sua opera al chiedere che il suo nome fosse tolto dai credits (in V for Vendetta), fino ad arrivare con quest’ultimo film a devolvere tutta la sua percentuale (o almeno così si diceva) al coautore Dave Gibbons, che della storia è il disegnatore, a patto di non venire mai citato in associazione al film.
[3. Di Watchmen, cinema e pessimismo]
Per di più,
Watchmen è un film dichiaratamente
impossibile da realizzare: passato dalla 20th Century Fox alla Warner Bros alla Universal, e di nuovo alla Warner Bros, il tentativo di traduzione cinematografica ha visto susseguirsi invano decine di sceneggiature, trattamenti, supposti registi, produttori, etc. Gilliam, uno che ama le sfide facili (e porta risaputamene una
fortuna micidiale quando si tratta di film – tanto per rimettere le cose a posto con l’intera questione “Heath Ledger e il
film maledetto”), rinunciò dopo aver provato a dirigerlo nell’89 e nel ‘86, proponendo infine che se ne ricavasse una miniserie in sei puntate di un paio d’ore ciascuna. Quando David Hayter, cosceneggiatore dei primi due X-Men, scrisse un trattamento dalla mole smisurata per Hollywood ma dichiaramene approvato da Moore in persona qualcosa si mosse: si pensò prima ad Aronofsky e poi a Greengrass per dirigerlo, ma non sembrava possibile che l’idea andasse in porto.
Ed è qui che subentra il terzo problema: a prendere le redini del progetto arriva Zack Snyder, il visionario (cito) regista responsabile dell’adattamento di 300. Ora, magari voi non l’avete visto 300. Sappiate nel caso che si tratta di un buon banco di prova: non solo trasporre un fumetto*, ma anche un fumetto di Frank Miller, uno che se interpretato bene è un grande autore tra il new-epic ed il pulp (Sin City, sia lode a Robert Rodriguez) e se interpretato male un buffone fascista (la sceneggiatura originale di Robocop 2, il suo sconclusionatissimo The Spirit).
Purtroppo Miller usciva da 300 come un buffone fascista: il film piacque solo a Saviano, e tutt’ora, personalmente, provo sgomento a rileggere
quella recensione. Non solo: la prima novità introdotta da Snyder era utilizzare sì la sceneggiatura di Hayter, ma come
open script supervisionato da Alex Tse (il cui cognome parla da sé).
Tutto, insomma, sembrava mettersi per il peggio.
[4. Grandi speranze]
Però. Però la
fase di produzione,
maniacalmente documentata (possiamo solo immaginare dalla parte pubblicata quanto lavoro sia stato fatto nel mentre), lasciava molto ben sperare. Quasi emozionava. Per contro, i cambiamenti nei
costumi (darkeggianti, sintetici, pieni di muscoli stampati) e certi tagli di capelli parlano da sé, e sono sconfortanti, è sconfortante l’immaginario collettivo da cui traggono a piene mani. Lasciando perdere, delle prime sequenze intraviste, i
bullet time che tanto piacciono al Nuovo Cinema d’Azione Americano**. Però. Però negli ultimi giorni sono state pubblicate le prime opinioni sul film.
Ebbene: sembrerebbe che sia
bello. Bello e coerente con il fumetto. Più bello se si è già letto il fumetto. Parrebbe che chi abbia visto l’anteprima sostenga che il film sia “quanto di più fedele al fumetto fosse possibile”. E insomma, qualcosa si stava già incrinando dentro di me. La speranza che fosse effettivamente bello stava vincendo sul mio cinismo (e su una realistica considerazione della capacità ermeneutica di Snyder).
Quindi nulla. Inutile che ne parli oltre: sperando di avervi già convinto a dare un senso alle vostre vite e leggerlo, poi vederlo, poi rileggerlo eccetera, non esprimerò alcun ulteriore parere. Mi limiterò a farvi notare
–
che il
sito ufficiale è di una bellezza da far paura. Davvero, guardatelo, rifatevi gli occhi.
– Che se già il film in sé dura quasi tre ore Snyder ha dedicato sforzi davvero ammirevoli per rendere il maggior numero di sfaccettature, creando
–
una versione straight to dvd, ma costosissima (si parla di 20 milardi di dollari, non proprio bruscolini) e supervisionata direttamente dallo stesso regista americano, sia di
Tales of the Black Freighter (cioè il fumetto che viene letto nel libro), sia di Under the Hood (cioè il libro di memorie di uno dei personaggi del film). Separatamente, e come parte di quello che si annuncia come il più ricco dvd mai concepito finora da mente umana. E per farvi un’idea del livello, potete vederne il trailer
qui.
– E ancora: come detto, la maggior parte delle notizie nel fumetto arrivano per voce del New Frontiersman (una specie di Chi distopico, ma senza Signorini – in fondo quindi nulla di così terribile). Bene, quelli della Warner hanno pensato di crearlo apposta per l’occasione:
…non vi basta? Pfui. Mostri! Vediamo se dopo
uno,
due e
tre footage esclusivi riuscirete ancora a rimanere imperterriti. Io personalmente sto saltellando e battendo le manine, ho gli occhi a cuoricino e sono quasi totalmente convinto e pronto a giurare che mi piacerà (in pratica sembro Kekkoz, ma somigliando a Jason Schwartzman invece che a James Van Der Beek).
Poi magari invece uscirò dal cinema grugnendo come mi è consueto: ma per il momento permettemi di inchinarmi all’attenzione e alla cura che sono state dedicate al progetto, e di impazzire per la perfezione feticista di tutto quello che è stato reso noto finora.
Ed ora scusatemi, ma devo mangiare un hamburger, e scegliere tra la posta qualcosa di pubblicabile. Tanti saluti.
[5. Note]
*E ho già menzionato che il cinema odia i fumetti? Beh, è così: a parte gli episodi riusciti tra quelli già citati sopra, i Batman antitetici di Burton e di Nolan, sono decenti i primi due X-Men e, mmh… su due piedi non mi viene in mente nient’altro. Però mi vengono in mente fallimenti più o meno patetici: i Batman di Schumacher, Daredevil ed il suo spinoff (brr) che neanche nominerò, Hulk (con cui ha tentato di suicidarsi professionalmente un inspiegabile Ang Lee), Catwoman, I Disgustosi Quattro, ma potrei citare Dick Tracy, Popeye (che insomma avrebbe un suo perché – ma vivaddio, è Altman!), e scusate se al momento non mi viene in mente nient’altro. Il problema è lo standard che si è costituito, e che rende impossibile dare serietà ad un prodotto per il grande pubblico con protagonista un tizio che combatte i cattivi indossando una calzamaglia. Per dire.
** E a Kekkoz, uno che del resto ha detto che Wanted è un bel film, tutto sommato, invece di dire che è la clamorosa cagata che solo uno che si chiama Bekmambetov poteva concepire.