La 53° Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia è la mia sesta Biennale. Ogni volta è un’esperienza che comporta un grande sforzo sia fisico (buone gambe) che mentale (concentrazione e rapidità nel giudizio). Richiede tempo (due giorni almeno, ma sarebbe meglio tre), richiede soldi ed entusiasmo.
E’ inevitabile rimanere affascinati maggiormente dalle opere più “forti” che riescono ad emergere nel bailame generale, sempre tantissime le opere presenti (forse anche troppe, considerando la bassissima qualità di alcune). Sono quindi, probabilmente, un po’ svantaggiati gli artisti più minimalisti o più dimessi ma neanche questo è sempre vero. Si può rimanere colpiti da cose piccole come annoiarsi con le grandi installazioni.
Questa mia piccola recensione sarà pertanto inevitabilmente parziale, parlerò cioè solo di quello che a me è sembrato più interessante.
Che la visione abbia inizio.
ARSENALE
All’Arsenale mi è sembrato di trovare spesso il tema del ricordo, il desiderio di ristabilire un contatto forte con la propria infanzia, i giochi, i luoghi. C’è un’atmosfera più intima, casalinga, fatta di spazi spesso al chiuso.
La prima cosa che si vede entrando è la grande installazione di Lygia Pape, fili metallici scendono dalle pareti, la sala è quasi all’oscuro. Installazione che non ho trovato per niente suggestiva anche se la didascalia suggeriva che l’artista rende materiale l’immateriale.
La grande sala di Pistoletto con i suoi specchi rotti sicuramente è molto scenografica. Ma perché ripresentare adesso lavori già visti in passato? E’ un’operazione che mi lascia un po’ perplessa.
Più divertente il lavoro di Aleksandra Mir che offre ai visitatori tantissime cartoline di Venezia che ritraggono però altri luoghi, luoghi dove è presente l’acqua ma che sono vittime di problemi ambientali.
Jan Hafstrom propone una bella installazione appiccicando alle pareti grandi figure tratte da fumetti horror che sembrano come ritagliate da un bambino.
Tian Tian Wang propone grandi quadri, acquerelli molto mediocri che ritraggono il fuoco nei suoi momenti più distruttivi: incendi, eruzioni vulcaniche. Sembrano disegni fatti da un bambino che non è ancora capace di esprimere le proprie paure.
Paul Chan ha realizzato una serie di proiezioni, “ombre” che rappresentano giochi crudeli, orge oppure torture. Ma queste ombre si cristallizzano in un unico movimento ripetitivo senza poter portare né avanti né indietro la loro rappresentazione.
Richard Wentwort gioca con dei bastoni neri lanciandoli in alto come un nuovo Charlot che come ultima beffa è sparito. Noi non possiamo vederlo ma rimangono i suoi bastoncini neri appesi a fili invisibili a ricordare il suo scanzonato e allegro passaggio dalla Biennale.
Sara Ramo presenta due video che ritraggono angoli della sua infanzia. Ogni tanto un pallone rimbalza (…).
David Bestuè e Marc Vives, sono due studenti spagnoli, ricordano il film “L’appartamento spagnolo” e un po’ anche i Blue Noses (che tanto ci hanno fatto ridere due anni fa sempre all’Arsenale). I due hanno realizzato nella loro casa di Barcellona delle “Acciones en casa”, piccole performance minimaliste che si concludono sempre con una risata da parte del pubblico. Titoli come “Stikers on windows”, “Eat Meliès style”, “Hello Melon Gag”, “Lost Generation Party”, o “Dada Show Phonetics” possono farvi intuire poco quello che vedrete, ma non voglio certo togliervi la sorpresa.
Huang Yongpin presenta una grande installazione. Due mani di Budda, un soggetto spesso rappresentato in quella cultura. Il Budda solitamente è una figura rassicurante, spesso viene rappresentato sdraiato o comunque sempre seduto. In Oriente si adora una divinità che abitualmente ozia. Tutto l’opposto dell’occidente, dove Cristo viene messo in croce a sacrificarsi per i suoi fedeli e muore. Le mani rappresentate da Yongpin mi hanno molto colpita perché non hanno niente di questa divina serenità, sono assolutamente inquietanti. Sono come un mostro, una piovra pronta ad afferrarti e trascinarti giù. Le mani di Yongpin assomigliano moltissimo al leggendario mostro Chtulu di Lovercraftiana memoria.
Il Padiglione dell’America Latina non è male, c’è Garaicoa che però presenta un’opera abbastanza deludente (ho visto assai di meglio di questo artista). Paul Ramirez Jonas che ci invita a recitare l’illeggibile e Dario Escobar che colloca numerose camere d’aria che scendono dal soffitto come lunghi serpenti neri. Un altro richiamo all’infanzia che esprime però una certa inquietudine.
Molto molto bello invece il Padiglione Cileno affidato completamente a Ivan Navarro. Questa è una delle cose che mi sono piaciute di più. L’artista usa il neon e lo fa realizzando alcune istallazioni di grande bellezza estetica. In particolare l’installazione “Bed” presenta una sorta di pozzo dentro il quale la parola si ripete all’infinito realizzando visivamente la sensazione di sprofondare nel sonno.
Pae White ha costruito per i visitatori una grande gabbia piena di biscottini di miglio appesi e con un gentile signore che, proprio come ha sempre fatto mio nonno cacciatore, suona con la bocca un richiamo per uccelli. Tutto molto carino, i visitatori/uccellini hanno sembrato apprezzare molto.
Gli Emirati Arabi con la stanza intitolata “Is not you is me” vorrebbero proporre una riflessione tra ma la stanza con belle signore velate, plastici e foto di camere d’albergo risulta noiosissima e francamente quasi incomprensibile.
Cildo Meireles ha costruito delle stanze monocrome con plasma che trasmettono colori monocromi. Installazione interessante che spicca per l’essere distante da tutto il resto
Sheela Gowda ha realizzato una delle installazioni di cui si è parlato di più. Lunghe matasse di capelli neri si intrecciano con paraurti di auto.
Jumana Emil Abboud presenta il video “The Driver” in cui gioca con dei piccoli ometti e alcuni oggetti, raccontando una storia, proprio come fanno i bambini a volte.
Gonkar Gyatso ha realizzato alcuni quadri con almeno un miliardo di stikers e piccole foto, nonché un grafico della felicità dell’occidente nel corso dell’ultimo decennio. Una critica alla società dei consumi e dei mass media popolari. Forse bisognerebbe cominciare a trovare nuovi modi di farla questa critica o forse bisognerebbe smetterla di criticare e fare qualcosa di diverso.
Anya Zholud mi ha colpita, la sua opera insiste nel mettere a nudo l’impianto elettrico dell’Arsenale. In parole povere per due volte troverete lungo il percorso dei fili che escono fuori dal muro. La didascalia dice che lo fa per renderci coscienti dell’edificio. E’ un’installazione talmente inutile e curiosa che davvero mi sembra una cosa interessante e con il suo fascino.
La nostra cara Grazia Toderi ha portato un video, un dittico con due cieli notturni solcati da strane luci. Alieni sopra la città.
Karen Cytther ha portato un video molto bello ispirato al cinema di Cassavetes. Sullo schermo alcuni attori stanno recitando una commedia. Le battute si intrecciano in modo inestricabile con le frasi che si scambiano quando escono dal palco. Frasi che lasciano presupporre diversi drammi in atto. Impossibile capire quando recitano e quando parlano della loro vera vita. Video molto bello e molto disturbante.
Chun Yun ha presentato un’installazione che io avevo già visto alla Strozzina di Firenze, cosa che mi ha lasciata un po’ sgomenta. Ma le opere non dovrebbero essere quanto meno inedite per partecipare? Forse questa regola vale solo per il Festival di Sanremo. Comunque non è male, si intitola “Constellation”, è una stanza al buio con tante lucette, sono quelle di numerosi elettrodomestici.
Più o meno a metà della prima parte dell’Arsenale troverete una stanza piena di confusione dedicata all’Africa. Anche due anni fa c’era un’installazione praticamente identica e ugualmente insignificante. Anche questo è un clichè che spererei di veder sparire e invece ritrovo di anno in anno.
Usciti dall’Arsenale, gli spazi finali sono stati notevolmente ampliati aprendo completamente tutti i giardini, un luogo di per sé talmente affascinante da rendere davvero ardua l’impresa per ogni artista che ci si confronta.
Ampio spazio alla cara regista/artista Miranda July con alcune installazioni inutili e mediocri come sempre, cara figlia mia perché non ti metti a fare braccialetti con le perline?
Nikhil Chopra è un artista arabo che ha deciso di interpretare la vita di suo nonno. Ha dunque ricostruito una piccola casetta fornita di ogni comodità e lì vive beato. Quando sono passata io stava dormendo sdraiato su una stuoia. L’ho invidiato un po’.
William Forsythe ex ballerino e coreografo propone una serie di anelli in un piccolo padiglione dove ci si può appendere e sgranchire la schiena (proprio quello di cui avevo bisogno!).
Purtroppo mi sono persa lo spazio così detto “Arsenale Nuovissimo” perché si poteva raggiungerlo solo con un piccolo motoscafo e la coda era infinita.
PADIGLIONE ITALIANO
Il padiglione curato da Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli (direttamente incaricati dal Ministro Sandro Bondi, ricordiamolo) è stato criticato praticamente da chiunque in un vero e proprio gioco al massacro.
Ebbene non è così pessimo come scrivono. Cioè ci sono alcuni artisti che sono francamente davvero imbarazzanti ma altri, al contrario, sono molto interessanti.
Presenti i due “fratellini” Matteo Basilè e Giacomo Costa che negli ultimi anni hanno veramente incontrato il favore della critica. Presentano alcune nuove foto. Sempre proiettati nel creare visioni sul prossimo futuro che ci aspetta. Basilè con i suoi personaggi nella serie ‘La caduta degli Dei’ e Costa con i suoi paesaggi di città divorate dalla vegetazione.
Non male il video di Valerio Berruti, l’animazione del disegno di una bimba che gioca con una sedia in un atto ripetitivo e inquieto. Un salire e scendere perpetuo accompagnato da una canzoncina.
Il duo Bertozzi & Casoni mi aveva già convinta in passato. Sono due soggetti questi artisti che ricreano praticamente qualsiasi cosa con la ceramica riuscendo a creare perfino un bellissimo albero di Natale sbarbato e reclinato con anche un grazioso pappagallino che osserva il tutto. Riuscite ad immaginare un’immagine più bella? Io che odio il Natale ho salutato questa installazione con vere e proprie urla di giubilo.
Nicole Bolla presenta il suo “Orpheus Dream”, una riflessione sulla vanitas, dove la preziosità del materiale si oppone alla caducità, abbastanza vicino a opere già viste di Damien Hirst. Ma in fondo chi non vorrebbe un microfono ricoperto di svarowsky e un cerbiatto ai suoi piedi?
Elisa Sighicelli propone un video dove i fuochi d’artificio vanno al contrario. Immagini bellissime e suggestive, è come se la felicità potesse implodere.
Sissi porta all’esterno le sue sottilissime installazioni di fili metallici e conchiglie.
Anche i quadri onirici di Nicola Verlato mi sono piaciuti, soprattutto il suo James Dean riverso e morente.
Molto bella l’opera dei MASBEDO con la colonna sonora dei Marlene Kuntz. Un dittico. In un video un uomo, vestito da business man, atterrato su una distesa di neve lotta con un paracadute che sembra trascinarlo verso l’alto. Nell’altro una donna naufraga nel mare nuota trascinandosi dietro fili a cui sono attaccati elementi di una casa: sedie, un letto, un mazzo di fiori, un appendiabiti, un lampadario. Li tiene insieme grazie a un tirapugni di ferro. Oggetti come spettri, relitti forse di una società scomparsa a cui aggrapparsi che però la trascinano verso il basso. Verso la fine riesce a salire su una ciminiera che affiora dall’acqua e accende un segnalatore di presenza che emette un denso fumo rosso. Entrambi sono nella solitudine più totale. Chi verrà a salvarli? Si incontreranno mai? Psicologia spicciola forse, rimane il fatto che il dittico video ha grande forza e suggestione.
GIARDINI
Spagna- Quadri e sculture di Miquel Barcelò, deludenti.
Belgio – Un lavoro molto poetico di Jef Geys il quale ha fotografato e archiviato tutte le piantine che crescono uscendo dal cemento nelle strade cittadine. Come si fa a non volergli bene?
Russia – La Russia anche quest’anno si conferma una delle nazioni in assoluto più interessanti. Se due anni fa ci aveva stupito con i video di AES+F anche quest’anno non è da meno. In particolare il lavoro di Pavel Pepperstein che propone disegni di un futuro remotissimo in cui elenca fenomeni che accadranno segnalando anche la data esatta in cui si verificheranno come per esempio “The Attack of the old houses”, “The head of houses appeare”. Disegni a metà tra la fantascienza e il senso dell’umorismo che però mi hanno davvero divertita.
Salendo le scale invece alcuni artisti si confrontano con il concetto di “Vittoria” (titolo: Victory over the future). Andrei Molodkin presenta alcune riproduzioni della Nike di Samotracia, la celebre vittoria alata, irrorata continuamente di sangue. Alexei Hallima ha creato un’installazione sonora con un tifo da stadio che si alza fino a spegnersi improvvisamente. Irina Horina (tralasciamo commenti sul nome) però presenta un enorme pupazzone fiorato che lascia perplessi.
Giappone- potentissimo lavoro di Miwa Yanagi che con “ Windswept Women” (Donne spazzate dal vento) realizza foto di alcune donne, stregone, vecchissime e allo stesso tempo giovanissime. Sciamane che in riva al mare eseguono i loro riti magici. Vecchie ragazze, visitatrici da un altro mondo, forse personificazioni della stessa morte, ma anche in un certo senso veicoli del coraggio di sopravvivere. Le donne infatti, per quanto risultino terrificanti comunicano una grande gioia di vivere. Un’opera estremamente complessa e piena di significati, sicuramente uno dei padiglioni più interessanti.
Australia- Uno dei padiglioni più interessanti. L’artista principale Shaun Gladwell porta il progetto MADDESTMAXIMVS ispirato alla saga di Mad Max con Mel Gibson di George Miller, ma forse anche un po’ a Death Proof di Quentin Tarantino. Merita un post a parte che arriverà nei prossimi giorni.
Corea- Un’installazione con i ventilatori di Haegue Yang. Un gran freddo e se posso dirlo anche una gran puzza.
Germania- Anche quest’anno la Germania toppa alla grande. Se già due anni fa le sculture di Isa Genzken mi avevano lasciato indifferente e infastidita dalla mediocrità, quest’anno si replica lo spettacolo. Liam Gillik porta un serie di mobiletti tipo ikea. Fine. Mi ha tolto le parole di bocca un signore francese che ha chiesto alla moglie – Qu’est-ce que tu pense de trouver ici?- cioè ‘cosa pensi di trovare qui?- Niente.
Canada- Mark Lewis porta tre video che dovrebbero farci riflettere sulle scene che spesso vediamo sul fondo dei film. Spero di aver capito bene. Comunque il tutto risulta assai misero.
Francia- Grande e cupissima installazione di Claude Léveque. “Le Grand Soir”. Un’enorme gabbia argentata ti conduce a vedere una bandiera nerissima che sventola. Direi che si commenta da sola.
Padiglione Venezia- Un’imbarazzante mostra di alcuni vetri di murano (Perché? Perché? Perché? E ancora perché?)
Polonia- Krzysztof Wodiczko purtroppo un emulo di Bill Viola che non ha capito che non basta sfocare tutto per essere un grande artista.
Romania “The Seductiveness of the Interval” Un percorso video con alcune opere interessanti, in particolare un dialogo tra alcuni cani/pupazzi che discutono animatamente della violenza dell’uomo nella storia.
America- Bruce Nauman. Troppa fila, ho pensato che quei due neon che mette in croce da almeno vent’anni poteva pure tenerseli.
Gran Bretagna- Presenta un video di Steve McQueen “Giardini” della durata di 30 minuti, me lo sono perso perché le visioni erano già tutte prenotate.
Ungheria- Progetto “Col tempo” presenta una serie di light box con foto di prigionieri di guerra. Non particolarmente esaltante.
Olanda- “Disorient” di Fiona Tan: una serie di video, di cui uno bellissimo “The Great Fall”. Anche questa volta un dittico. Una donna anziana torna alle cascate che aveva visitato da giovane. Un’occasione per ricordare il passato. Bellissimo, guardatelo tutto anche se è molto lungo.
Finlandia- Presenta quest’anno il “Fire & rescue Museum” di Jussi Kivi un artista ossessionato fin da bambino dalla figura del pompiere. Talmente ossessionato da aver realizzato negli anni un vero e proprio museo che contiene centinaia di pezzi riguardando quest’affascinante eroe contemporaneo. Un padiglione che mi lascia indifferente e perplessa.
Danimarca e paesi nordici – Una installazione molto elegante quest’anno. Una casa arredata all’ultimo grido con aitanti giovanotti sdraiati in amabile ozio (vestiti però non nudi come nella foto). Fuori una piscina in cui galleggia un morto. A metà tra l’esaltazione dello way of life ricco-gay e i primi romanzi di Breat Easton Ellis.
Austria: Ruderal Society: vieni chiuso in una stanzetta piena di erba fino al tetto. Forte odore, astenersi allergici al fieno.
Trascurabili i padiglioni di : Serbia (tappeti di feltro), Egitto, Grecia, Brasile (ancora tappeti), Uruguay (“Critical landscapes” c’è un video di un uomo che fa i versi degli animali, ma per favore), Svizzera e anche Austria (pareti imbrattate).
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Uno spazio quest’anno veramente super caotico. Talmente caotico che non sono neanche riuscita a trovare l’opera di Yoko Ono (dov’era dio mio?) premio alla carriera con John Baldessarri.
Molto divertenti le opere di Andrè Cadere. Esso lascia dei bastoncini colorati appoggiati negli angoli. Una installazione che ha fatto nelle vie della sua città e che replica qui alla Biennale. Che senso ha? Non lo so, è come se l’arte si infiltrasse nella vita di tutti i giorni solo con un piccolo simulacro colorato, un bastoncino. I love it.
Molto spettacolare la grande installazione di Thomas Saraceno che ricostruisce con fili elastici la tela di una vedova nera. Si può attraversarla cercando di non rimanere impigliati.
Hans Peter Feldman realizza una bellissima scultura/installazione con alcuni carillon che girano e proiettano ombre sulla parete di fondo. Riflettendo quest’anno c’è anche una forte presenza di “ombre” nelle opere della Biennale.
Gilbert and George presentano un’opera super minimalista (d’altra parte già avevano loro dedicato un’ampia sala tre edizioni fa, mi pare). Una foto intitolata “We are only human sculpture”, ehm come dire ce n’eravamo accorti…
Simon Starling presenta un video dedicato ai processi industriali, il “ritratto di un’azienda”.
Diverse installazioni site specific di George Adeagbo con ritagli di vecchi giornali che mi sono sembrate terribilmente fuori tempo, sono cose che si vedevano decine di anni fa.
Alcuni bei disegni in lapis di Toba Khedoori.
Una grande sala con enormi fiori di pongo di Nathalie Djurberg che ti fanno sentire un puffo. Francamente mi hanno lasciata abbastanza indifferente, ancora una volta si torna all’infanzia.
Infine vorrei spende due parole sulla scelta di inserire anche alcuni disegni di Gordon Matta Clark. Matta Clark è stato un artista molto importante negli anni ’70 (è morto nel 1978). Il suo lavoro si caratterizzava per interventi architettonici in case diroccate nelle periferie delle grandi città americane. E’ famoso per il suo "taglio di edifici", una serie di lavori eseguiti su edifici abbandonati nei quali rimosse artisticamente sezioni di pavimenti, soffitti, e muri. E’ stato eccezionale, un artista avanti di decenni. Io mi chiedo che senso ha proporre alcuni disegni? E’ un artista che avrebbe meritato ben altro spazio e considerazione e magari anche un premio alla carriera (voglio dire se l’hanno dato a Yoko Ono…).
ALLESTIMENTO
Quest’anno l’allestimento è stato molto curato, forse più di sempre. Il ristorante di Tobias Rehberger, il book shop di Rirkrit Tiravanija e lo spazio educational di Massimo Bartolini sono spazi molto belli e funzionali. Complimenti, davvero un ottimo lavoro.
EVENTI COLLATERALI
Sono molti e probabilmente alcuni anche di buona qualità, se fate in tempo non perdetevi punta della dogana con la collezione di Pinault con la statua del ragazzino con la rana che ha dato tanto fastidio ai giornali (Boy with Frog di Charles Ray).