cinema

lunedì, 22 02 2010

Alles über Hitler

È diventata una delle scene cinematografiche più famose della rete, anche se solo in pochi hanno visto il film da cui è tratta.

La sequenza, dal film "La caduta" di Oliver Hirschbiegel (Der Untergang, 2004), mostra Hitler che, dopo una violenta sfuriata contro i suoi gerarchi, ammette di aver perso la guerra. Di questa scena eistono decine di versioni satiriche, sottotitolate o doppiate, in italiano, inglese, francese. Un censimento completo non esiste: ecco una raccolta di alcune delle parodie più belle o più interessanti (ogni ulteriore segnalazione è ovviamente benvenuta!).

Partiamo con l’ultimissa e attualissima, su Sanremo: "Hitler viene a conoscenza delle novità di Sanremo" (grazie a Nicola e a Enrico per il link).

Hitler: "Tanti giri di parole, scommetto sarà la solita cazzata, ogni anno sempre gli stessi artisti!"

Generale: "Mein Fuhrer…ci sarebbe…ci sarebbe anche un duetto con pupo…e il principe Emanuele Filiberto in una canzone sull’amore per l’Italia!".

Ci sono poi parodie che si occupano di politica, come in "La caduta di Berlusconi": dentro il quartier generale dei Circoli della Libertà si cerca di risolvere i problemi sorti negli ultimi mesi. (video di 7yearwinter.com).

Hitler:  "Comunicate a Mimum e Minzolini di aprire con un servizio sugli scoiattoli che fanno sci nautico e il pericolo d’estinzione dell’Unicorno Abruzzese."

Generale:  "Mein Fuhrer. Oramai…Ormai l’estate è finita, e abbiamo controllato ovunque su Wikipedia…gli unicorni non sono mai esistiti".

Per poi toccare ogni tipo di argomento, dalla società, allo sport, alla tecnologia.

E ovviamente, alla fine, l’originale

 

mercoledì, 17 02 2010

Live Avatar Role Playing

Un paio di sere fa, da buon ultimo, ho finalmente visto Avatar. In merito non ha senso che dica niente (dopo Avatar, guida alla conversazione DEFINITIVA delle Malvestite l’unica cosa che posso dire è STO/13, INFLU/1, GIU/3, SIMPA/3), mi limito a linkare il video L.A.R.P. – Live Avatar Role Playing e a esclamare «GigaLOL»

 

 

martedì, 12 01 2010

Avatar Hontas

Non so se lo sapevate già (forse avete già visto il trailer ibrido su YouTube): Poca Hontas e Avatar sono fondamentalmente lo stesso film.

 

(via)

 

lunedì, 14 12 2009

Everybody be cool, this is a mixtape


A volte la contemporanea presenza di tempo libero (molto), senso del ritmo (parecchio), e capacità nell’utilizzo di programmi di montaggio (un bel po’) dà vita a grandi cose.
Questo video che mette insieme musiche, dialoghi, rumori e spezzoni dei film di Quentin Tarantino ridefinisce l’idea di mixtape, e se non è un capolavoro ci va vicino.
A tutto schermo si gode di più.
(via)

lunedì, 07 12 2009

Movie Villain speed dating

Movie Villain Speed dating, da Mad Atoms.

 

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venerdì, 04 12 2009

Il cinema indie, un non genere già andato a male

Cosa cercate, voi, in un buon film?

Quando decidete cosa andare a vedere al cinema, cosa affittare al videonoleggio, cosa guardare sulla pay-tv o cosa scaricare da Bittorrent, in base a cosa scegliete un film? Cercate qualcosa di noto o qualcosa di ignoto? Preferite film che parlino in modo quanto più fedele di vite simili alla vostra, o sperate di evadere lontano? Cercate di rispecchiarvi il più possibile nei personaggi o venite irritati dalla pretesa di parlare di cose a voi familiari?

Io pendo spesso per la prima ipotesi, lo ammetto. E lo considero in buona parte un difetto, che mi tiene lontano da generi che sovente scarto a priori (scoprendo poi anni dopo di essermi perso dei capolavori), in favore di storielle senza sale che srotolano riferimenti di cultura pop in cui mi ritrovo. Storielle senza sale come quelle del cinema indie.

 

Il cinema indie è una mostruosità. Il cinema indie (in cui il vaghissimo termine che tanto amiamo è da intendersi nel senso pitchforkiano del termine, di quella cultura pop per lo più anglosassone che vorrebbe opporsi al mainstream ma è di fatto costretta a metterne in piedi una versione distorta e snob, condannata tanto all’irriducibile inseguimento del futuro quanto alla venerazione del passato) era una rarità fino a qualche anno fa, mentre ora, scoperto un segmento di mercato ingenuo e appetibile, è diventato un vero e proprio filone, con capostipiti nobili (dalle grandi commedie degli anni ’80 a recenti film di culto come Eternal sunshine of the spotless mind, I Tenenbaums o Lost in translation) e produzione abbondante. Il suo target (e i suoi protagonisti) siamo noi, tardoadolescenti, twenty e thirty-something occidentali con buoni titoli di studio, discreto potere di acquisto e una declinazione di gusti su musicacinemalibriinternet che ci fa sentire migliori di coloro che ci circondano.

 

 

 

Nel momento in cui si è rivelato come un genere, il cinema indie era già morto.

L’inizio della fine è stato Garden State. Un film terribile, diretto e interpretato dall’icona del puccismo Zach Braff (meglio noto come J.D., protagonista di Scrubs), tenuto in piedi unicamente da una bella colonna sonora, infilata a forza nella storia nella celebre scena "Devi sentire questa canzone, ti cambierà la vita" che ha consacrato gli Shins. Un film impossibile da raccontare, tanto la trama è esile e i dialoghi pretestuosi.

 

 

 

In mezzo c’è stato Juno. Inaspettatamente apprezzato dal pubblico, Juno è stato in grado di parlare a pubblici diversi, smarcandosi dai luoghi comuni delle commedie tutte indie-pop e dialoghi quirky (che pure incarna) con una storia ben scritta e un po’ più carne al fuoco del solito.Sotto sotto rimane una commediola di poche pretese e media gradevolezza, ma in mezzo agli altri film del suo genere riesce a fare un figurone.

 

 

 

Il punto più basso del genere è stato probabilmente toccato da Nick and Norah’s infinite playlist, un film così brutto che al confronto Juno sembra un’opera di Truffaut. Mai vista un’esibizione tanto sfacciata di riferimenti fin dalla prima scena (una carrellata dei poster appesi in camera dal protagonista; sottile), un namedropping così furibondo, una storia così inverosimile. Il fatto che in teoria sia una commedia da teenager rischia di essere un’aggravante invece che un’attenuante.

 

 

 

Ormai, come dicevo, esce una commedia indie ogni paio di mesi. Adesso anche in Italia è il turno di 500 days of Summer (da noi 500 giorni insieme), che vuol raccontare una storia d’amore atipica che, guarda caso, cade in tutti i luoghi comuni del caso: vestiti vintage per lei, vulcanica e appassionata (Zooey Deschanel, già chanteuse retrò con She & Him e ora moglie di Ben Gibbard dei Death Cab for Twilight Cutie), cardigan e sneakers per lui, timido ma sensibile (l’ex bambino prodigio Joseph Gordon-Levitt); e (oltre a un imbarazzante product placement dell’IKEA su cui è meglio sorvolare) un paio di scene topiche sulle note degli Smiths. Audace!

 

 

 

A confronto con 500 days of Summer, Away we go (già presentato con grosso timore su queste pagine mesi fa) fa un vero figurone, perchè quanto meno è un film vero; il regista (Sam Mendes, quello di American Beauty) conosce il mestiere e gli attori pure, ed è già un inizio. Ma è anche una fine: la trama (firmata dall’ex formidabile genio Dave Eggers e da sua moglie) vede il verosimile scenario di una coppia di trentenni in attesa di un figlio che vagano per gli States alla ricerca di una città in cui stabilirsi a vivere. Succede un po’ a tutti, del resto.

 

 

 

Negli states è da poco uscito Paper Heart, che osa di più nella forma quindi fallisce in modo ancor più sonoro. Si tratta di un finto documentario/reality sulla protagonista Charlene Yi e la sua difficoltà a innamorarsi (son problemi); il protagonista maschile è Michael Cera (già in Juno e in Nick and Norah; get a real career, dude) nel ruolo di se stesso e la cosa fa accapponare la pelle al solo pensiero. La sua faccia da culo fa prudere le mani per tutto il film, così come le risatine della protagonista e la vacuità dell’intera operazione. Quando la Yi imbraccia la chitarra e si mette a registrare col suo Macbook una canzone twee-pop / freak folk per il suo amato (la trovate qui sotto) si comincia ad augurarsi l’estinzione del genere umano. O, quantomeno, ci si sente pronti per darsi all’horror.

 

 

 

[sullo stesso argomento ma spettro un po’ più ampio e opinioni un po’ diverse e meglio argomentate: Blueblanket su queste pagine, mesi fa]

 

 

 

The Shins – New slang (MP3)

The Moldy Peaches – Anyone else but you (MP3)

Charlene Yi – Perfume (MP3)

 

venerdì, 06 11 2009

Futurama – The Movie: What if?

di

L’incredibile fan-poster che circola su 4chan per un immaginario film live action tratto da Futurama. In fondo, avreste idee migliori per il casting? Particolarmente gradita la presenza di Cobie Smulders nei panni di Leela, ma anche Seth Rogen come Bender è azzeccato.

Sono curioso di sapere chi diavolo interpreta Bruce Campbell.

(via epicponyz / thedailywhat)

lunedì, 19 10 2009

Up fa schifo

Da College Humor.

venerdì, 09 10 2009

OMFGWTF il video dei Deth Kab 4 Cutie x Twilight!!!11!

di

OMG!!! È la song + bella ke io abbia mai sentito!!! Qst nn è 1 band cm tt le altre.
Si kapisce da 3 kose:
1) sn brtti
2) la parola "equinox" nel ttl. Vl dire "equinozio". Xò nn so kosa vl dire "equinozio" xkè il De Mauro – Paravia a kiuso LOL.
3) è il btterista + brvo ke io abbia mai sentto, deve aver ftto il konservatorio di X-Faktor

Mmnti prefe:
– 1:16: Robert Pattinson sembra Gesù *_*
– 1:57: Bella vne investita dalle onde!!! OMG ke paura m sn tppata gli okki
– 3:04: drnte 1 cncerto dei Sunn o))) Bella korre dntro 1 fntana!!!11! È il + koraggioso atto di puro amore ke io abbia mai vsto
– 3:12: sn svenuta è nn ho vist kome finisce il video. Qnd mi sn svegliata ho skritto "Everything ends" x tt la parete di kamera mia. I miei anno kiamato lo psikiatra LOL xD

(si ringrazia la sezione commenti del primo risultato della ricerca "Finley" su Youtube per la consulenza grammaticale)

martedì, 29 09 2009

Gli horror erano più belli quando non c’erano i cellulari

Quindi come fare? Semplice: eliminandoli.

Avete mai notato che negli horror i cellulari non prendono mai? Guardare questo impressionante montaggio per credere:

 

 

giovedì, 27 08 2009

Il vostro incubo peggiore

di


Ok, lo so che detta da me fa un po’ ridere, ma vi prego, seguitemi:

– da una parte abbiamo il Film4 FrightFest di Londra, uno dei festival horror più prestigiosi a livello mondiale, quest’anno alla sua decima gloriosa edizione. Una di quelle cose rare che uniscono un programma coi controcoglioni, ospiti prestigiosi (un nome a caso: John Landis), e una vera e commovente passione old school grazie alla quale vedi ancora gli organizzatori in persona passare il tempo a chiedere agli spettatori in coda se sta andando tutto bene. Beat that, Marco Müller.

– dall’altra abbiamo quella banda di deficienti dei 400 calci, che hanno mandato in missione al FrightFest nientemeno che Nanni Cobretti in persona, il quale si sacrificherà al diabolico altare del 2.0 per farvi la cronaca minuto per minuto su Twitter di tutta la faccenda. Una vera e propria missione d’assalto. E ha promesso instant-reviews, inside-scoops, dvd-quotes, easter-eggs e qualsiasi altro termine inglese figo vi possa venire in mente. Anche un botta e risposta con @aplusk e @THE_REAL_SHAQ.

Detto questo, io vi consiglio di seguirlo, e non solo perché tutti sanno che mi vanto di essere amico di Nanni Cobretti.
Da stasera alle 19 a lunedì alle 24 circa, su @i400calci.
Nel caso, insultate direttamente lui che con Twitter si può (non è meraviglioso?).

venerdì, 31 07 2009

C’è ancora speranza

E dire che io non ci speravo più. La supposta commedia indie americana (si accetti la definizione come una semplificazione) secondo me aveva toccato il fondo con Nick & Norah’s infinite playlist: un’ora e mezza di vuoto con un burattino e una tipa yeah che si dicono banalità mentre in sottofondo passa tutta la musica più hip del momento. Un’ora e mezza con il potere di farti sentire puntato, targettizzato, inscatolato e rivomitato da uno che a giudicare dalla profondità a cui arriva probabilmente ha mirato giusto alle tue Converse.

E se la commedia americana, perso il tocco leggero di Cameron Crowe (che da Elizabethtown – un film che è piaciuto solo a me tra tutte le persone che conosco con un quoziente intellettivo superiore a quello di un bonobo – non si è più ripreso, a giudicare dall’attuale inattività), si è arroccata sempre di più sui suoi macrogeneri (la commedia vaginale, per rubare una definizione che credo sia del Maestro, i film con Matthew McConaughey, che fanno sottogenere a sé per insulsaggine e scipitezza, e la slapstick frat-pack comedy alla Apatow, che al sottoscritto ha sempre fatto insopportabilmente pena), i segnali d’allarme della vena para-Sundance si vedevano secondo me (e non penso di essere il solo) già nell’apprezzatissimo – da molti che non sono me – Juno. Personaggi con la profondità della carta velina, dialoghi quirky a costo di rinunciare ad ogni svolgimento narrativo apprezzabile, grosso lavoro di scenografia per collezionare gli improbabili feticci dell’indie-wannabe (per andare sull’ovvio scarpe, tracolle, magliette, occhiali buffi, poster, ma anche telefoni a forma di hamburger, auto scassate, gadget improbabili – chessò, pipe); insomma delle enormi confezioni per accompagnare chili e chili di musica bellissima, bella, carina, osannata da Pitchfork, osannata da NME, osannata da quel dj convinto che il ritornello di Panic dica “I’m the dj, I’m the dj”*.

E solo ora che scrivo mi vengono in mente Little Miss Sunshine e Me and You and Everyone We Know, due ottimi esempi di come la percezione comune dell’attitudine arty sia direttamente proporzionale all’insensatezza dei dialoghi e alla pochezza della trama, nonché di come il fenomeno sia molto meno recente di come la sto mettendo io – ma non approfondirò, perché non voglio scrivere le solite venti paginate, e mi limiterò ad accennare che potrebbe essere la stessa pericolosa china del feticismo esasperato dell’ultimo Anderson. Se ancora non capite dove voglio arrivare, a me sembra che la direzione della commedia indie contemporanea sia questa (io l’ho scoperto grazie alla Fagotta, che ringrazio – sempre):

 

 

e ammettetelo, fa paura.

Però ho avuto modo di vedere recentemente (e quasi di seguito) ben due film che mi hanno fatto cambiare idea.

Il primo, che mi sento di definire senza remore una tradizionalissima commedia romantica appena spruzzata da sfumature ind… quelle là, è How To Lose Friends And Alienate People. Primo film vero e proprio del signor Weide, regista per la televisione e autore di alcuni biopic che non ho visto (uno su Lenny Bruce, uno in produzione sul Kurt Vonnegut, sempre sia lodato), parla di un giornalista inglese di una rivista sinistroide di “low culture for eyebrows”** che si ritrova a scrivere a New York per Sharps, la rivista di glamour che… la… oh, insomma, Vanity Fair sotto falso nome.

La cosa che spiazza del film è la caratterizzazione del protagonista, interpretato da Simon Pegg (a cui dovrebbero erigere più di una statua): nonostante sia indiscutibilmente un nerd e un tipo alla mano capitato impromptu nel tempio dell’apparenza, il suo personaggio è oggettivamente sgradevole per la maggior parte del film. Dice cose evitabili, è spocchioso, borioso e per nulla insicuro di sé anche dopo aver infilato una gaffe dietro l’altra.
Non che sia materiale per aspirare ad un Oscar, ma nel regno dei luoghi comuni (non voglio infilare una tirata sugli europei smaliziati che credono nella realipolitik vs gli americani manichei che credono nella dicotomia good guy/bad guy e al valore della popularity, ma è un dato di fatto che la Grande Commedia Americana degli ultimi anni si regge su archetipi scavati nella roccia: l’Insicuro, lo Sfigato, la Stronzetta, la Dura-fuori-ma-forte-dentro, continuate voi) è abbastanza per conferire al twist un’apprezzabile vivacità. Kirsten Dunst e svariate citazioni dalla Dolce Vita completano la gradevolezza dell’insieme.

Quello che però mi ha veramente colpito è Adventureland, opera terza da regista del responsabile di Superbad, su cui a suo tempo mi espressi in maniera abbastanza netta (nella seconda parte di questo post, quella intitolata “blubblanchet vi spiega i giovani”, ma se preferite due parole: Superbad è un film sessuofobo incentrato su regazzini che – ovviamente – non pensano ad altro che al sesso, infarcito di gag del cazzo che le avessero fatte in un film italiano staremmo ancora qui a sollevare il fantasma dei Vanzina***).
Greg Mottola (così si chiama) di Adventureland è anche sceneggiatore; e si tratta di un film di stampo fortemente autobiografico ambientato nell’estate dell’87, in cui un ragazzo deve trovarsi un lavoro estivo e finisce in uno scalcinato parco giochi (l’Adventureland del titolo) a vivere la prima esperienza sessual/affettiva seria della sua vita.

 

 

Spaventati? Lo ero anch’io. O perlomeno pieno di pregiudizi, tutti negativi. Però Mottola fa, non saprei come dirlo altrimenti, un cazzo di miracolo. Intanto fa un film che, cito ancora il Maestro, non sembra un film sugli anni ’80, ma un film degli anni ’80, ricreando uno spirito del tempo con poche pennellate che non sembrano mai forzate (roba che nemmeno Donnie Darko). Poi fa un film pieno di musica da paura, che non è la musica hype degli ultimi 15 minuti ma Replacement, Big Star, Hüsker Dü, Lou Reed, etc, con una colonna sonora originale ad opera degli Yo La Tengo (perfetti come sempre), e per una volta davvero si ha la sensazione che ogni canzone sia funzionale alla trama e non, viceversa, che la trama sia un pretesto per ammucchiare ancora un’altra canzone. Un film in cui il personaggio che fuma la pipa dice "patetico, vero? Ma a me piace", o giù di lì, e non gli puoi dire niente, perché ha il sacrosanto diritto di fumarsi la sua pipa in santa pace.

Infine, soprattutto, fa un film che di quella costruzione per archetipi/stereotipi tipica della commedia americana (e dei dialoghi quirky immancabilmente tipici della commedia indie americana) si fa allegramente beffe. Un racconto di formazione in cui il protagonista è un nerd timido e impacciato ma non è un impedito (ed è capace, come l’altro grosso nerd del film, di una robusta autoironia****), in cui i dialoghi non sono troppo perfetti ma nemmeno troppo clumsy per essere veri, in cui si ride ma senza che qualcuno tenti di tirarci fuori la risata a forza dalla gola, in cui si può dire oooh e ci si può vergognare (questo solo se avete un massimo di diciotto anni e, preferibilmente, siete una donna*****) perché quello che succede è maledettamente sincero. Un film che non si nasconde dietro il paravento del protagonista “uguale a noi”: NO, il protagonista (i protagonisti) di Adventureland non fanno nulla per essere uguali a noi. Fanno errori che noi magari non abbiamo fatto e non ne fanno molti che avremmo fatto, dicono cose che noi (io) avremmo saputo dire meglio e cose che noi (io) a quell’età non avremmo saputo dire.

E soprattutto, vivono la fine della loro teenage con una spensieratezza misurata che il cinema ha sempre avuto problemi a descrivere, perso com’è tra i suoi loser e le sue cheerleader, impegnato ad ingigantire all’infinito problemi ombelicali di ragazzini impaccati di grana.
Adventureland
è la storia di un ragazzo che deve fare un po’ di soldi e conosce una tipa che gli piace, e cerca di viverla bene. Non sono io, non siete voi, non è un’avventura memorabile, non è ricercatamente strano, è una piccola, bellissima storia senza pretese. Guardatelo se potete.

 

 

* aneddoto vero, e no, non dirò di chi si tratta – se non di persona, previo lauto compenso.
** è la definizione della vera rivista di Toby Young, dal cui memoir semi-autobiografico è tratto l’ancora meno autobiografico libro.
*** del resto Superbad è un film della scuderia di Apatow, uno che quando si dà alla commedia presunta garbata tira fuori mostri come Knocked Up – che si può definire soltanto reazionario solo a volergli molto bene.
**** ora che scrivo mi viene in mente che si potrebbe accusare il film di mettere le mani avanti. Ma anche fosse, è un fatto che se cade, cade in piedi.
***** io lo faccio comunque, ma io non sono un campione attendibile.

lunedì, 08 06 2009

Biografilm in musica

Un paio di giorni fa, quasi per caso, ho guardato The filth and the fury, l’eccellente documentario di Julien Temple sui Sex Pistols (che vent’anni dopo completa lo storico The Great rock’n’roll swindle – La grande truffa del rock’nroll) di imminente pubblicazione in Italia per la gloriosa ISBN Edizioni in una bella versione libro + DVD.

 

Il destino vuole che proprio in questi giorni, in occasione del Biografilm Festival, Julien Temple sarà a Bologna per presenziare all’omaggio che il festival tributa a lui e alla sua carriera di documentarista. Stando al programma completo, da oggi a lunedì 15 verranno proiettate quasi tutte le sue opere, da Glastonbury (sul festival inglese) ad Absolute Beginners, (con David Bowie) da Joe Strummer – The future is unwritten (sul leader dei Clash) al nuovo The liberty of Norton Folgate (sui Madness), oltre che ovviamente i tre (c’è anche There’ll always be an England) documentari sui Sex Pistols. Un must per gli amanti della perfida Albione e della sua musica.

 

Ma anche gli amanti dela musica americana quest’anno avranno pane per i loro denti, visto che un’altra delle retrospettive si intitola Back to Woodstock, e prevede proiezioni, mostre ed eventi sul mega-festival più famoso della storia (tra cui l’anteprima di Taking Woodstock, il nuovo film del premio Oscar Ang Lee). Ho il sospetto che mi vedrete spesso da quelle parti.

 

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martedì, 12 05 2009

Eggers + American Beauty + Juno + The Office = ??

E sono solo alcuni degli ingredienti della sapida ricetta di Away we go, il nuovo film di Sam Mendez (American Beauty) scritto da Dave Eggers (L’opera struggente di un formidabile genio) e Vendela Vida (sua moglie, niente grassetto perchè chi se la caga) e interpretato da John Krasinski (The Office, versione americana), Maya Rudolph (Saturday Night Live), Alison Janney (The West Wing) e Maggie Gyllenhaal (The Dark Night, intollerabile), che nel giro di un mese arriverà nelle sale amercane e dalla trama sembra un incrocio tra Juno e Little Miss Sunshine. Paura, eh?

 

Ecco un contributo dalla regia:

 

La musica è di Alexi Murdoch, bravo clone di Nick Drake già sentito più o meno solo come sottofondo di puntate di serie TV (The O.C., Dr. House, Prison Break, Ugly Betty, Dawson’s creek, Grey’s anatomy). Complimenti per il curriculum.

 

Praticamente un incubo.

 

 

Alexi Murdoch – All my days (MP3)

 

lunedì, 04 05 2009

Today we’re going to create a mash-up!


RiP!: A Remix Manifesto è un (bellissimo) documentario su come i concetti di diritto di autore e copyright siano cambiati radicalmente negli ultimi anni. Diretto dal canadese Brett Gaylor, fondatore del progetto Open Source Cinema, il documentario è stato girato e assemblato nell’arco di sei anni e segue da vicino la vita e le vicende di Gregg Gillis, noto ai più come l’artista del remix e del mashup Girl Talk. A fare da contorno una serie di personaggi che hanno studiato, modellato e decostruito il diritto d’autore sulla rete: c’è Lawrence Lessig, professore americano luminare del diritto digitale e fondatore dei Creative Commons, Cary Doctorow, giornalista e editore del blog Boing-Boing, e il musicista Gilberto Gil, ex-ministro della cultura brasiliano e pioniere del copyfree nel suo paese.

RiP! è, da una parte, un viaggio illuminante in una serie di dinamiche che fanno ormai parte della cultura pop e che per quanto ci possano sembrare familiari non smettono mai di essere eccitanti e rivoluzionarie. Ma è anche una vera e propria dichiarazione di guerra a chi è intenzionato a opporsi all’avanzata della cultura copyleft e copyfree. E riascoltare un album come Feed The Animals dopo aver visto questo film, diventa un’esperienza diversa, non solo musicale, ma quasi politica.

In pieno stile copyleft, il documentario non solo è disponibile gratuitamente sulla rete (qui) ma lo stesso Gaylor invita chi volesse a contribuire con nuovo materiale o a creare dei propri remix video che saranno integrati nella versione extended del documentario. Il primo documentario open-source della storia? Difficile a dirsi, vedremo il risultato. Vi lascio il trailer così vi fate un’idea.

venerdì, 03 04 2009

I always wanted to be Inkiostro

tenenbaum fail

Il blog più bello di tutti i tempi – “tutti i tempi” che nella mia mente devastata e vile corrispondono più o meno a due giorni – l’ho scoperto ieri. Si intitola TENENBAUM FAIL ed è geniale a più livelli.
Sì, perché ha come oggetto l’emulazione fallita da parte della più varia umanità di un film che non solo ha come tema centrale proprio l’emulazione fallita (“I always wanted to be a Tenenbaum”…), ma è esso stesso un esempio clamoroso di emulazione fallita (del cinema vero, ad esempio), per tacere del suo autore, un regista che ogni volta tenta fallimentarmente di emulare un figo.
O detta altrimenti: il film di Wes Anderson ha sì per oggetto l’emulazione fallita, come Madame Bovary poniamo, ma dato che – a differenza di Madame Bovary – del mimetismo sociale non ne decostruisce i meccanismi e il potere, ma anzi questo potere lo rafforza e lo esalta (da cui il piacere che ne ricaviamo), finisce per perpetrare lo stesso desiderio di emulazione che mette bonariamente alla berlina.
Detto ciò I Tenenbaum sono, ovviamente, uno dei miei film preferiti di tutti i tempi.

tenenbaum fail
epic fail
sbombabilissima

martedì, 17 03 2009

Togliamoci il pensiero

di

De Luca chiede, De Luca ottiene.

500 Days of Summer

Qui il trailer:

Qui la medicina:

Doppia razione (a me è servita):

Via, zuccherino finale per sicurezza:

E qui, come bonus, quello che viene in mente a me quando mi dicono "500":

(si ringrazia Cerca su Google per avermi aiutato con antidoti corretti, testati su casi specifici e approvati dall’Associazione Medica)

giovedì, 26 02 2009

Who Watches the Watchmen (‘s Movie)?

[0. Intro
Tutte queste parole ti spaventano? (Ciao, Valido, che piacere). Non leggerle: limitati a guardare i due trailer inglesi pubblicati finora – qui e qui – e questo delizioso giochino virale in flash che posterei ora se non fosse grande tre volte il layout di questo blog. Altri link alla fine delle mille righe che seguono]

 
 
Lo ammetto, fino ad un paio di giorni fa ero scettico. Scettico? Catastrofista.
Come ogni persona che abbia avuto l’occasione di leggere Watchmen, probabilmente la più completa graphic novel di tutti i tempi, l’idea dell’adattamento cinematografico mi faceva venire in mente solo cattivi pensieri.
Per almeno tre motivi: il primo, legato all’opera in sé. Anche se non sono mai stato tra i puristi che considerano “fumetto” una definizione derogativa, relegare Watchmen al semplice rango di storia illustrata, magari di fantascienza da nerd cresciuti a pane e Asimov (non me ne vogliano i nerd, può capitare a tutti, anch’io ho letto quasi tutto Asimov fino a 12 anni: poi però si cresce) sarebbe veramente ingiusto.
 
[1. Del perché Watchmen è una delle più belle storie mai scritte]
 
Non c’è modo per renderne conto esaustivamente senza rivelare troppe cose che è d’uopo scopriate man mano con la lettura (perché lo leggerete, sì?) e la visione del film. Per farla breve, la storia è questa: un uomo viene assassinato, si ignora chi siano i responsabili, e si scopre presto che quest’uomo lavorava come, mmh, supereroe (semplifico) prima che una legge ad hoc per impedire una sollevazione popolare lasciasse alle sole forze dell’ordine ufficiali (ed al quasi-onnipotente Dr. Manhattan, l’unico in tutta la storia ad avere dei superpoteri) il compito di vegliare sulla popolazione americana. L’unico dissidente tra questi paladini della legge, che è anche la nostra voce narrante (almeno, lo è nel fumetto) indaga.
Oppure potrei essere un po’ più analitico: Watchmen è un’ucronia (tipicamente una distopia nata da un “what if”) ambientata in un’America degli anni ’80 guidata da Nixon e vincitrice incontrastata sia in Vietnam che nella guerra fredda (a causa del suddetto Dr. Manhattan). O forse potrei partire così: Watchmen è un fumetto con i supereroi, che ne decostruisce il concetto stesso, ne nega la funzione, ne rivoluziona la prospettiva. O forse: Watchmen è un’opera metanarrativa (uno dei personaggi legge continuativamente un fumetto di avventura – alla maniera ottocentesca, con i pirati e i fantasmi – chiamato Tales of the Black Freighter, la cui storia si interseca continuamente con la macrostoria, che a sua volta non si ferma al solo medium del fumetto, ma si amplia con documenti ed estratti di libri e giornali fittizi, come il New Frontiersman, un giornalaccio scandalistico e cospirazionista che fa anch’esso da frequente raccordo narrativo), permeata di cultura pop (nei colori, negli ambienti, nelle canzoni citate dovunque), ossessivamente intertestuale come ogni opera di Alan Moore (che se non si fosse dedicato negli ultimi dieci anni quasi esclusivamente alla magia pagana ed alla letteratura pornografica insieme alla sua seconda moglie sarebbe tutt’ora uno dei più geniali autori viventi), in cui ogni dettaglio (ogni vetrina di un negozio, ogni scritta su un muro, ogni giornale ed ogni notiziario) ha un suo sottotesto, in cui ogni snodo narrativo si allaccia ad un altro che sembrava esserne totalmente avulso. O ancora: Watchmen, come anche lo splendido V for Vendetta (liofilizzato in pappetta al cinema dai fratelli Wachowski, ma parto altrettanto geniale della mente del signor Moore), è un esercizio di etica, perché costringe a riflettere tantissimo sul concetto di giusto ed ingiusto, sui limiti della libertà umana di operare per un bene comune (ed in senso appena più lato sui limiti che è giusto imporre alla collettività per il bene comune), sulla violenza propria ed inestricabile dal genere umano. Ma è anche un esercizio di politica, è un trattato di sociologia, è una serie di riflessioni mai scontate sul tempo – riflessioni esplicite o esplicate dal continuo susseguirsi di piani temporali, non solo con gli ampi flashback canonici per il genere, ma con scarti improvvisi da vignetta a vignetta. Ed è sicuramente una prova: è dura alla lunga sostenere tutta la violenza che ci presenta davanti, è probante per il lettore abituato al semplice manicheismo di molta della produzione contemporanea dover stabilire di volta in volta se quello che accade è, o ci sembra, (completamente) giusto o sbagliato.
 
 
[2. Del rapporto tra Alan Moore e il cinema]
 
Proprio le mille sfaccettature del prisma narrativo (ed etico, insisto) di Moore sono la causa del secondo problema: il cinema non gli ha mai reso giustizia. Dai personaggi creati da lui ma sviluppati da altri (Constantine) al thriller storico di From Hell, alla distopia orwelliana del succitato V for Vendetta al delizioso divertissement postmoderno ed iper-intertestuale di The League of Extraordinary Gentlemen (che i doppiatori italiani hanno pensato di semplificare ben prima che Wikipedia diffondesse l’abitudine), Hollywood ha sempre colto di Moore solo il livello di lettura più immediato, il feticismo giocattoloso, lo scarto immaginifico ed immaginativo, badando sempre bene di riallinearne le intemperanze lungo una linea di pensiero più canonica e comprensibile (il lunghissimo calderone di banalità para-new age con cui i fratelli Matrix hanno affogato V for Vendetta). Al punto che Moore è arrivato dal protestare per il trattamento subito dalla sua opera al chiedere che il suo nome fosse tolto dai credits (in V for Vendetta), fino ad arrivare con quest’ultimo film a devolvere tutta la sua percentuale (o almeno così si diceva) al coautore Dave Gibbons, che della storia è il disegnatore, a patto di non venire mai citato in associazione al film.
 
 
[3. Di Watchmen, cinema e pessimismo]
 
Per di più, Watchmen è un film dichiaratamente impossibile da realizzare: passato dalla 20th Century Fox alla Warner Bros alla Universal, e di nuovo alla Warner Bros, il tentativo di traduzione cinematografica ha visto susseguirsi invano decine di sceneggiature, trattamenti, supposti registi, produttori, etc. Gilliam, uno che ama le sfide facili (e porta risaputamene una fortuna micidiale quando si tratta di film – tanto per rimettere le cose a posto con l’intera questione “Heath Ledger e il film maledetto”), rinunciò dopo aver provato a dirigerlo nell’89 e nel ‘86, proponendo infine che se ne ricavasse una miniserie in sei puntate di un paio d’ore ciascuna. Quando David Hayter, cosceneggiatore dei primi due X-Men, scrisse un trattamento dalla mole smisurata per Hollywood ma dichiaramene approvato da Moore in persona qualcosa si mosse: si pensò prima ad Aronofsky e poi a Greengrass per dirigerlo, ma non sembrava possibile che l’idea andasse in porto.
 
Ed è qui che subentra il terzo problema: a prendere le redini del progetto arriva Zack Snyder, il visionario (cito) regista responsabile dell’adattamento di 300. Ora, magari voi non l’avete visto 300. Sappiate nel caso che si tratta di un buon banco di prova: non solo trasporre un fumetto*, ma anche un fumetto di Frank Miller, uno che se interpretato bene è un grande autore tra il new-epic ed il pulp (Sin City, sia lode a Robert Rodriguez) e se interpretato male un buffone fascista (la sceneggiatura originale di Robocop 2, il suo sconclusionatissimo The Spirit).
Purtroppo Miller usciva da 300 come un buffone fascista: il film piacque solo a Saviano, e tutt’ora, personalmente, provo sgomento a rileggere quella recensione. Non solo: la prima novità introdotta da Snyder era utilizzare sì la sceneggiatura di Hayter, ma come open script supervisionato da Alex Tse (il cui cognome parla da sé).
Tutto, insomma, sembrava mettersi per il peggio.
 
 
[4. Grandi speranze]
 
Però. Però la fase di produzione, maniacalmente documentata (possiamo solo immaginare dalla parte pubblicata quanto lavoro sia stato fatto nel mentre), lasciava molto ben sperare. Quasi emozionava. Per contro, i cambiamenti nei costumi (darkeggianti, sintetici, pieni di muscoli stampati) e certi tagli di capelli parlano da sé, e sono sconfortanti, è sconfortante l’immaginario collettivo da cui traggono a piene mani. Lasciando perdere, delle prime sequenze intraviste, i bullet time che tanto piacciono al Nuovo Cinema d’Azione Americano**. Però. Però negli ultimi giorni sono state pubblicate le prime opinioni sul film.
Ebbene: sembrerebbe che sia bello. Bello e coerente con il fumetto. Più bello se si è già letto il fumetto. Parrebbe che chi abbia visto l’anteprima sostenga che il film sia “quanto di più fedele al fumetto fosse possibile”.  E insomma, qualcosa si stava già incrinando dentro di me. La speranza che fosse effettivamente bello stava vincendo sul mio cinismo (e su una realistica considerazione della capacità ermeneutica di Snyder).
Quindi nulla. Inutile che ne parli oltre: sperando di avervi già convinto a dare un senso alle vostre vite e leggerlo, poi vederlo, poi rileggerlo eccetera, non esprimerò alcun ulteriore parere. Mi limiterò a farvi notare
 
          che il sito ufficiale è di una bellezza da far paura. Davvero, guardatelo, rifatevi gli occhi.
          Che se già il film in sé dura quasi tre ore Snyder ha dedicato sforzi davvero ammirevoli per rendere il maggior numero di sfaccettature, creando
          una versione straight to dvd, ma costosissima (si parla di 20 milardi di dollari, non proprio bruscolini) e supervisionata direttamente dallo stesso regista americano, sia di Tales of the Black Freighter (cioè il fumetto che viene letto nel libro), sia di Under the Hood (cioè il libro di memorie di uno dei personaggi del film). Separatamente, e come parte di quello che si annuncia come il più ricco dvd mai concepito finora da mente umana. E per farvi un’idea del livello, potete vederne il trailer qui.
          E ancora: come detto, la maggior parte delle notizie nel fumetto arrivano per voce del New Frontiersman (una specie di Chi distopico, ma senza Signorini – in fondo quindi nulla di così terribile). Bene, quelli della Warner hanno pensato di crearlo apposta per l’occasione:
 
 
…non vi basta? Pfui. Mostri! Vediamo se dopo uno, due e tre footage esclusivi riuscirete ancora a rimanere imperterriti. Io personalmente sto saltellando e battendo le manine, ho gli occhi a cuoricino e sono quasi totalmente convinto e pronto a giurare che mi piacerà (in pratica sembro Kekkoz, ma somigliando a Jason Schwartzman invece che a James Van Der Beek).
Poi magari invece uscirò dal cinema grugnendo come mi è consueto: ma per il momento permettemi di inchinarmi all’attenzione e alla cura che sono state dedicate al progetto, e di impazzire per la perfezione feticista di tutto quello che è stato reso noto finora.
Ed ora scusatemi, ma devo mangiare un hamburger, e scegliere tra la posta qualcosa di pubblicabile. Tanti saluti.

 

 
 [5. Note]
 
*E ho già menzionato che il cinema odia i fumetti? Beh, è così: a parte gli episodi riusciti tra quelli già citati sopra, i Batman antitetici di Burton e di Nolan, sono decenti i primi due X-Men e, mmh… su due piedi non mi viene in mente nient’altro. Però mi vengono in mente fallimenti più o meno patetici: i Batman di Schumacher, Daredevil ed il suo spinoff (brr) che neanche nominerò, Hulk (con cui ha tentato di suicidarsi professionalmente un inspiegabile Ang Lee), Catwoman, I Disgustosi Quattro, ma potrei citare Dick Tracy, Popeye (che insomma avrebbe un suo perché – ma vivaddio, è Altman!), e scusate se al momento non mi viene in mente nient’altro. Il problema è lo standard che si è costituito, e che rende impossibile dare serietà ad un prodotto per il grande pubblico con protagonista un tizio che combatte i cattivi indossando una calzamaglia. Per dire.
** E a Kekkoz, uno che del resto ha detto che Wanted è un bel film, tutto sommato, invece di dire che è la clamorosa cagata che solo uno che si chiama Bekmambetov poteva concepire.

giovedì, 29 01 2009

I 10 Migliori Momenti di Sesso Negato del 2008

di
So, if we are continuing what has been a promising trend in the reduction of teen pregnancies, through education and abstinence education giving good information to teenagers. That is important—emphasizing the sacredness of sexual behavior to our children.
Barack Obama

Pare che non sia neppure vero che voglia riconfermare Mark Dybul come Global AIDS Coordinator, ma Obama una certa qual simpatia per l’astinenza ce l’ha. E noi vogliamo festeggiare, come tutti, l’Inaugurazione. Ecco quindi la classifica dei dieci migliori momenti di astinenza sessuale del 2008.