La fine dell’edizione di un festival che odora di fine del festival stesso arriva con una band che tutti danno sull’orlo dello scioglimento, e che ha intitolato il suo ultimo disco «L’ultima storia d’amore». Se è una metafora, solo un cieco non saprebbe vederla.
Eppure forse è stato proprio questo clima da chiusura, reale o immaginaria che sia, a rendere questa edizione di Frequenze Disturbate un po’ speciale del solito. A riportare l’attenzione sulla musica e sulla location, spazzando via la patina di mondanità e di place-to-be che nelle ultime edizioni aveva trasformato quello che è -e che forse dovrebbe essere fiero di rimanere- un festival di provincia, in qualcosa di diverso.
E così ci sono stati degli Arab Strap letteralmente in stato di grazia (non si sciolgono, dai). Una tempesta di fulmini e un cielo post-atomico a incorniciare il bellissimo set dei Tunng (i migliori del festival, a detta di quasi tutti). Cat Power che come al suo solito perde ogni senso della misura e dopo una manciata di pezzi da panico (una Good woman da lacrime) sbraca orribilmente mettendo, come da copione, alla prova la pazienza dei presenti. Erlend Øye che passeggia da solo sotto il sole con un cappello di paglia, un sorriso a 24 denti e la faccia di chi letteralmente implora che qualcuno lo fermi per chiacchierare (e poi, sul palco, lascia abbastanza a desiderare). I Non voglio che Clara con quartetto d’archi che suonano benissimo ma troppo poco, e nonostante siano in apertura vengono pure richiamati sul palco per un bis. La crescia, e chi non ha il fisico per finirne una. Le salite, e chi non ha il fisico per farle. L’aria di casa.
Non so se quella che è appena finita sarà davvero l’ultima edizione. E non so nemmeno se sia stata sotto tono come poteva sembrare, e come a guardare i nomi in tabellone rischia ancora di sembrare. L’impressione è che DNA Concerti abbia deciso di non puntare molto su questa edizione, o che sia semplicemente stata sfortunata nella composizione del cast. Ne è uscito fuori un ridimensionamento forse inevitabile, forse voluto, che a qualcuno ha messo un po’ di tristezza e che invece a qualcun’altro non è dispiaciuto per come ha riportato il festival alle belle edizioni di 5-6 anni fa e al clima da best kept secret che si respirava allora. Un ridimensionamento che secondo qualcuno è il chiaro sintomo della fine di una storia unica e irripetibile per luogo, passato e atmosfera, e che secondo qualcun’altro è un modo per ricaricare le pile (e il portafoglio) in vista di un futuro tutto da immaginare.
Se è vero che non sarebbe la prima volta che Frequenze Disturbate reinventa se stessa, è anche vero che la fine, di tutte le cose, è sempre la più affascinante. Specie se c’è Aidan Moffat che ti invita a brindare all’ultima storia d’amore. E se tu, all’ultimo momento, decidi di spostare il bicchiere; e di augurare ancora una lunga vita alle tue frequenze disturbate.
Eggià, il signor Beck Hansen sta per tornare. A Ottobre il nuovo disco (ancora senza titolo), e qualche tempo prima il nuovo singolo, Cellphone’s dead. Il video è già stato girato a Giugno a New York da Michel Gondry, e da quel che è dato di vedere (foto qui sopra, e corredo qui) sarà iper-tappezzato e, inevitabilmente -visti i personaggi coinvolti-, geniale. Intanto studiamoci il singolo e l’altro inedito, i primi nuovi pezzi che circolano dai tempi di Guero (non esattamente bellissimi, dopo qualche ascolto; ma su Beck di solito cambio idea dopo qualche mese, quindi mi riservo di nominarlo anche disco dell’anno, se del caso), e stiamo a vedere.
Beck – Cellphone’s dead (stream rip) (MP3)
Beck – Think I’m in love (stream rip) (MP3)
Non più di un paio di settimane fa, mentre facevo di nuovo notte al lavoro, mettendo mano ad alcuni seccanti bug last-minute e contemporaneamente discutendo coi colleghi di doppiatrici di icone hollywoodiane di serie B e del colore della cravatta che avrei indossato il giorno successivo (arancio), mi è arrivato un sms. Diceva «Ho chiamato a casa tua e mi hanno detto che sei ancora al lavoro. Volevi diventare un Microservo? Eccoti accontentato». La cosa mi ha fatto sorridere, perchè era al contempo vera e falsa, come quei sillogismi che partono da un’affermazione assurda per finire per dimostrarne una vera. Tutto incredibilmente couplandiano, metafora compresa.
Voglio dire, se ci pensi veramente.
Qualche giorno dopo aver scoperto di essermi ritrovato a pennello nello stereotipo del geek senza una vita, che cena da solo guardando i divx di vecchie puntate di Futurama e passa le serate a costruirsi competenze inutili, «un triste assemblaggio di influenze di cultura pop ed emozioni cancellate, guidato dal motore zoppicante della più banale forma di capitalismo», ho finito di leggere Jpod, ultimo libro di Coupland, presentato come seguito ideale ed aggiornato di Microservi. E lì la cosa si è fatta davvero ironica: quella che sulla carta doveva essere la ratifica e la celebrazione del valore artistico e generazionale del vecchio romanzo di Coupland è in realtà un requiem del suo modello (e del suo stile, e forse anche della sua utopia), in maniera tanto chiara e irrevocabile da risultare quasi dolorosa.
Chiariamoci: il libro non lo dice, mai. Ma il fatto che Jpod sia a conti fatti un libro deludente parla da sè. Non è una questione di esito artistico: nessuno ormai si aspetta più che i nuovi romanzi dello scrittore canadese abbiano la forza delle sue prime opere. La prima domanda che ci si fa leggendolo, alla fine, non è se sia un bel libro o no, ma dove e come si collochi nella partita tra Coupland e il mondo, tra il suo sguardo sagace e la prospettiva sghemba che riesce a dargli. Non dipende quindi dai personaggi per nulla tridimensionali, che ai problemi di interfaccia con il mondo reale dei protagonisti di Microservi fa succede invece bizzarrie gratuite variamente assortite che non portano il significato che vorrebbero nè alla vita dei personaggi nè alla loro caratterizzazione. Nè dal fatto che a un certo punto Coupland stesso compaia come personaggio del suo romanzo, mostrandosi come il cattivo di turno, cinico e approfittatore (psicologia del contrario, anyone?), e che proprio attorno a lui, a un certo punto, cominci a girare intorno il fulcro della vicenda, anche se per il lettore comincia ad essere davvero troppo. E sarebbe troppo facile fingere di non vedere in questa trovata una drammatica carenza di idee e tirar fuori qualche teoria su Coupland che si couplandizza, e ricorre all’espediente postmoderno definitivo come esito ultimo del suo percorso artistico. Siamo bravissimi a trovare giustificazioni, noi fan.
Coupland che si couplandizza è triste, e un po’ banale, questa è la verità. Se lo fa, probabilmente, è solo per tentare un inseguimento disperato di se stesso sull’infido terreno del romanzo postmoderno, a cui proprio lui una decina di anni fa ha dato tanto e che adesso (anche se non da ora) sembra averlo superato in maniera irrimediabile. Persino Eggers, a tratti, rischia di sembrare più convincente, e ho detto tutto. Non che la lettura non sia più che piacevole, comunque. Rimangono le mille osservazioni geniali, l’ironia caustica, le perle di intelligenza e l’acume spiazzante; non è poco, anche se da lettori di Coupland ci siamo talmente abituati da non notarlo quasi più. Il resto sono sottotrame molto più che surreali, gangster cinesi e scuole di ballo, coltivatrici di erba e lesbiche militanti col nome scritto in minuscolo, manager eroinomani e acquisti immobiliari citazionisti, che intrattengono il giusto ma palesemente non vanno da nessuna parte. Ripensando alla graniticità mascherata da frammentazione dei suoi primi lavori, è quasi doloroso procedere nella lettura e constatarne lo sbando narrativo, e prendere atto di un come sempre di grande qualità che non riesce a salvare un cosa decisamente carente di sostanza.
Che lo sbando narrativo sia voluto è difficile non pensarlo, come è difficile non pensare che più che la santificazione di un modello questa volesse essere la ratifica della sua morte, il funerale mascherato da omaggio, il requiem sotto le mentite spoglie dell’inno. E la cosa avrebbe potuto funzionare. Ma come spesso successo ultimamente, Coupland ha tentato di fare il passo più lungo della gamba, e ha tirato fuori qualcosa di drammaticamente irrisolto, che appare tanto più insoddisfacente quanto si mostra ambizioso in termini complessità paratestuale («3.14159265358979323846..»), ricchezza ipertestuale (www.jpod.info) e riferimenti intertestuali («Jpod updates Microserfs at the age of Google»). Se fosse l’opera prima di un giovane scrittore lo etichetteremmo come un esordio promettente ma irrisolto; dallo scrittore che ha dato forma alla Generazione X, ha raccontato in maniera brillante l’utopia dei Microservi e ha toccato la perfezione nello spietato ritratto delLa vita dopo Dio, era lecito attendersi qualcosa di più significativo. Di più: era doveroso.
Se non altro, però, si può tirare un respiro di sollievo.
La rivoluzione è finita.
Il romanticismo è andato.
Il glamour è passato altrove.
L’utopia è sbiadita.
Rimangono Ronald McDonald e il penis enlargement spam, le aste su Ebay che aggiornano le materie di Jeopardy e le disfunzioni alimentari, le bevande gasate e i computer che hanno un incoscio, le tastiere non standard e le tecniche per sopravvivere ai meeting di lavoro. Rimangono la carenza di tempo libero e le lievi forme di autismo altamente funzionale, gli occhiali strambi e i problemi di socialità, la sindrome del tunnel carpale e le inutili ossessioni for an accelerated culture.
Ci si costruisce così, al giorno d’oggi.
E tanto deve bastare.
Sono appena tornato a casa dopo l’ennesimo giro per tutta la città in cerca di un paio di sneakers (o scarpe da tennis, come si diceva una volta) che sostituiscano le mie scarpe attuali che cadono a pezzi.
Non sono riuscito a trovare un solo paio che mi piaccia.
Le Puma mi fanno il piede a trapezio (giuro), le Nike sono il male, le Airwalk (il mio sogno proibito da quattordicenne) e le Vans mi fanno i piedi come due barche e finisco per sembrare il personaggio di un manga, con le Onitsuka tiger (o Asics, come si diceva una volta) e le Puma più plasticose mi sembra di indossare dei grossi profilattici, le Converse non le ho mai avute e non vedo perchè cominciare ora, la Adidas non sforna un paio decente dai tempi delle Gazzelle (con le quali mi sembra di camminare scalzo, tanto sono basse). Reebok non pervenute, le altre marche (più o meno costose) scartate sempre per palese incompatibilità estetica. Insomma, per un motivo o per un altro non ho trovato un solo paio che mi piacesse. Sono anormale?
_Brutte giornate, queste qua. Tra la calura bolognese, le interminabili due settimane di lavoro che ancora mi attendono e i muscoli doloranti, ogni giorno che passa è un traguardo. Vi regalo un po’ di link, in attesa di cose un po’ più sostanziose.
_The popularity dialer ti chiama sul cellulare, così davanti ai tuoi amici e colleghi puoi fare la figura di quello popolare e impegnato. Indicativo, e sociologicamente per nulla stupido.
_Come forse saprete, a mesi uscirà Internet Explorer 7. La Microsoft avrà sicuramente già registrato qualche dominio per farsi pubblicità, no? Proviamo www.ie7.com …
_ Avete mai provato a cercare le parole "Chuck Norris" su Google?
_8 modi per uccidere qualcuno con un iPod nano. E non basta pensare a quanto sia stato un flop, anche se aiuta..
Una volta c’era il bastard pop. Si prendevano due canzoni, si tagliavano e si incollavano l’una sull’altra, e si facevano flirtare i Nirvana con le Destiny’s Child o i Blur con i Jackson Five. Poi sono arrivati i dischi interi, 12 canzoni dei Beatles fusi con le rime di Jay-Z o un greatest hits dei queen trasformato in un unica grande base hip-hop. In mezzo, qua e là, c’erano pure sperimentatori più audaci e fantasiosi, che uscivano dal seminato del compitino di collage per creare qualcosa di più ambizioso; su tutti Osymyso, un pazzo furioso che un giorno si è messo lì e ha mixato gli incipit di 101 canzoni tra le più famose della storia del pop (MP3 sotto, lista completa qui).
Figlio di questi sperimentatori, ma anche di una sensibilità pop ancor più marcata e irrinunciabile, e di una perizia tecnica che ha dell’incredibile è Gregg Gillis, che col nome di Girl Talk ha dato alle stampe Night ripper, "164 pop culturally relevant samples forced into a perfect 45-minute party mix". L’evoluzione ultima dei mega-mix delle radio commerciali anni ’90? O la prima vera e propria opera originale interamente fatta di materiale non originale? Materiale buono solo per blogger amanti del cazzeggio o potenziale fucina di hit? Io non ho risposte per voi; so solo che non ne posso più fare a meno.
Osymyso – Intro-inspection (MP3)
Girl Talk – Too deep (MP3)
Girl Talk – Hold up (MP3)
Girl Talk – Bounce that (MP3)
Fa anche il caffè.
Per davvero.
[c’è pure il video su Youtube]
_Troppo caldo anche solo per pensare a qualcosa di strutturato. Ieri notte dentro casa si viaggiava sui 30.2°C (da voi?), e dal rubinetto l’acqua usciva tiepida, del tipo che ormai devo farmi la doccia con l’acqua nel frigo. Black-out, anyone? Temporali anyone? Autunno, almeno?
_Non fosse stato per il link di ieri da parte di Sofri, il montaggio di Bush che canta Sunday Bloody Sunday segnalato un paio di giorni fa in homepage da Repubblica, e ieri mostrato pure al TG5, mi sarebbe sembrato solo vagamente familiare; invece due anni fa l’avevo persino segnalato su queste pagine. Tutte ste cazzate ci bruciano il cervello, mi sa.
_Qualche giorno fa Rachel Blake, protagonista della caccia al tesoro virtuale The Lost experience, ha incontrato alcuni membri del cast di Lost alla ComiCon 2006, e ha rivolto loro alcune, gravissime, accuse. Mischiare livelli di realtà e vari livelli di finzione era un’idea tutt’altro che pessima; ma ditemi, secondo voi è riuscita?
[occhio: spoiler, forse]
_Tra una manciata di giorni MTV compie 25 anni, e secondo il New York Magazine ha cambiato il mondo. Anche per forza, direi io. Ma è il come, a fare la differenza.
_Incanto in fondo al mare rivisitato. Split-screen sincronizzato di entrambe le scene di Ritorno al futuro I e II. Inutile, ma affascinante.
Bonus:
Death Cab for Cutie – Earth Angel (MP3)
_Anche se ci rovinerà il weekend, prayers for the rain.
Signore e signori, il fucile spara-tamponi.
[e anche il resto del sito non scherza]
Psapp – Hi (MP3)
Quatti quatti, mi hanno fregato. Un nome improbabile, recensioni tiepide, e un disco che frulla i sample saltellanti in stile Roisin Murphy a certo pop in salsa bossa squisitamente estivo, e si pregia di un sound elaboratissimo ma mai spocchioso che prova a mettere d’accordo tutti, e ci riesce. Non è un tormentone perchè non tormenta, ma in testa alla classifica di ascolto mensile del sottoscritto, alla fine, c’è proprio Hi.
The Rapture – Get myself into it (MP3)
E’ inutile far finta che non li aspettino tutti, ed è inutile fingere di non vedere i fucili spianati. Sono tutti pronti a riportarli con i piedi per terra, nel mondo delle band normali, giù dall’empireo di portabandiera del revival punk-funk degli ultimi anni e dai fasti dell’intellighenza pitchforkiana (disco dell’anno del 2003, vi ricordo) in cui erano non si sa come finiti. E invece sapete che vi dico? Non sarà House of jealous lovers, ma questo nuovo singolo tiene botta, e migliora con gli ascolti. Niente male.
El perro del mar – Party (MP3)
Discutibile nome d’arte a parte, la signorina Assbring, da queste parti, la si attendeva al varco dai tempi dello split con Jens Lekman. E il suo primo LP ha ripagato le attese: pop spaesato e senza tempo, di una malinconia senza speranza e con un paio di pezzi da brivido. Questa Party era in giro da un po’, ma c’è voluto il disco intero e un’Estate finora davvero poco festaiola per farmi soccombere alla sua chitarra liquida e costringermi al repeat. E adesso non se ne va più.
Perturbazione – Portami via di qua, sto male (MP3)
Cover del classicone dei Belle & Sebastian Get me away from here, I’m dying, la reinterpretazione della band torinese nella lingua di Dante rischia, forse volutamente, di far storcere il naso a più di un fan fondamentalista. Invece non solo lo spirito del pezzo è intatto e il testo azzeccato, ma l’arrangiamento, frutto di una metabolizzazione per nulla scontata, perturba l’originale in maniera sottile e garbata, Dall’ottima e già plurilinkata compilation tributo licenziata dalla net label Kirsten’s postcard (tra gli altri nomi in ballo: Bille the vision and the dancers, Austin Lace, Canadians, Mixtapes and cellmates, Le man avec les lunettes, Bob Corn), scaricabile gratuitamente da qui.
Mentre -come forse avrete notato- questo blog sta lentamente tornando alla normalità dopo i disservizi tecnici che in parte ancora lo affliggono, e mentre la vita del suo tenutario comincia ad assumere di nuovo dei ritmi vagamente umani dopo i disservizi produttivi dei giorni scorsi, riparte l’usanza, o forse l’obbligo, di prendere qualche appunto per l’agenda virtuale degli appuntamenti musicali.
Si parte questa sera, con il concerto degli Yuppie Flu in duo acustico nel quadriportico di Santa Cristina, per (ri)sentire alcune interessanti versioni alternative di vecchi classici, pezzi recenti e cover; il tutto gratis, con invito in distribuzione all’URP di Piazza Maggiore. Stessa formula e stessa location, ma concerto prevedibilmente assai più affollato, per i Baustelle giovedì sera.
E mentre venerdì sera Bologna si sdoppierà nella scelta tra la colta e folle performance della serpenta Diamanda Galas in piazza Santo Stefano e l’assai più spiccio ma non meno urgente concerto degli Altro a Villa Serena, come già annunciato il sottoscritto e il socio radiofonico Andrea NP, insieme agli usuali e pirotecnici effetti video di Milf, saranno in quel di Arezzo (a La Fonte, in località Talzano) a mettere i dischi dopo il concerto degli Yuppie Flu (in versione elettrica, stavolta). Un uno-due di ottima musica, pista murata e cornice bucolica (e fresca) che se non fosse brutto perchè sono direttamente parte in causa non potrei non consigliarvi.
Per chi invece si troverà nella bassa, irrinunciabile un passaggio al Grande Rumore Universale di Bergantino (in quella landa misteriosa persa tra Rovigo, Mantova e Modena), per assaporare l’atmosfera di quei bei festival do you yourself di provincia che odorano ancora di Festa dell’Unità e del granoturco dei campi che li circonda. Tra i nomi Mojomatics e Super Elastic Bubble Plastic (venerdì) e Bikini the cat e Perturbazione sabato. Inoltre -garantisco- le bariste sono molto carine. Tutte le info (a parte i numeri delle bariste) qui.
A concludere la settimana, il giorno seguente i Perturbazione raggiungeranno la riviera, per un’altra di quelle irrinunciabili domeniche del beneamato Hana-bi di Marina di Ravenna. Prevista anche la presenza di Arturo Compagnoni e Manuel Agnelli, non ho ben capito se entrambi dietro ai piatti o uno dei due (vedete voi chi) pure sul palco.
A quel punto sarà di nuovo lunedì, e pure Luglio sarà agli sgoccioli. Di seguito, oltre alla già citata data degli Islands e a un paio di altre cosette di cui si parlerà a tempo debito, ci sarà solo Frequenze Disturbate a Urbino (chevvelodicoaffà). Nonostante quella di quest’anno sia a detta di tutti un’edizione decisamente sottotono, come al solito saranno la balotta e la crescia a farla da padrone, e spunterà sicuramente fuori qualche outsider di pregio.
E pure questa è fatta.
[The Big Lebowski – F*cking short version. Una piccola opera d’arte pop]
[Il cursore? E’ un aquilone.]
E’ una cosa leggera, la somma di tanti piccoli granelli, una cosa volatile che forse ha senso solo quando sta insieme. E’ un gioco, che nasconde le competenze su cui si basano le Scienze maiuscole dietro un fine solo apparentemente meno importante. E’ una cosa che sfida le leggi, e misteriosamente sta in piedi, ed proprio qui è parte del suo bello. La musica degli Islands è proprio come un castello di sabbia: una piccola opera d’arte e sabbia che simboleggia in modo perfetto tanto la bellezza quanto la fragilità.
Return to the sea, il loro disco d’esordio, è in giro da un po’. E’ il tipo di album molto promettente che ascolti per mesi a spizzichi e bocconi, ripetendo a te stesso che prima o poi gli darai il tempo di conquistarti, salvo poi continuare a rimandare. Gli Islands sono nati dagli Unicorns, una delle cose contemporaneamente più belle e irrisolte mai uscite dal Canada, e continuano a dare voce alla loro follia creativa inscatolandola in una forma solo apparentemente più ordinata, che riesce a mischiare con rara disinvoltura indiepop da manuale con melodie paraboliche e solari che farebbero invidia a un certo Brian Wilson. La loro incoronazione è stata sancita già a Capodanno, quando Mr. Polaroid (e chi sennò), mesi prima dell’uscita del disco, ha riempito la pista del Covo con la loro clamorosa Rough Gem. E quando, alla spicciolata, lo scorso venerdì sera ha cominciato a diffondersi la notizia che gli Islands sarebbero venuti a brevissimo in Italia per un concerto in spiaggia, raramente qualcosa è sembrato così appropriato.
E così tra un paio di settimane, quando Agosto svuoterà le città e i reduci (tra cui il sottoscritto) rimarranno a vagare in mezzo all’asfalto rovente nel tentativo di trovargli un senso, il Boca Barranca di Marina Romea (RA), l’8 Agosto, ospiterà la prima e finora unica data italiana dell’eccezionale band canadese. Non si può mancare.
In Rough Gem c’è un verso che ho sempre trovato bello, anche se non ho mai capito cosa significhi davvero: Dig deep, but don’t dig too deep. Forse è perchè poi trovi l’acqua, e il castello cade?
Islands – Rough gem (MP3)
Islands – Rough Gem video (MOV)
Islands – Volcanoes (MP3)
Islands – Live @ Philadelphia, Dec 2005 (link -> 12 MP3)
Sono tornato. E’ andata abbastanza bene. Il che, vista la situazione, vuol dire molto bene. Le uniche cose che ho intenzione di dirvi sono che l’Aglianico è una certezza e la Dolcezza Lucana una scoperta (ancorchè piuttosto underground), che anche se il lavoro è stato tanto ed arduo l’ospitalità locale è stata impeccabile, e che all’ennessima volta che qualcuno mi ha chiesto se sono sposato, ho risposto di sì. Giusto per farvi capire che aria tirava.
Nonostante le vacanze siano ancora lontane, la mia Estate più o meno comincia qui. Stasera ultima puntata stagionale di Airbag (visto che il sottoscritto e il socio venerdì prossimo saranno di nuovo a mettere i dischi nella movida aretina, questa volta dopo il concerto degli Yuppie Flu) e a seguire Settlefish + Amari a Villa Serena. Il weekend lo si passerà al fresco dell’Appennino dalle parti di Porretta, e anche la prossima settimana la carne al fuoco è molta. Summer here, kids.
Grandaddy – Summer here kids (MP3)
E' un po' come finire a preparare un esame dell'università la notte (le notti) prima, e sperare che il professore non ti chieda i capitoli che non hai studiato. Ed è un po' come salire su un palcoscenico ben sapendo di dover improvvisare una buona metà delle battute. Non sono bravo a recitare. Ma, come credo ormai sappiate, sono bravo a dire cazzate. Speriamo che basti.
Vi lascio con un regalo:
[C'è anche l'astronave da 300 punti. Io torno in un paio di giorni. Con qualche migliaio di punti, auspicabilmente]
Tema: Descrivi un weekend di metà Luglio trascorso interamente a lavorare (sabato fino alle 23.30, per gradire), in modo brillante e divertente, e senza lamentarti.
Svolgimento: Lo so che c’è un sacco di gente che lavora nel weekend. Lo so che c’è un sacco di gente che lavora a metà Luglio. Lo so che c’è un sacco di gente che lavora nel weekend a metà Luglio. Ma se non si lamentano il problema è loro, non mio.
Tema: Lo scorso concerto dei dEUS l’hai visto abbracciato a una ragazza (per quanto) mentre in quello dell’altra sera sei stato per tutto il tempo a guardarti le scarpe. Argomenta.
Svolgimento: Devo comprare un paio di scarpe nuove. Davvero.
Tema: Parla della trasferta di lavoro che ti aspetta, dipingendo la sua meta (la Basilicata, nientemeno) come una location estremamente glamour.
Svolgimento: C’è il mare. C’è la montagna. C’è l’Amaro Lucano. Ma soprattutto c’è un sacco da lavorare. E non c’è scelta.
Tema: Esprimi tutto il tuo dispiacere per il fatto che ti perderai gli Austin Lace in concerto giovedì sera all’Hana-Bi di Marina di Ravenna.
Svolgimento: L’estate dovrebbe assomigliare ai loro dischi. Non osate perderveli.
Tema: Scoprire un errore mastodontico e molto intricato a meno di 36 ore dalla consegna.
Svolgimento: Fino a mezzanotte in ufficio, anche oggi. Hai voluto Douglas Coupland? Adesso pedala.
Tema: La canzone che ascolti di più al momento.
Svolgimento: Un indecedere inesorabile, la determinazione di chi non deve sentire ragioni:
TV on the radio – Wolf like me (MP3)
Tema: A cosa serve avere un blog?
Svolgimento: A illudersi che a dargli una veste narrativa, alle cose, le renda più facili.
Non so se funziona. Ma uno ci prova.
«Sleep is the new sex, as the experts in sleep disorders like to say.
Men think about it every seven seconds or so.
Women romanticize it.
Teenagers yearn for the weekends, when they might get a little of it.»
(The Seattle Times, "Wake up to the reality of sleep deprivation")
Maritime – Sleep around (MP3)
Una libreria Billy usata come cassa da morto, una serie di tavolinetti Lack che vanno a comporre un mobile per uno stereo, il borsone di plastica per gli acquisti interni trasformato in una fashion citybag e ,aggiungo io, il pannello composto di micro-matite che campeggia nella stanza di un amico: questo e altro da IKEA Hacker, il blog dedicato all’hacking della multinazionale che arreda le nostre case.
Se non puoi combatterla, snaturala.
Ovvio bonus musicale:
Pavement – Date with Ikea (live 1997) (MP3) (via)
Non c’entra niente con Syd, che ieri è partito per l’ultimo viaggio ma che già allora era partito da un po’, ma il giorno in cui sono nato -scopro ora- in testa alla classifica inglese dei singoli c’era Another Brick in the wall dei Pink Floyd. Se avete la stessa curiosità perversa, guardate qua.
Anagrafe Quartiere Bolognina, 9.01 di ieri mattina.
«Mi è scaduta la carta d’identità, solo che non sono residente qua, posso comunque rinnovarla?»
«Quattro fime, tre fototessere, cinque euro, e due settimane.»
«Due settimane? Tra una settimana ho una trasferta di lavoro e devo prendere un aereo..non c’è modo di averla prima?»
«Facciamo così, provo a sentire l’ufficio centrale.»
(telefona) «Senti, ho qui un ragazzo non residente che deve rinnovare la carta d’identità, però ha un aereo domani..»
«No, tra una sett..»
«Shhh! Domani, dicevo.. Ve lo mando là? Ok, grazie.»
Vengo spedito in centro, in un ufficio chiuso al pubblico. Suono.
«Mi mandano dalla Bolognina per una carta d’identità, ho un po’ di fretta.»
«Venga, si accomodi. Devo fare un fax al suo Comune di residenza con la richiesta, e loro devono mandarmi il nulla osta. Aspetti pure qua. Vuole qualcosa da bere?»
(basito e quasi commosso) «No, grazie…»
«Prima di mandargli il fax, comunque li chiamo. »
(telefona) «Salve, qui l’anagrafe di Bologna. Ho un vostro residente che deve rinnovare la carta d’identità e ha un po’ di fretta. Sa, ha un aereo questo pomeriggio..»
(non so se piangere o ridere) «…»
«Perfetto, grazie. Arrivederci. Ok, tra qualche minuto arriva.»
Dieci minuti dopo, ho la mia nuova carta d’identità.
Sarà il nuovo governo, saranno i mondiali, sarà che ho avuto culo, sarà l’acqua, sarà l’aria, sarà il caffè. Ma questa è fantascienza.