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sabato, 15/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto (Quarta e ultima parte, con finale tragico)

“Sai cosa sembri quando fai così?”
“Un fottuto uomo pieno di buon senso, ecco cosa sembro.”

(Prologo)

(Struttura)

(Teoria e pratica)

Quest’anno ho spesso sentito prendere in giro i dialoghi di Twilight, e a ragione, forse.
Una battuta come “this is the skin of a killer” è una battuta profondamente kitsch, una battuta scritta per eccellenza, magari bellissima se arriva in un determinato momento nella vita di un personaggio di carta. E che se la metti in bocca a qualcuno su uno schermo nove volte su dieci si sgonfia. (1)
Ora, invito i detrattori di this is the skin of a killeeeeeer! a mettersi davanti ai dialoghi tra Logan e l’indiana, o a quelli tra Logan e Liev Schreiber – Fratello Cattivo, o ai monologhi patriottardi con cui Danny Huston cerca di tenere stretto il guinzaglio a entrambi.
Vi sembrano:
a. un gioco sugli stereotipi, come certe puntate di “True Blood”;
b. il tentativo di produrre un clima volutamente straniante;
c. il frutto di un Final Draft che non afferra la lingua umana e quindi traduce tutto a catchphrase e battute solenni ma generiche, tanto che non ci starebbe male un “… this is Sparta, and that’s how we roll dawg” ? (2)

Ovvio che se poi tutti parlano allo stesso modo (quello) anche il senso ultimo della loro presenza vada a farsi benedire. Anche le azioni diventano intercambiabili. Niente causa/effetto, ma nemmeno niente WTF? pseudo-liberatorio, alla Ghost Rider, perché esiste comunque una struttura da “prima vai qui, poi torna là”, per quanto mal congegnata (leggi: stupidissima e complicatissima insieme).
Il caso più macro: per il 90% del tempo il fratello vuole ammazzare Logan, lo insegue in tutto il mondo, organizza dei tranelli machiavellici, poi a cinque minuti dalla fine cambia idea e lo salva. Lo salva da un pupazzone digitale, però lo salva. (3) Ditemi perché. Un punto di svolta così grosso non può non esistere. Devo essermelo perso io, per forza. Non è possibile che sia bastato quel nanosecondo di ops, mi sa che La Legge sta fregando pure a me – pacina pacetta?. Specie dopo il ritorno in scena di un personaggio ucciso a metà film, con annesso Flashback Esposizione e voce off che scandisce “mi è stata iniettata una sostanza in grado di provocare la morte apparente”.
(Spoiler alert: Logan, va bene che non sei mai stato un fulmine, ma così? Intendo, mille anni da soldato mutante con un fratello mutante sempre in mezzo ad altri mutanti e non te ne eri accorto? “Sospensione dell’incredulità” non fa rima con “circonvenzione di incapace”. Naturale, in una storia più avvincente ci saremmo tutti passati sopra. La trappola sarebbe scattata. Ma dato che qui l’unico fattore motivazionale fa rima con “amica”, e sono tre film che ce la menano con te che sei un animale ma in fondo hai i sentimenti? Sparisci, tronco.)
(Che poi, chiaro, io sono una canaglia che di fronte a scene quali “lui chiude gli occhi del suo amore morto” comincia a canticchiare Dust In The Wind. Però, come dire, ci sono volte in cui lo faccio mentalmente e ci sono volte in cui lo faccio a voce alta. Meno male che l’avevi scaricato, direte voi. Giusto. Non ho disturbato nessuno. Dato che l’ultima persona ad aver ammesso di aver scaricato la  copia lavoro di questo film è stata licenziata, e lavorava per la Fox, confido che sarete voi a spedirmi le arance quando andrò in SVEZIA.)
Ecco, la cosa che non sono mai riuscita a mandare giù di tutti gli X-Men al cinema è questo insostenibile tono I am serious man / this is serious business, che non dico faccia rimpiangere i Batman di Schumacher ma quanto meno costringe a riflettere sul divario (qui un baratro) tra ambizioni e soluzioni.
Il lato positivo è quando poi scrivi tu ci stai un pelo più attento. Magra consolazione, oh. Se era questione di apprendimento, potevo apprendere dal buon esempio. Non sono un animale.
E al di là del monumentale odio per la razza umana che il vostro film ha suscitato in me, un risultato piccolo ma essenziale non l’avete portato a casa.
Sono ancora viva.

Conclusioni.
a. E’ tutto molto divertente finché qualcuno non si cava un occhio.
b. L’ingrediente segreto è l’amore.
c. Ryan Reynolds o ricomincia a spogliarsi o si dedica agli hobbies, che di scherzi così gliene si abbuona uno al decennio.
d. L’unica possibile ragione per cui il brutto siderale a volte ha senso è farci venire una botta di autostima. Il lettore scelga se regnare all’Inferno è davvero meglio che servire in Paradiso.

Entro l’estate 2010 Violetta Bellocchio finirà il suo secondo romanzo. Dopo di che si dedicherà agli hobbies.

1. Se poi la metti in bocca a Edward Cullen con ogni probabilità determina il punto di non ritorno dello sghignazzo, un po’ come il “non sono le mie sferzate che temono” di 300.
2. Copyright @ Morgenstern.
3. Però ne approfitta per dare voce a quello che tutti pensano a quel punto, cioè “se qualcuno ti ammazza sono io”. And that’s how we roll dawg.

venerdì, 14/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto. (Terza parte: teoria e pratica.)

(Prologo)

(Struttura)

E fin qui, ci siamo lasciati guidare dal LOAL.
Il problema però non sta nel fatto che un film come Wolverine sia facilmente derisibile. Sta lì apposta, in un certo senso.
Il problema sta nel vuoto teorico che lo circonda.
Un vuoto che va a toccare questo tipo di progetto in particolare. Nessuno cerca di giustificare l’esistenza di La Meglio Gioventù da una prospettiva di centro-destra utilizzando strumenti teorici: al massimo lo si etichetta come un guilty pleasure, o si tirano in ballo argomenti molto personali (“che bella colonna sonora”). Non so bene come siano andando le cose in altri campi – musicale, letterario, teatrale. (Ditemelo voi. Sul serio, mi piacerebbe saperne di più.) Per quanto posso vedere, attorno all’intrattenimento per immagini si è creato un buco nero, tanto più spaventoso quanto più quell’intrattenimento è ovunque. O ci limitiamo a trattarlo con il solito taglio costumoso (quorum nos, quando lavoravo di più per i femminili), oppure finiamo a parare nel “la merce per sua stessa natura deve essere insoddisfacente eccetera”. Così poi quando persone per altri versi stimabili scrivono “ZOMG, Michael Bay è l’ultimo vero Autore del cinema americano” (1)  non solo nessuno guida una processione verso casa loro con torcia e forcone (2) ma ci sarà, per forza, qualcuno che li prenderà sul serio, e che di fronte al tuo più bonario ma magari anche un po’ sticazzi scusa ti accuserà di volerlo censurare, come I NAZISTI.
No.
Abbiamo tutti bisogno di modelli. E’ chiaro. La presenza di un modello ci spinge a migliorare, e, se siamo fortunati, a trovare una strada più autentica.
Ma esiste uno studioso come David Bordwell, che usa il suo blog come scatolone di sabbia dove abbozzare (con smalto già notevole) i futuri lavori accademici, ed esiste… cosa ?

Esempio. Quando in preda al masochismo giovanile guardavo Cruel Intentions, non ce ne ricavavo nulla tranne il piacere della conferma (“è proprio brutto come dicono”). Poi però trovavo Alberto Pezzotta (3) che ne parlava su Linus, e diceva cose interessanti sull’uso della colonna sonora in questi brutti film, e allora capivo che, sì, pompare trasgressione e ritorno all’ordine con la stessa musica non era mai una gran pensata, a meno che dietro non ci fosse una precisa scelta stilistica (fidatevi, è raro). E questi semini di buon senso applicato alle immagini me li sono portati dietro fino a qui. Bella per me.
Adesso però chi glielo spiega, a quelli che si sono fatti piacere Wolverine, che un utilizzo dei materiali simile è uno sputo in faccia alla narrazione? Che non si può imbastire una storia delle origini – perché Le Origini, come le fiabe, sono roba appassionante e molto reale – e pretendere di riassumere tutto in “mutanti che esistono e fanno cose”?
C’è un nesso. Per forza.
A narrazione di merda, critica di merda.
La pochezza è tale che viene la tentazione di rifugiarsi sul versante recensione degli abiti indossati dagli attori e/o quante volte (se) i suddetti attori mostrano chiappe e toraci. Un modo di affrontare il testo che il blogger Ohdaesu chiamava “carrellata di giudizi estetici aspesiani” e altri chiamano “dannunzianesimo”. Per capirci, quello che succede quando aprite un quotidiano nazionale cercando di capire cosa succede a Cannes o Berlino e ci trovate solo descrizioni di amplessi con molti gemiti. (4)
Il dannunzianesimo non giova a nessuno, e, va da sé, non genera figli normali.

Certo però che: Dominic Monaghan ha un abbozzo di superpotere e mezzo momento recitativo ma muore subito (fuori campo, mi sa con una lampadina in bocca); il giappo lavora di sopracciglio inarcato manco fossimo in un porno con ammazzamenti (non ho voglia di andare a cercare su IMdB chi sia l’attore, probabilmente una superstar coreana pagata a noccioline); Danny Huston somiglia sempre più a Vincent D’Onofrio e anche lui qui a tratti attacca delle faccine devastanti, a proposito, regista premio Oscar per Il suo nome è Tsotsi, gli attori magari dirigili, ti avranno assunto per qualcosa, e invece le scene d’azione sono orrende E gli attori vanno ognuno per conto loro, MA non è che andando ognuno per conto loro producono quel senso di WTF? complessivo che può anche risultare liberatorio, post-cinema lo chiamano, come quando per fare un film su una rapina in banca prendono il rapper del momento e gli dicono apra la bocca signo’ e lui butta lì un paio di yo homie e poi torna nella sua roulotte a progettare la distruzione delle isole Fiji, nel frattempo prendono anche un attore di “Lost”, un francese di quelli che si buttano dai palazzi, una mezza celebrità degli anni Ottanta Novanta e una giappa bona, li chiudono ciascuno nella sua roulotte e li tirano fuori uno alla volta solo quando c’è da girare i primi piani separati di loro che fanno le faccine [non so se avete visto Tropic Thunder, però immaginatevi una versione super-impettita del film che stanno girando i protagonisti nella giungla, dategli la patina di uno straight to DVD ungherese e avrete il film che vi sto raccontando, e che, ve lo giuro, cammina tra noi], ecco, qui c’è un andazzo tristissimo di minimo sindacale da tutte le parti, namo dotto’ oggi amo fatto presto, e poi voglio vederlo il classically trained actor slash director Liev Schreiber a tornare a casa da Naomi Watts di nuovo incinta e razionalizzare la sua vita fino a quel punto. Com’è andata oggi? Mah, son stato tutto il tempo a ripetere “ooh, shiny” davanti a un bluescreen. Mi stanno venendo come dei leggerissimi dubbi sul progetto. (Naomi si poggia le mani sulle reni. Oh, Liev. Sei sempre il solito baluba.) E hai voglia a recitare quando stai lì con il sudafricano più scasso in città, giuro, ti capisco. Oh guarda, un blue screen per terra. Namo dotto’ er cosmo è pronto. L’avanzo di serie televisiva per fratelli incestuosi dell’Oklahoma che fa Gambit almeno non parla con l’ascento franscése tuto così, ma, come dice il collega Nanni Cobretti, “dal film ho solo capito che il suo superpotere è mischiare le carte molto bene”. Mio padre dopo aver visto The Prestige è tornato a casa e ha detto uno con quella faccia può fare solo il Lord o il deputato, e aveva ragione, perciò prendiamo Hugh Jackman e cancelliamolo tutti dal nostro nervo ottico, ADESSO. Che a confronto la trilogia era un capolavoro di mezzi toni, e si vede tantissimo che si è rotto il cazzo, anche se è lui che co-produce questa roba. Kris Kristofferson ha zoppicato attraverso tre Blade tre e ha fatto una figura molto più dignitosa. Just sayin’, son. E mi piacerebbe sapere, ma proprio giusto per sapere, quali chiodi avevano in mano quelli che hanno crocifisso Terminator: Salvation, che tra parentesi aveva un production design decente, scoppiava roba di continuo e se non altro ti restavano impressi i cappotti.

Ci sarebbe anche da parlare di Deadpool, ma fa troppo ridere.

[Seguiva qui un lungo excursus sul mio orientamento sessuale, espunto perché uno, come esempio pedagogico di dannunzianesimo basta e avanza il pezzo qui sopra, due, il mio orientamento sessuale non interessa a nessuno e, tre, è comunque meno rilevante rispetto a quello di Deadpool. E non tocco l’argomento con un bastone di sei metri.
Termina il ricreativo, principia il culturale.]

Ci sono persone che hanno ricevuto La Chiamata per questo progetto.
Se è per questo, ci sono persone che non parlano dei loro sentimenti perché li hanno più profondi degli altri, e persone che non parlano perché dentro non c’hanno niente. (5)
Mi sfugge l’allure di David Benioff come sceneggiatore (Troy più Stay uguale Benzina ti presento Fiammifero) e già vedere il nome “Skip Woods” nei titoli non era stato un bel momento. Però poi è un falso problema. L’avranno anche firmato loro due, ma ci sarebbe da capire quante decine di mani abbiano strapazzato questo copione, quanti produttori associati abbiano chiesto o imposto “giusto una spuntatina”, quante professionalità abbiano contribuito a plasmare questo tragico figlio di nessuno, questo fratello leso da vestire a festa e portare controvoglia alle cene di famiglia (cit.), che se gli togli tutti i punti in cui Wolverine tira fuori gli artigli, li guarda basito / intenso / spavaldo e li ritira dentro resti con un minutaggio da pubblicità contro gli incidenti stradali. (6) Allora sì, se si tratta di allungare la zuppa buttiamoci dentro un grande obeso e il negro dei Black Eyed Peas come alleggerimento – naturalmente gestito con una mano di amianto, ma non è questo il punto: hai talmente poca fiducia nella storia che stai raccontando (e talmente tanto odio per chi la sta guardando) che ci devi inserire dei siparietti comici inopinati dopo un’ora e rotti? Per giunta con dei tagli di inquadratura e montaggio equivalenti a uno che ti racconta una barzelletta interrompendosi a ogni battuta e dicendo “eh? eh? niente male, eh?”. (7)
Giusto. Parliamo del montaggio.
Il montatore è il secondo padre di un film, e questo film ha avuto un’infanzia dickensiana. E’ impossibile montare così male a meno che il girato non sia stato predisposto in funzione di un montaggio simile, come accade. In quanti casi il regista non entra nemmeno in sala di montaggio? In tanti. Ci entra un delegato della produzione, ecco chi. Ma non è nemmeno possibile che la dipendenza da sedativi per animali di grossa taglia del poraccio di turno sia passata inosservata a chi doveva vegliare sul progetto. (8)
E allora perché questa roba esiste? Perché, come può capitare solo alla roba clinicamente dozzinale, perché si muove e sente e pensa e respira e pretende?
E soprattutto, cosa vuole da me?

(continua)

1. A volte senza ZOMG, ma abusando di termini come “aporia visiva”. Ragazzi, la vita è dura.
2. Se vi riconoscete nella descrizione appena letta, questa sono io che mi nascondo dietro il fienile.
3. Persona con cui poi ho avuto la fortuna di lavorare, e che mi ha quasi sicuramente salvato da una pessima fine. Se non potete averlo come collega, supervisore, insegnante o vicino di casa, potete sempre leggerlo. Fatelo. Per piacere.
4. Argomento che, al di là dei singoli casi, basterebbe a determinare l’attuale superiorità dei cineblogger sulla critica istituzionale. Almeno i film loro li vedono.
5. Questa la capiamo in tre, per cui facciamoci un giro di pacche sulla spalla a vicenda. Fingeremo di non riconoscerci quando ci rivedremo nell’aldilà.
6. La terza volta credo di aver pensato “cos’è, un’installazione?”. Poi mi sono messa a ridere.
7. David Benioff, ti sto guardando mentre faccio il gesto di Mystic River. Scusa se isolo te dal mucchio, ma dopo tutto la firma ce l’hai lasciata, no? Mica sarà sempre colpa di Paul Haggis.
8. E che invece in sottofondo urlava “più tortura! più tortura! ah ah ah ah ah!”.

giovedì, 13/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto. (Seconda parte: struttura)


 

 

(Prologo)


Considerazioni preliminari:
La pura esistenza di questo film così com’è adesso è un atto di schadenfreude talmente potente che, in un altro momento, avremmo visto le fiamme inghiottire la 20th Century Fox e ardere nella notte come pozzi di catrame all’inferno.

Considerazioni preliminari /2:
Se Wolverine fosse uscito prima di Hot Fuzz, di sicuro in Hot Fuzz ci sarebbe stata una scena in cui Nick Frost chiedeva a Simon Pegg “have you ever held a dead body in your arms and gone aaaaaaaah?”.

Soltanto un anno fa c’era Iron Man.
Sarebbe a dire, un prodotto di successo che è piaciuto a più tipologie di pubblico – gli appassionati del fumetto, i visitatori casuali del multisala da sabato sera, gli estimatori di Robert Downey Jr., il mio amico Stefanino – grazie a una buona idea a cui era agganciato tutto il resto. Nel caso specifico, “uomo di quarant’anni subisce radicale cambiamento: cercherà di capire come far funzionare la roba nuova nel contesto della roba vecchia”. Un’idea abbastanza semplice e abbastanza precisa attorno a cui ruotavano personaggi, situazioni eccetera, ciascuno declinato in modo un po’ diverso per amor di varietà. Un sistema non troppo lontano da quello che, applicato al minimalismo, Tom Spanbauer chiamava “i cavalli”: la spia tematico-lessicale che accompagna il plot, “la diligenza”, dal punto A al punto Z.
Dicesi invece “fase pilota” quel micidiale ritmo establishing shot / primi piani / arriva qualcuno / esposizione pezzo trama / primi piani con i personaggi che fanno le faccine / establishing shot, ritmo tipico delle primissime fasi di una sceneggiatura, sia che si tratti di una puntata di una soap opera (e allora a volte resta così fino alla fine) sia di un film con maggiori ambizioni ma ancora parecchio al di là della scioltezza necessaria per entrare in produzione.
Un’ora e quarantacinque inchiodati alla fase pilota in cambio di tre minuti di Ryan Reynolds che spara cazzate a raffica (1) e Liev Schreiber che dice “funny, Wade, I didn’t think you liked girls” non sono un cambio accettabile.
Buttano benzina sul fuoco di mezzi spunti totalmente estranei all’opera, magari di roba mia, magari persino di roba sessuale mia, ma non c’entra. (2)
Questo detto da una che, senza motivazioni plausibili, si è inoculata (tra gli altri) Nicolas Cage astrofisico al M.I.T., La Meglio Gioventù da una prospettiva di centro-destra, Gesù e Predator tra i Vichinghi, Risparmiatevi la fatica che lui non torna e un’intera stagione di “Ashes to Ashes”. Conosco e comprendo l’attrazione per l’insoddisfacente. Se non fosse così, non avrei infilato tanto spesso la testa nelle fauci del leone. E non avrei mai noleggiato Overnight. (3)
Sul serio, adesso. Non ho alcun problema con il contenitore. Né con la definizione del giorno per etichettare un testo “altro”: prequel, AU, reboot, re-imagining, eccetera. Credo sinceramente che facciano bene alla fantasia. Soprattutto di chi all’inizio ci ha pensato un po’ sopra. Perché i risultati – il contenuto è un discorso diverso.
Per dirla con il Dogma Italico (vado a memoria), “non organizzo un concerto per chitarra classica se so suonare solo La canzone del sole, e pure male”. (4)
Ecco, la cosa divertente – l’unica – in un film simile è il retrogusto guardami guardami sto fregando la legge, perché dubito che una drammaturgia di bruttezza siderale sarebbe stata riscattata o compensata dal vedersi il prodottino finitino ripassato bene bene bene, e quantomeno così c’erano gli omini disegnati come sulle porte dei bagni che venivano sbatacchiati dai camion in transito e Ryan Reynolds attaccato ai fili, e quando ti ricapita, scusa. Io Ryan Reynolds attaccato coi fili al soffitto del tinello che spara cazzate non ce l’ho avuto mai. Forse nei paesi civili una volta all’anno lo Stato te lo passa. In SVEZIA, ad esempio.
Scusate, non lo faccio più. Torniamo a bomba.

Prendiamo la mostruosa parte con Logan e l’indiana in Canada (anche nota come “I’m a lumberjack and I’m ok”), giustamente sbeffeggiata da tutti, e a quella sono arrivata almeno preparata, ma non al fatto che lo stesso modulo si ripresentasse paro paro un quarto d’oretta dopo con i due vecchi e il fienile (5). Che se già di per sé la manfrina ehi lo sai figliolo tu non sei un animale anche se hai un aspetto diverso dal mio ma tanto in fondo siamo tutti figli di Diaaaaaaaaaah (muore) è un mezzuccio che andava messo fuori legge ieri, sbatterla due volte nello stesso film è una mancanza di rispetto atroce, atomica, annichilente nei confronti di chi guarda.

Stesso discorso per la caratterizzazione: se l’eroe è la parte più impari di un progetto simile (6), parteggiare per un cattivo che va avanti a suon di sguardi matti e denti aguzzi è come guardare Hulk 2 perché c’è Tim Roth (non mi avrete). E non sto facendo un discorso specifico sul fumetto di partenza, la cui continuity avrebbe fatto scoppiare la testa anche a gente migliore. E’ proprio la pessima abitudine che va per la maggiore negli adattamenti oggi: si prendono dei frammenti sul genere “solo parti originali”, li si infila più o meno a caso in una struttura rozza e ripetitiva e si pretende che lo spettatore in the know sia appagato da un paio di strizzate d’occhio. (Vedi la battuta che citavo all’inizio.) Ribellatevi, cazzo. Siete nerd? Usatela, la nerditudine. Non date più una lira a questa gente. (7) Non vi amano, non vi rispettano, non hanno a cuore i vostri interessi o la vostra felicità, non tengono bassa la voce quando vi chiamano “fissati”. Vi odiano.
Per inciso, non sappiamo nemmeno se un adattamento “molto fedele” degli stessi testi sarebbe stata la scelta giusta, date le condizioni. A me piacciono i libri di Harry Potter. Li ho letti con allegria. Questo non significa che i film tratti da quei libri non siano via via arretrati fino a ricordare un’accozzaglia di money shot tenuti insieme da rappezzi pesantissimi e personaggi che fanno le faccine. E lì la responsabilità è di chi, sfogliando un fascio di documenti, ha detto “ah però, visto che questi film incassano fiumi di denaro lo stesso, facciamoli BRUTTI”. (Poi è andato a rimuovere le minorenni thailandesi morte dalla roulotte di Tony Macello. Credo.)
Ma qui? Qui di chi è la responsabilità?

(continua)

 

1. Cosa desiderabilissima in ogni circostanza esuli dalla saga di Blade.
2. Il fanon va a correggere o integrare quanto è percepito come “suscettibile di miglioramento”, e magari lo fa in modo talmente incisivo (o prende talmente piede) che diventa parte del discorso. Va tutto bene, però farsi piacere un film fermo alla Fase Pilota solo per poter speculare sui gusti sessuali di un supereroe è un po’ come dire “mio marito mi ha spaccato i denti per vent’anni, però una volta mi ha portato un mazzo di fiori”.
3. Tempo speso bene, quest’ultimo, perché così in aereo non resto mai a corto di argomenti.
4. La collega Dolores Point Five mi ha confermato che, se ha accantonato il progetto “L’albero dei valori morali di Fast and Furious”, è perché non ha mai imparato a usare Excel. Per dire.
5. Santissimo Dio, perché non mi avete avvisato? Perché?
6. Innanzitutto va dimostrato, poi ne riparliamo nell’ultima parte.
7. E non scaricate questi film, da cui il titolo del triste apologo morale sotto i vostri occhi. Altrimenti la mia morte sarà stata inutile.

mercoledì, 12/08/2009

Ho fregato la legge e la legge ha vinto. (Un racconto di pura fantasia.)

Ormai, che scaricare significhi rubare l’abbiamo accettato praticamente tutti. Ma scarichiamo lo stesso. Ne abbiamo bisogno.

Perciò ognuno di noi, chi più chi meno, si costruisce la sua etica personale della situazione. Di solito ciò si traduce in una serie di domande a scelta sì/no, che vanno a formare un percorso, e alla fine di quel percorso c’è un dito su un tasto.
Ad esempio, forse voi vi chiedete sto rubando il pane di bocca a qualcuno (sì / no), pagherei anche solo mezzo centesimo per acquisire una copia legale (sì / no), mi dovrebbero pagare a me (sì / no), c’è possibilità che arrivi nel paese dove al momento abito (sì / no), c’è possibilità che vada in onda prima delle 02:00 di Ferragosto del 2015 (sì/no), ci sono già i sub (sì /no), la storia a cui sto lavorando potrebbe presentare punti di contatto con questa storia (sì /no), voglio aspettare di vederlo doppiato orribilmente senza rumori di fondo e proiettato in una sala dove c’è odore di puledro (sì / no). Giusto per citare le più comuni. (1)
Stando così le cose, scaricare una workprint è la cosa più scema si possa fare e il più sonoro schiaffo in bocca a un sistema vissuto come “corrotto”.
“Workprint” – copia lavoro – significa la versione provvisoria di un film: quella ancora suscettibile di aggiustamenti al montaggio, magari con suono o effetti speciali mancanti. (2) Nessuno dovrebbe vederla a parte chi ci sta lavorando sopra. Non è quello il suo scopo.
D’altro canto, anche quello che scelgo di vedere obbedisce a logiche non sempre chiare.
Ci sono cose di ovvio interesse, cose che appagano una curiosità, cose a cui bene o male un occhio ce lo si butta, cose da vedere in nome dell’affetto (presente o passato) per qualcuno che ci ha messo le mani, cose che ho visto perché sono stata pagata per farlo, e cose per cui a un certo punto ho pensato ehi, dovrei lavorare, ma sulla base della photo gallery credo che questo si qualifichi come “pausa estetica”.
E poi ci sono Gli Inspiegabili.
Magari sono pochini – sia come biglietti staccati sia come scaricamenti inopinati – però ci sono. Devono esserci. Fa parte del gioco.
Ora, la mia curiosità verso una copia lavoro è direttamente proporzionale al drama che la sua messa in rete ha suscitato.
Se Eli Roth non avesse frignato come una casalinga, non mi sarei mai sognata di depredarlo dei miei sette euro per Hostel 2 – anche perché, con ogni probabilità, non avrei mai visto il film. (3)  E aggiungiamoci pure che, per i bizzarri percorsi della vita, ho passato un anno a vedere film non finiti, capendo così che la qualità essenziale di qualcosa non dipende da un missaggio del suono preciso al mille per mille, e che se una casa di produzione col prodotto interno lordo di una piccola nazione in caso di leak attacca una sceneggiata a colpi di oh noes, per amor di Dio, aspettate di vederlo in sala, siamo indietro con gli effetti, non si interrompe così un’emozione, la pirateria ammazza il cinema, non fate piangere San Luigi, questo significa, senza ombra di dubbio e a prescindere dal contesto, che il film fa schifo.
Perciò ho scaricato la workprint di X-Men: Le Origini – Wolverine.
Ho poi naturalmente proceduto a ignorarla per quattro mesi, dando la precedenza a qualunque altra cosa, crogiolandomi nel pensiero che – ehi! – il film faceva schifo e tante brave persone in tutto il mondo l’avevano disprezzato, ma almeno non dovevo né pagare né uscire di casa per averne le prove. Se mai le avessi volute. E mentre il disco fisso mi guardava sussurrando apra la bocca signo’ io stringevo i denti. Il paradiso lo vogliamo in questa vita. (4)
Avanti veloci fino al sette agosto (venerdì), quando facendo pulizia sono andata a sbattere contro il classico dilemma del nerd. (5)
“Ok, abbiamo questo file, lo spostiamo dritto nel cestino dando retta al buon senso e a tutti i tuoi amici che con una sola eccezione (la quale poi non si capisce bene come è messa) hanno usato l’espressione  ‘brutto forte’, oppure ne guardiamo i primi 20’ tanto per essere sicuri?”
La risposta al dilemma è stata la più convenzionale.
Attorno al minuto 18’ arriva Ryan Reynolds che fa Deadpool. Lì ho capito che mi ero fottuta con le mie stesse mani.

[continua]

1. Io ci aggiungo “questo libro ha un prezzo tutto sommato ragionevole e mi arriverà entro due mesi (sì/no)”, ma sono in minoranza. Credo.
2. Oddio, c’è chi si spinge più in là: Rob Zombie nella copia lavoro di Halloween ha inserito un finale opposto a quello del montaggio finale, confermandosi l’indiscusso Re Del WTF.
3. E quindi non avrei mai versato calde lacrime nel vedere Heather Matarazzo appesa per i piedi. Per non parlare della bionda finita in mano a Ruggero Deodato. Come si dice, una storia a lieto fine.
4. Ogni tanto potrei anche aver picchiato un pugno sul tavolo.
5. Beh, io lo sono. Questa storia ne è la prova vivente.

mercoledì, 28/05/2008

Preghiere esaudite, con sottotitoli.

Lui e lei si baciano nello stesso vicolo dove una volta sono entrato in una vetrina col motorino. Finora il film è tremendo e non solo per questo.”

Qualche settimana fa, a chi mi chiedeva ragione del nome che porto, ho risposto “um, io sono al 50% umana”.
Non volevo fare la spiritosa.
Sembrava solo il modo più rapido di spiegare che, vero, il Dna è quello, e quindi anche io butto sul morboso alla minima provocazione, spesso sento il bisogno di serrare i ranghi anche se non è successo assolutamente nulla e ogni tanto penso che se la civiltà come la conosciamo venisse risucchiata di botto da un buco nero non sarebbe tutta questa gran perdita, ma essendo nata da una madre e non da un cyborg risulto comunque più abilitata alle relazioni sociali rispetto alla generazione che mi ha preceduto.
Piccoli passi, cavalletta.

I protagonisti di Amore Tossico, tutti junkies all’ultimo stadio, hanno tutti una pelle stupenda. C’è qualcosa che mi sfugge.

Lo stesso, non è semplice conciliare questo quadro biologico – questa costellazione familiare, se vogliamo – con i miei obiettivi di massima.
Se potessi scegliere – sul serio: se potessi scegliere tra qualsiasi destinazione – vorrei essere sposata a un omosessuale non dichiarato verso la metà degli anni Cinquanta.
Scivolerei nella parte senza fatica.
Maniche a mezzo braccio, mobili da giardino pitturati di bianco, schiena parcheggiata in veranda nove mesi su dodici a giocare a mah-jong e ridere rovesciando la testa all’indietro. Ah, questi mariti, sempre impegnati con il lavoro! E se non è il lavoro è il circolo del Bel Gioco! Saranno settimane che non vedo il mio, di marito. Ah ah ah. Gradite un biscottino ai fiocchi? Che diamine, è quasi mezzogiorno. Passatemi il ghiaccio.
Questo pensiero è affiorato alla superficie solo nelle ultime settimane, però da qualche parte doveva pure aver messo radici, tant’è che l’estate scorsa – nel primo e unico shopping spree legato all’abbigliamento che la mia storia ricordi – ho comprato in posti diversi una serie di abiti talmente insensati da risultare drammaticamente funzionali, tutto un dipanarsi di sottogonne, corpetti, stringhe e lacci da stringere in vita, una serie di vestiti fighi dell’estate che chiameremo Splendore nell’erba 2.0 e che esprimono tutti, senza scarto, il desiderio di vagare in una piantagione al calare del sole sentendo dei fruscii poco rassicuranti a giro caviglia.
Che posso dire. Ho sempre avuto un debole per questa iconografia da perdita dell’innocenza, oppure, volendo essere più precisi, da tu hai sbagliato e Dio ti punirà. Accetto riviste illustrate dalle mani dei Testimoni di Geova, uso senza battere ciglio dei metaforoni come “scarpe da ballo nella polvere” e non mi spiacerebbe terminare la mia esistenza terrena come una metà a piacere di quel quadro con la casa e il forcone, ‘cause there’s no place like home, and home, that’s where the heart is, dàh-ling.

Nell’atrio c’è un sagomato col buco per farsi le foto con la faccia da Minimeo. Vorrei avere in tasca un vecchio Caballero e chiudermi al cesso per due ore.”

Cosa ancora più difficile da spiegare – però voglio spiegarla, o almeno provarci – queste, um, politiche sessuali a volume undici si uniscono, per tutto il resto, a una disposizione esteriore abbastanza rilassata.
L’universo tende a srotolarsi seguendo il suo corso. Il senso che ho di me non è legato mani e piedi al lavoro che faccio o al luogo in cui mi trovo. Si è tanto più autentici quanto più quello che hai dentro assomiglia a quello che metti fuori. Dio dà e Dio toglie.
Ma c’è un ma.
Avendo per anni indossato l’indipendenza, l’andare e venire come e quando volevo senza chiedere niente a nessuno, è piuttosto curioso sentire il bisogno di un compagno in senso sociale.

In effetti sarebbe un buon modo di svoltare la serata. Anche se io ho un debole per il primo, con Stephen Dorff che esplode and all.”

"Accompagnatore", parola persa nella traduzione.
Accompagnatore compare nel consumo culturale moderno come una tristezza inaudita, sempre in odore di sporcizia, un gradino sopra chiavatore di vecchie a Capri e un gradino sotto amico paraplegico di Carlito Brigante, lo si potrebbe rendere con “cicisbeo”. Sbagliando.
L’accompagnatore sarebbe il walker, lett. “quello che cammina con”: la persona di sesso maschile che scarrozza le signore sposate per risparmiare loro l’imbarazzo di andarsene in giro senza marito in società, e viene ricompensato non con i soldi (non sempre, almeno) ma tramite una gamma di vantaggi materiali (viaggi, vacanze, cene) e immateriali (far parte di un jet set internazionale di aristo-freak scoppiati per poterne un giorno riciclare le confidenze, pensare che la virtù basti a se stessa).
Io faccio coincidere walker e Daywalker, ma perché ho dei problemi a tenere separate le mitologie, non per essere originale.

Sarà il clima, il sonno o il pensiero di aver sbagliato le piastrelle del bagno, ma non capisco cosa impedisca ai piacentini di fare come i lemming.”

Devo fare una cosa sociale, come succede.
Devo fare una cosa sociale e non mi va di andarci da sola.
Ti va di accompagnarmi a una cosa sociale? Tempo cinquantacinque minuti navighiamo la sala e ce ne andiamo. So che non mi metterai in imbarazzo. Mi fido del tuo buon senso.
Non posso sempre chiedere alla stessa persona. Voglio dire, per i matrimoni avrei risolto (c’è una persona, una certa persona che riassume il senso del proprio stare al mondo in “l’aula di punizione delle high school è una lacuna che non riuscirò mai a colmare” – e intanto i favori da restituire si innalzano fino al cielo e oltre), mentre ogni altra occasione sociale, ma anche semi-sociale, rischia ancora di diventare un prom a cui farsi portare da un anonimo tizio addestrato alla bisogna.
E il walker potrebbe essere benissimo una female walker (walker-ess? walkerette?), se non fosse che le donne di solito hanno altre priorità. E poi, francamente, se ci vogliamo frequentare andiamo a mangiare fuori. In compagnia mista. Bando alle hen night.
E se sotto certi aspetti i parametri dell’estate cambiano da soli, senza strappi – non portare nulla al collo se non ti senti del tutto a tuo agio; non mettere tacchi troppo marcati, altrimenti affonderanno nell’asfalto come denti nel chewingum – ci sono cose che non cambiano mai. Non senza un intervento preciso da parte nostra.
Quello che mi serve è un alleato.
Quello che mi serve è un Diurno.
Ne ho costruito uno e l’ho offerto alla persona per cui sto scrivendo.

Ho scoperto che How Soon Is Now? era nella colonna sonora di Giovani Streghe, per questo l’hanno usata per Streghe. Almeno questa l’abbiamo risolta.”

A scanso di equivoci: l’accompagnatore non può, per alcun motivo, essere incarnato da un amico omosessuale.
Ci sono un sacco di cose divertenti che si possono fare con un amico omosessuale – la prima che mi viene in mente è l’abbraccio di Across The Universe (*), un bellissimo trick per cui è necessario sia un compare dal colore di capelli opposto al tuo sia non essersi messi d’accordo prima (la spontaneità è la chiave), la seconda è andare in giro in motorino d’estate, la terza ha al centro YouTube e, beh, non è una cosa molto divertente se non eri lì – però farsi accompagnare a delle cose sociali non è tra queste.
Di nuovo, questione di copioni.
Io non ti reggo lo zaino quando tu vai nei tuoi locali, tu non impersoni il ragazzo tuttofare quando mi trovo in certi impicci eterosessuali.
Semplice, di classe. No.

Che strano. In un bar di Pechino c’è una ragazza che ti somiglia.” 

Ce li avrei, gli amici giusti per questo genere di emergenze. Accidenti se li avrei. Se non che, quando scatta il momento per caso hai impegni domani, mi ricordo che se ne stanno incatenati alla scrivania fino a mezzanotte, oppure quando da me è sera da loro è mattina, oppure vanno a cena con i Bellissimi di Retequattro.
We keep odd hours.

A proposito. Ho sognato che era uscito il tuo libro, e tu eri la foto sul cruciverba di copertina della Settimana Enigmistica.”

Questo sparpagliamento geografico non ci impedisce di portare avanti il nostro consueto social networking nel mondo reale, una famigliona allargatona che appoggiata su un tavolo per il lungo riempirebbe cinque alberi genealogici.
Se ci pensi ti scoppia la testa da tutte le possibilità.
Un milione di figli unici, di gemelli mancati moltiplicati per tre, un milione di stanze d’albergo singole, costumi da bagno interi, libri ripassati, bagni allagati, prestiti a fondo perduto, un milione di sms con un milione di scherzi privati chiusi dentro – e come posso cancellare qualsiasi segno di un simile stato di cose dalla memoria del mio cellulare, chiunque abbia mai inquadrato la situazione con un “… dimmi che vai a vedere The Warriors a Coney Island, fallo per me” merita di essere salvato, e non sono pochi e nemmeno tanti.
Come ho detto.
Costellazioni familiari.

Quello che mi serve è un Diurno.
Quello che ho è un blood pack.
Le tue preghiere vengono sempre esaudite, nell’ordine in cui sono state ricevute.

(* ci sarebbe un link, ma per arrivare al momento-abbraccio bisogna prima guadare due minuti di Hey Jude cantata da un coro di orfanelli con il naso che cola, due minuti che non sottoporrei al mio peggior nemico, figuriamoci a totali estranei.)

venerdì, 02/05/2008

Usa la debolezza, Luke.

(la cultura indie e i danni del precariato in trentun punti)

1. L’ultima volta che qualcuno mi ha proposto di fare qualcosa di indie io gli ho risposto “vorrei, ma ho una valanga di porno con amputazioni da riavvolgere”.
2. Provo quindi un certo disagio di fronte all’invito del padrone di casa. Ma devo andare dove sono invitata, altrimenti non andrò più da nessuna parte. E non vogliamo che questo succeda.
3. Se state leggendo il blog del ragazzo Inkiostro, esiste una forte possibilità che voi siate, sarete o siate state Persone Indie.
4. Se siete Persone Indie, abbiamo poco da dirci. Spiacente. Questa casa non è mia.
5. Non è tanto questione di gusti musicali. È solo sfacciata allegria se alla domanda “ehi, per caso hai sentito l’ultimo di…” io taglio corto con un “sprechi il tuo tempo, straniero, io ascolto solo Rufus Wainwright e i Warrant”. Non sono così chiusa di mente. A casa ho ancora tutti i dischi dei Pavement. Seminascosti da una catasta di cartonati di Tony Stark, però devo averceli, quei cari piccoletti.
6. Il problema dell’indie – cioè, il problema più immediatamente evidente dell’indie – sta nel suo essere una cultura da a) maschi: b) eterosessuali; e c) bianchi, categorie che prese singolarmente potrebbero non essere inadatte alla vita su tutta la linea ma insieme vanno a formare un triple threat con cui non ho nulla in comune, anzi, che per quanto riguarda le Arti e Intrattenimento vorrei vedere confinato alla consegna di orange mocha frappuccini negli uffici per la prossima trentina d’anni.
7. Dopo di che, lo sappiamo, o saremo già arrivati all’implosione e avremo avviato una nuova società usando le perline dei villaggi vacanze al posto dei soldi, oppure se ne potrà riparlare. Con calma e per piacere. Del vostro reinserimento, intendo.
8. Prendiamo ad esempio (uno tra i tanti) Californication, serie culto del padrone di casa [che al suo ritorno, direte voi, si pentirà di avermi dato la password? Oh, .], la serie wannabe zeitgeist che una Persona Indie non può non seguire, tanta è la precisione con cui inchioda i feticci e i solletichi indie sotto una patina masochisticamente, falsamente scorrevole.
9. Di fronte a Californication, mentre la Persona Indie Femmina alza gli occhi al cielo e sopporta per inspiegabile attaccamento al tetto coniugale, la Persona Indie Per Definizione (Maschio) pigola “oh, vorrei tanto essere anch’io così”.
10. Vediamo se ho capito: tu vorresti essere un depressivo col blocco dello scrittore che caragna dietro all’ex moglie. Quindi consideri “frustrazione” e “impotenza” stati d’animo altamente desiderabili. Hanno fatto bene i tuoi genitori a farti studiare.
11. Non puoi desiderare di essere Iron Man come tutte le persone sane di mente?
12. Wolverine è gay, quindi non ci provo nemmeno, a proportelo come role model praticabile. Lo so che di fronte all’elemento omosessuale invocheresti la Twinkie defense. L’indie è una frangia omofoba e misoginissima, con lo svantaggio, rispetto al picchiatore/piromane medio, di mentire a se stesso e agli altri dipingendosi come equo solidale e tollerante.
13. Tra parentesi, il fatto che Wolverine sia gay riempie di orgoglio quella certa altra frangia socio-etno-antropologica a cui appartengo, una frangia che, là dove la Vita decida di impartirle un sonoro schiaffo a dorso mano, prova conforto e sempre nuova meraviglia nel dire “… ma ti rendi conto? Wolverine è uno di noi”.
14. La stessa frangia che, pur comprendendo razionalmente le chiavi simboliche dietro all’arcobaleno come simbolo-ombrello di molti orientamenti sessuali, se avesse potuto dire la sua avrebbe preferito, che ne so, una bandiera a teschi e tibie, oppure trecento miglia di vegetazione tumultuosa.
14.b  (Di solito di questo passo si finisce a invocare un mondo in cui la riproduzione avviene tramite spore. Stavolta NON andrà così. Non siamo indie, noialtri.)
15. Il vero motivo per cui sono estranea all’indie – anzi, il motivo per cui non sono mai stata e non sarò mai indie, anche se i miei consumi culturali a tratti possono sovrapporsi ai vostri – è che non sopporto il dilettantismo.
16. Ad esempio.
17. Una persona indie spenderà più volte all’anno soldi e/o energia in film che trattano di relazioni amorose non consumate.
18. Lo farà perché la sua, di vita sentimentale, è florida? No. Perché desidera rispecchiare la propria sfortuna in quella di un personaggio fittizio? Nemmeno. Lo farà perché il film con l’amore non consumato è un film “piccolo e personale”.
19. La Persona Indie non vi dirà che “piccolo e personale” significa stiracchiato, molto mal scritto, montato alla il tassametro gira e girato con delle zoomate da video di un matrimonio.
20. Sto parlando con te, Once.
21. Sul serio. Di fronte a Once mi sono chiesta se alcune persone che nonostante tutto a tratti stimo fossero state sostituite, Quella Magica Tumida Sera In Cui Videro Once, da un branco di bot programmati su “pianto un casino, capito niente, piaciuto tanto”.
22. Il dilettantismo, in un’ottica da persona indie, rappresenta un di più: guarda come gira male, senti come suona male,
23. Non solo Rosario Dawson è molto più bona di Marketa Irglova, ma Marketa Irglova sembra mia nonna. E ha undici anni meno di me. Ouch.
24. Chi ha fatto le elementari negli anni Ottanta avrà anche vissuto al centro degli ultimi strascichi di guerra fredda, e avrà probabilmente percepito i primi pizzichi sessuali di fronte a cose quali il video di Personal Jesus sbattuto in piena tv dei ragazzi, ma potrà sempre dire di avere afferrato il senso della frase “il destino è una terra straniera” guardando Il Buio Si Avvicina, mica robe da donnicciole.
25. Perciò quando vi guardo – da distanza di sicurezza, ché tutti sanno quanto l’indie sia médusant – io mi sento come Ivan Danko che arriva in albergo, accende la tv, ci trova un film porno e scuote la testa borbottando “… capitalismo”.
26. Ecco. L’indie è il figlio più perverso del neo-liberismo.
27. Un contesto in cui la povertà complessiva (di mezzi, di risorse, di scambi fruttuosi) non porta al famigerato “ripiegamento sul privato” – nel senso del pensiero debole mucciniano – ma alla nascita di uno spirito di rinuncia progressiva e autoinflitta: diamo per scontato che il pubblico e il collettivo facciano schifo, perciò inseguiamo Lo Schifo anche nel nostro tempo libero, alla ricerca di qualcosa che sia sempre più marginale, perdente e vacuo. Non è soltanto La Merce a essere insoddisfacente per definizione: adesso lo è anche l’Alternativa alla Merce.
28. A scrivere queste cose in questo momento si rischia di essere taggati come postfascisti.
29. Come se invocare una maggiore risolutezza significasse impugnare la vis martialis come unico parametro di riferimento possibile. Come se “forza” e “decoro” significassero “bieco cinismo per cuori di pietra”.
30. La cosa grave – la cosa profondamente e, temo, irrimediabilmente grave – è il fraintendimento tra labour of love e dilettantismo di quinto livello, tra impegnarsi in qualcosa e portare tutto avanti come viene, che tanto la micro-coda lunga di una nicchia di mercato apprezzerà lo stesso qualcosa di “oscuro” e “scadente”, fosse giusto in nome del poterci piantare la bandierina del PRIMO!.
31. Che poi, se l’energia anche solo di alcune migliaia di persone ogni giorno fosse impegnata a escogitare nuovi modi per scagliarsi giù dai dirupi dentro un carrello del supermercato anziché a farsi malinconiche pugnette su Regina Spektor, il mondo sarebbe già di default un posto molto migliore.

[Violetta Bellocchio ha combattuto per il Sud. E ha perso. Oggi fa la sirena al luna park "L’approdo", in località Valdicastello. La si può occasionalmente trovare qui.]