Da oggi Inkiostro cambia.
O forse, come direbbe Coupland, non fa altro che diventare sempre di più se stesso.
Da oggi, e a cadenza rigorosamente casuale, Inkiostro inizia ad ospitare anche firme diverse da quella del sottoscritto; Blogger in fuga dal proprio blog, penne valenti in cerca di una casa, nomi eccellenti (o presunti tali) che non stonerebbero su queste pagine, e soprattutto illustri sconosciuti che non hanno necessariamente qualcosa da dire, ma che sanno come dirlo. La prima che troverete (speriamo spesso) su queste pagine è Francesca, formerly known for Studio GradoZero. Là dove si incontrano i Radiohead, Kubrick e David Foster Wallace.
Buona lettura.
How to re-appear completely
Il mio migliore album dei Radiohead è Amnesiac. Perché da sempre sono una fighetta. Chi è nostalgico sceglie Pablo Honey, chi è originale sceglie The Bends, chi è tradizionale sceglie Ok Computer, chi vuol fare l’intellettuale sceglie Kid A, chi vuol fare l’annoiato sceglie Hail, ma noi, noi fighetti lo sappiamo.
Io so, per esempio, che le insopportabili trombonate alla fine di National Anthem, sono trombonate insopportabili, appunto. Che Street Spirit dopo un po’ che l’ascolti è una gnagna tremenda. Hail to the thief potrebbe davvero essere l’innarrivabile disco, e con tutta probabilità lo è.
Un capolavoro. Il capolavoro. Ma io scelgo Amnesiac. Perché sono fighetta. Ed è anche quello che ho ascoltato di meno, si dice così, no?
I Radiohead per me sono come quel monolite. Sì, insomma, stanno lì.
La mia migliore canzone dei Radiohead è 2+2=5, perché sono una fighetta e oltretutto sono UDQFCDSUCDRCNSNMDDR. Vale a dire Una Di Quelle Fighette Che Deve Scegliere Una Canzone dei Radiohead Che Non Stia Nel Miglior Disco dei Radiohead. Chi è nostalgico sceglie Creep, chi è originale sceglie Fake plastic, chi è tradizionale sceglie Paranoid, chi deve trovare il titolo di un post sceglie How to disappear, chi fa l’intellettuale sceglie Pyramid Song.
Pyramid Song è un trionfo. Non si capisce cos’è. Come il finale di 2001. Come il monolite. Non lo sai, dove quando e in che camera immaccolata della tua esistenza va a finire.
Ma 2+2 sono tre canzoni in una. Un delirio. Mio figlio la canta ancora. PAY ATTENSCIONNNN. E pensare che Luca la prima volta che gliel’ho fatta sentire aveva capito PENETRESCIOOOOON.
Altre cose, in ordine sparso. Non ho pretese di giornalismo musicale, me ne infischio se prevalgono le chitarre o l’elettronica, non so un cazzo di missaggio. Ho una foto di Thom Yorke sbrodolato di cioccolata sul mio frigo. E una di profilo che non gli si vede l’ochio sblisgo ce l’ho in studio. Ho un grafico che attribuisce improbabilmente frasi sconce a Thom Yorke. Penetration, sì, lui. Una volta Luca mi ha detto, e vabbè, coraggio, educami. “Ho tutti i dischi originali” gli ho detto.
Luca lavora con me.
“Ho questa cosa che con loro mi devo sedere sul divano, mica qui” dico alla scrivania.
“E dedicare quel-tempo-lì. I tempi di un divano” dico “per sentire il disco.”
Che, nel caso non si sappia, è il disco nuovo.
La mia canzone del disco nuovo dei Radiohead è Weird Fishes, vale a dire Arpeggi. Perché sono una femmina. Chi è ritmicamente avanti dice 15 steps, chi ama The Bends dice Bodysnatchers, chi è radioheadiano da una vita ha riconosciuto Nude, chi fa l’originale dal divano in ritardo dice Faust Arp, chi è innamorato dice All I need.
Arpeggi è la meno nuova, e per questo è una canzone che invecchierà. Una canzone femmina.
A me i Radiohead mi fanno l’effetto di Kubrick.
Certo che Reckoner spacca. È la mia preferita. No, avevo detto Arpeggi, gesù. Arpeggi mi morirà fra le mani esattamente fra dieci giorni, ci scommetto. Come le femmine. Quando il telecomando del vai-avanti-veloce onora il tempo speso ad ascoltare dieci volte al giorno gli stessi arpeggi e le stesse ovaie consumate, allora sì, si invecchia tutti insieme. Noi, la canzone, il telecomando. Non si consuma più niente, puntine, solchi, ovaie, no. Semplicemente si invecchia.
Sono invecchiata quando il videonolo sotto casa mia mi negò andreottianamente Arancia meccanica. Avevo solo diciassette anni e cinque mesi, il bollino rosso recitava chiaro. Decisi di invecchiare veloce. Invecchiai più veloce che potevo di sette mesi, perché era diventata ormai una questione di principio. Quando lo vidi, a diciott’anni e un’ora, invecchiai di botto altri dieci anni. Come in quel film con Adam Sandler, presente. Dove lui c’ha il telecomando esistenziale per andare avanti veloce fino ai momenti cruciali della sua vita ma poi si incasina e diventa vecchio all’improvviso e rimpiange un casino il lento scorrere del ciclo ovarico della moglie.
Ecco, a me Arancia meccanica mi ha fatto quell’effetto lì. Io quel giorno dal videonolo c’avevo il mio tempo tutto fra le mani.
Devo smetterla di andare avanti veloce e ascoltare solo Arpeggi. Sul posto di lavoro poi.
Luca sta cerchiando su Abitare Bologna Ovest appartamento semiarredato due camere sala bagno come nuovo parquet cantina posto auto stendino incluso.
“Siete in due?” gli fa l’agente immobiliare al telefono.
“Sì”
“Cosa fa sua moglie?”
“Il fotografo” risponde lui.
Arancia Meccanica non l’ho più visto da allora, per paura di invecchiare ancora. O di fare invecchiare lui, il film.
Però l’ho fatto vedere a mio figlio. Dai, se le infinite possibilità di accompagnarlo al cinema, per me, spaziano fra Narnia o Cars, mi dico, meglio educarlo bene fin da subito. Non si può perdere tempo con film inutilmente confezionati, blandamente educativi, roba che non ti rimane. Già mi lavo i denti tre volte al giorno, voglio dire. Mi basta, in quanto Perdita Di Tempo. Meglio accelerare, mi dico.
Così l’altro giorno l’ho rapito da atletica e l’ho buttato sul divano davanti ad Alex.
“A un certo punto della nostra vita, ci dice Proust” gli urlo mentre lui piange e ulula perché era nel bel mezzo di una staffetta vincente e perché effettivamente la cura ludovico gli fa un tantinello paura “a un certo punto tutti quanti noialtri staremo sui trampoli e vedremo Tutto Quello Che E’ Passato Di Noi e tu vedrai il tempo perduto nelle staffette, vedrai l’ombra di un fiore nell’amore per la Francesca di 3a B, userai le parole “cura ludovico” molto più di quanto adesso non credi, scorgerai da lassù il tempo concesso sul divano ai monoliti. Il tempo che hai passato con me sul divano non è perdita. Loro, i monoliti, non saranno invecchiati. Io invece, con tutta probabilità, avrò il catetere.”
“Ma la mia squadra stava quasi vincendo cazzo”
“Non dire parolacce. Mi ringrazierai. E già che ci siamo, guarda, segnati anche questa cosa. Quando ti chiederanno se il mondo blabla quali sono le cose blabla che ti porterai nell’isola blabla, ti consiglio di trovarti cose immortali. Non dire le cose che ami di più. Dì le cose che non ti invecchiano.”
E adesso ascoltami. Serio, però.
Allora, la prima cosa si chiama 2001. La tua nonna dice che è una palla mortale e ha ragione. Ma nella noia trovi mille motivi di esistere. Questo è quello che penso. Che sia chiaro, il mio film preferito è tipo Snakes on a plane. Ma io sull’isola blabla non mi ci voglio divertire. Voglio far passare il tempo senza invecchiare. 2001 non mi invecchia, perché come disse una volta il tuo compagno Leonardo di 1a B, le scimmie siamo noi.
E voi bambini avete bisogno della noia, per capire quanto grandi e vecchi siano i Dragonball, per esempio.
Quando sarete grandi, i Dragonball saranno come per noi Mazinga e i remix delle canzoni dei cartoni animati. Una tristezza inconsolabile. Però i Dragonball vi hanno portato avanti, vi hanno fatto fare quel gradino in più su un’eventualmente antologizzabile linea del tempo, ma tu non diventerai mai, giuramelo qui e ora, non diventerai mai uno Scrittore Antologizzabile In Una Linea Del Tempo. Tu sarai astronauta, e dirai che la prima volta che ti sentisti vecchio fu davanti ad Alex che cantava sotto la pioggia, colpa di tua madre che non ti portava ad atletica per farti vedere i film di kubrick, tua madre ormai col catetere che (non) ti aspetta (più) a casa.
L’inizio e la fine sono qualcosa che ostacola la natura dei monoliti. Trovatemi un inizio e una fine mosci in un disco dei Radiohead. Iniziano senza volere e finiscono senza invecchiare. Personalmente adoro i libri che iniziano faticosi. Quando alla seconda riga sembrano pochissimo seducenti. E alla terza già esclami “piuttosto Faletti”. E di norma, quegli stessi libri, finiscono struggenti romanticamente latenti, foscolianamente inquieti. Non finiscono, insomma. Ti lasciano lì, con la tua ultima amara pagina in bocca e il tempo che si avvolge pericolosamente su se stesso, il tuo tempo, qualcosa che sai che insomma continuerà a darti il tormento per tutto il resto della tua esistenzialmente telecomandata vita-del-cazzo-senza-mai-più-libri-da-leggere. Perché è ovvio, dopo che hai finito quel libro che inizia scontroso e finisce per travolgerti, alla fine insomma non leggerai mai più nient’altro.
Ecco, a me i Radiohead fanno quell’effetto lì.
“Ma perché li ascolti” mi chiede mio figlio.
“Nessuno ha bisogno di invecchiare” rispondo io. “Semplicemente non riesco a togliere lo sguardo dal monolite.”
La seconda cosa sono i Radiohead-Tutti-Insieme. Non posso più disonorare il mio tempo con la difficoltà di una scelta non voluta.
“Tutti insieme tutti insieme” frigno con mio figlio.
“No. Uno solo, mamma.”
“Col cazzo”
“Non dire parolacce.”
“Loro non compiono mai gli anni” dico a mio figlio. “Non spengneranno mai candeline nella loro vita.”
“Uno solo, mamma.”
“Loro finiscono senza voler finire.”
“U-no-so-lo”
“Dopo Kid A c’era per forza Amnesiac. Dopo Ok Computer c’era per forza Kid A. E così via fino a_”
“Uno. Cosa ti costa, cazzo”
“Non dire parolacce. Mica hanno finito, sai. Io lo so che non finiscono. Perché sono senza tempo. Non han mica finito, dopo Hail to the thief c’era per forza In rainbows. Dopo In rainbows c’era per forza, c’è per forza, c’è per forza_”
(continua)