[My animated world di Jelle Van Dun.]
[My animated world di Jelle Van Dun.]
La mia nuova lettura preferita è Girl Power VS Cioè, blog dedicato a raccogliere e deridere le migliori richieste di informazioni scovate sui forum per adolescenti a tematica sessuale:
Ho paura di essere incinta
Ho paura.Ho paura di essere incinta.Ragazze e ragazzi, scusate se disturbo, ma ho bisogno di un consiglio.Mi vergogno a parlare con le mie amiche di questo mio problema perchè sono piccola.Cioè,non sono abbastanza grande. Purtroppo credo di essere incinta.Sto male.Ho nausea.Ho mal di testa.Mal di reni.E ogni tanto mal di pancia.Mi fanno male i seni. Ho paura di essere incinta.Mi vergogno ad andare a comprare il test di gravidanza.Ho vergogna.Ma ho paura di essere incinta.In pratica ero in acqua col mio ex,il giorno 14 luglio,e lui ha messo il suo pene appoggiato alla mia vagina,e cioè,non era infilato,ma siccome era dritto e duro,bhè,lo ha puntato verso di me..XDecco…Da un paio di giorni sto male.Sono pallida…Aspetto le mestruzioni per il NOVE di agosto!Che faccio?
mirare… puntare… fuocooooo… più che altro controlla che insieme a te in piscina non abbia messo incinta altre persone togliendo il pene dal costume…
(segnalato da zioaxiom)
http://forum.giovani.it/t61192-sintomi-dellessere-incinta.html
Siccome mi si fa notare che a non parlarne si sembra ancora più spocchiosi che a parlarne (bene o male, non fa differenza), vi segnalo che questo blog è stato candidato agli ormai classici Macchianera Blog Awards 2006 nella categoria Miglior Blog Musicale. Il fatto che questo non sia esattamente un blog musicale (a una stima sommaria non più di una metà dei post riguardano l’argomento; gli altri spesso e volentieri non lo toccano neanche di striscio) e che davvero troppi blog assai più musicali (e assai migliori) di questo siano assenti dalle candidature non fa che rendere il tutto ancor più privo di valore di quanto già non sia. Quel che conta davvero, però, è che ormai ho mancato la candidatura a Miglior Blog Erotico. Dovrò farmene una ragione.
Un avvertimento: nonostante sia piuttosto chiaro fin dalla prima pagina, l’altissimo potere additivo di Like better, con le sue previsioni caratteriali basate sulla scelta più o meno irrazionale tra una serie interminabile di coppie di immagini, rischia di farvi perdere una scandalosa quantità di tempo prima di portarvi a concludere che si tratta di una stronzata pazzesca.
Non credo di aver mai visto così tanta gente con gli occhi lucidi come nelle prime file del concerto dei Lucksmiths, ieri sera all’Hana-bi di Marina di Ravenna, durante The music next door. Quattro minuti e mezzo di pop australiano meta-musicale intriso correlativi sonori e di periodi ipotetici dell’irrealtà, che ciascuno nel tempo ha evidentemente associato a qualcosa in modo molto più profondo di quanto sia in grado di realizzare, trovandosi così completamente sguarnito di fronte alla performance di una canzone ascoltata a hundred times before.
Non credo di aver mai visto così tante persone con gli occhi lucidi, e senza alcuna vergogna di mostrarli. Non credo di averle mai viste, e in effetti non riuscivo poi a vederle così bene. Ero nelle prime file anch’io.
The Lucksmiths – The music next door (MP3)
Nel 2006 essere famosi (i warholiani 15 minuti di notorietà, mica altro) è facilissimo e difficilissimo allo stesso tempo. Facilissimo perchè basta un accesso alla rete e grazie al passaparola è possibile raggiungere migliaia di persone anche con risorse molto limitate. Difficilissimo perchè possono farlo tutti, e anche chi fino a 10 anni fa aveva pochi rivali con cui competere nel mondo dell’intrattenimento si trova costretto a scovare nuovi metodi per attirare l’attenzione su di sè e sui propri prodotti.
Meno di 3 mesi fa nel calderone del libero upload di video di Youtube è comparso il primo di una serie di videomessaggi (i videopost di un vlog, li chiamano; le parole sono importanti) firmati lonelygirl15. E in breve la storia della giovane Bree, sedicenne acqua e sapone con una vita come tante altre ma alcuni, sottili, dettagli un po’ inquietanti, ha attirato un’attenzione enorme e, in parte, difficilmente spiegabile. Migliaia di accessi per ogni videopost, commenti, link, post sui blog, contatti su myspace. E’ il social networking, baby. O è il viral marketing?
Parallelamente alla comune curiosità suscitata dai video di lonelygirl15, però, hanno cominciato a spuntare strani riferimenti a una misteriosa religione, numeri e immagini riconducibili al celeberrimo occultista Aleister Crowley e alcuni altri dettagli che lasciavano presagire ben più di un banale videoblog di una banale ragazzina.
Allora è stato il momento dei dubbi: Lonelygirl15 è sincera? Esiste davvero? Non esiste ed è la creazione di un gruppo di burloni? O dientro c’è qualcuno (e qualcosa) di molto più grosso?
Le perplessità sollevate dal suo video (minuziosamente illustrate dalla corrispondente voce di wikipedia) sono sfociate in una serie di articoli di giornale, di cui l’ultimo, pubblicato sull’LA Times, sostiene di aver smascherato l’operazione, scorgendo dietro di essa l’operato di un’agenzia di Hollywood. A distanza di pochi giorni ci si mette anche un messaggio degli amministratori sul forum del sito www.lonelygirl15.com, (che essendo stato registrato prima della comparsa in rete del primo post è con ogni probabilità riconducibile alla stessa mano che si cela dietro i video), che danno ad intendete che i videopost siano il primo passo di qualcosa di ben più grande. Tipo un film horror digitale con pretese di realismo alla Blair Witch Project, una serie tv con risorse online come Lost, una campagna pubblicitaria virale, o qualcosa di più comlpesso e pressochè inedito come un serial multimediale che si avvale degli strumenti bassi messi a disposizione dalla rete per rivolgersi a un target molto appetibile per gli inserzionisti. Oppure, magari, si tratta davvero di una cosa messa su per gioco e poco più. Sarebbe bellissimo.
Update: Silicon Vally Watcher sostiene di aver scoperto l’identità della ragazza; ecco varie sue foto e il suo myspace nella cache di google.
Non che la loro qualità abbia ancora bisogno di essere provata; ma se le canzoni dei Radiohead reggono persino in versione ninna nanna, esclusivamente a base di campanellini, vuol dire che sono davvero delle grandi canzoni.
Rockabye Baby! – Airbag (Radiohead lullaby cover) (MP3)
Rockabye Baby! – Knives out (Radiohead lullaby cover) (MP3)
Parecchio tempo fa su queste pagine si parlava di Beauty and the geek, versione insolitamente nerd e insolitamente divertente del gioco delle coppie incrociata con un reality mandata in onda sul canale americano della Warner. Scopo del gioco mettere insieme (e osservare) la coppia malassortita formata da una bella e da un secchione nell’atto di tentare di trasmettersi conoscenze, influenzarsi a vicenda e, nel mente, tentare di fare il minor numero di figure di merda possibile. Non esattamente una trasmissione intellettuale, evidentemente; eppure molto spassoso e spesso per nulla stupido.
Dopo aver visto la prima serie americana -che, per la cronaca, è stata anche uno degli argomenti affrontati quando, un annetto fa, sono stato ospite su RadioDueRai- ieri sera sono incappato nella prima puntata dell’edizione italiana, linearmente intitolata La pupa e il secchione. Condotto da personaggi già vacui in origine e da un po’ ulteriormente in caduta libera come Papi e la Panicucci, il gioco è una versione pecoreccia e abbondantemente defilippizzata dello show americano che rinuncia ad ogni sobrietà in favore di lustrini, culi all’aria, giuria, dibattito, pubblico, pianti, polemiche, prove vanamente spettacolari e scambi di battute degni della programmazione pomeridiana di Rai 2. L’ho trovata una lezione esemplare di tutto quanto ci sia di disprezzabile nella tv italiana; un ottimo esempio di come da un’idea se non buona almeno promettente qua da noi non riesca a tirar fuori nulla di più di una baracconata assolutamente inguardabile.
La cosa più bella è che se te lo chiedono non sai raccontarlo.
Magari ci provi, ma non ci riesci.
E non perchè non ci sia niente da raccontare, ovviamente. Solo che la banale narrazione della trama, la descrizione anche precisa degli straordinari effetti visivi ‘poveri’ utilizzati nel film e la ricerca di metafore adatte a spiegarne l’atmosfera finiscono per sembrare tragicamente incapaci di dire qualunque cosa davvero importante su un’opera tanto inafferrabile. E’ una grandezza che non si spiega, frutto di un equilibrio talmente fragile e fatto di suggestioni che non si può capire senza averlo visto.
L’arte del sogno, in originale La science des rêves, è un film che non si dimentica, ma non si fa afferrare. E’ molto frustrante. E’ bellissimo.
La science des rêves è il nuovo film di Michel Gondry. Dopo essere stato presentato con grande successo al Sundance, a Berlino e a Taormina, il film è finalmente uscito nelle sale francesi il 16 Agosto, in anteprima mondiale. Il 17 Agosto il sottoscritto (che lo attendeva da tempo) era in un cinema di Marsiglia, pronto ad aspettarsi qualunque cosa; meno di due ore dopo, stava già sommergendo di parole la sua compagna di visione nel vano tentativo di prolungare almeno un po’ le sensazioni suscitate da un film tanto bello. Non bisognerebbe farlo mai, in situazioni simili, tantomeno in questa. Ma è pura utopia.
La trama importa poco; anche questa è una storia d’amore, e tanto vi basti. Il confronto con il precedente Eternal sunshine of the spotless mind / Se mi lasci ti cancello è inevitabile; ma quello che per chi scrive è uno dei film più belli, creativi e dolorosi degli ultimi anni non si fa pareggiare con tanta facilità. Eppure, nonostante ciò, La science des rêves, sotto certi punti di vista, è persino meglio. Ogni vero paragone, è, però, impossibile; sono due film troppo diversi. Anzi sono due film esattamente complementari: quanto Eternal sunshine è spietatamente realistico nel descrivere (in maniera tutt’altro che realistica, com’è nello stile di Gondry) lo sfasciarsi di una storia d’amore (di tutte le storie d’amore) tanto La science des rêves è invece completamente surreale e dichiaratamente irragionevole nella sua volontà di dare forma reale ai sogni (nel senso di esperienze oniriche, ma anche di desideri), portando alla luce quello che non può essere, che forse non deve essere o che forse si ha troppa paura perchè sia.
Un mutamento di prospettiva così grande, dal Gondry matematico al Gondry poetico, da una visione razionalmente pessimista a una posizione ottimisticamente sconsiderata non può essere casuale. E infatti non lo è; tale rivoluzione copernicana è sicuramente causata dal passaggio dagli incastri perfetti della sceneggiatura meccanica di Charlie Kaufmann alle suggestioni impressioniste della sceneggiatura naif firmata dallo stesso Gondry, che questa volta decide di fare tutto da solo e di mettere la sua firma su un film fortemente autobiografico.
Il ritorno alla cameretta del regista, tra l’altro, non è solo metaforico. La science des rêves non è infatti semplicemente il primo film di Gondry interamente girato in patria, ma è persino ambientato nello stesso palazzo e nella stessa camera di Parigi in cui il regista viveva quando aveva vent’anni.
Altri dettagli personali a parte, la vicinanza delle vicende narrate con quelle da lui realmente vissute è ulteriormente (e dichiaratamente) sottolineata dalla scelta di girare il film in due (a volte tre) lingue che spesso si danno il cambio senza soluzione di continuità, come a Gondry succede da anni a questa parte. Se si ha l’occasione di guardarlo in lingua originale la sensazione di estraneità è palpabile, come la distanza non solo metaforica tra i personaggi che gli impedisce di capirsi veramente. E a quel punto, forse, non c’è che un’alternativa.
La science des rêves è un film auto-indulgente e imperfetto, confuso e cerebrale, ma visto ciò di cui parla non poteva essere altrimenti. Gael Garcia Bernal è un protagonista bravissimo e assolutamente convincente, e riesce persino a non farsi odiare nonostante sia praticamente perfetto. Charlotte Gainsbourg è, come al solito, meravigliosa. Il terzo protagonista sono ovviamente gli effetti visivi creati da Lauri Faggioni, una fantasmagoria di bricolage onirico, sartoria animata e schizometria analogica già vista in diversi videoclip che si fonde alla perfezione con una trama tanto involuta e surreale, consentendole di raggiungere picchi di lirismo naif da applausi a scena aperta. Dopo aver visto il film, è quasi troppo facile decidere di aver scoperto la materia di cui sono fatti i sogni: stoffa, fili, carta e colla, cellophane al posto dell’acqua e cotone da lanciare in aria a mo’ di nuvole.
Perchè la ritirata del bricoleur onirico nel suo mondo (in cui -forse- non potrà mai entrare nessuno) non è una fuga ma una vittoria.
Bonus:
La science des rêves – website (in francese) (link)
The science of sleep – website (in inglese) (link)
The science of sleep – Myspace (link)
The science of sleep soundtrack – Myspace (link)
The science of sleep – Trailer (in inglese) (MOV)
Gael Garcia Bernal & co. – If you rescue me (Velvet Underground – Afterhours) (MP3) updated!
Guardate questo (basta anche un pezzo):
Un tamarrissimo video di techno olandese, di un duo chiamato Gebroeders Ko, con una canzone intitolata Ik heb een boot, ovvero «Ho una barca». Roba di nessun interesse. Poi guardate questo:
Si chiama Boten Anna («Anna, il bot») ed è del musicista svedese Basshunter. Chiunque abbia una qualche esperienza di chat può apprezzare il testo nerdissimo e involontariamente demenziale, e farsi quattro risate per la pochezza del testo solo superficialmente moderno e per le bizzarre espressioni di cui si serve. La cosa curiosa, però, è che non è quest’ultima versione ad essere una parodia della prima, ma viceversa, la prima è una cover seria (oddio, seria) del pezzo di eurodance tamarra di tematica nerd firmato Basshunter, che pare aver avuto un certo successo in nord europa qualche anno fa (la storia completa è qua). Praticamente, una rivoluzione copernicana.
[grazie a Checco]
Forse sono il preludio a roba grossa o forse solo una bella soddisfazione, ma le notizie che in questi giorni riguardano i veronesi Canadians, più volte citati su queste pagine (qui e qui, ad esempio) come una delle più interessanti promesse dell’indiepop nostrano, non sono cose che si sentono tutti i giorni. Come si evince dal blog del bassista Max e come conferma Rockit, la band è infatti finita a sorpresa al secondo posto tra le breaking bands della bibbia inglese dell’hype musicale NME, con una segnalazione entusiastica che recita «This is canny brilliant. Italian outfit Canadians draw upon a sound that’s somewhere between a fledging Coldplay and a nattier Jimmy Eat World» ed è poi stata contattata dalla Parlophone, sussidiaria della EMI per cui incidono gruppuscoli come Radiohead, Coldplay e Blur e per cui pubblicavano persino i Beatles, molto interessata a sentire tutto il materiale registrato dalla band. Frattanto la band, indipendentemente da tutto ciò, è entrata in studio per registrare il suo debutto sulla lunga distanza, e con queste premesse possiamo aspettarci di tutto. A volte succede.
Canadians – The north side of Summer (MP3)
Tapes’n’Tapes – Cowbell (The Black Eyes remix) (MP3)
Difficile, quasi impossibile imbrigliare in un beat ballabile il nervosismo dei pezzi migliori della band di Minneapolis; ci riesce questo remix dei Black Eyes, che vira dalle parti dei Death from above 1979 e quanto perde in tiro aggiunge in potenza. Senza iniflarci neanche uno scontato assolo di cowbell, pensate un po’.
The Rapture – Get myself into it (Prince Language Disco Edit) (MP3)
Il nuovo singolo dei Rapture, da mettere in pista,ti frega sempre: parte tanto lento che rischia quasi di svuotare, e quando decolla ti accorgi che è già finito. Questo remix (pardon, edit) educatissimo gli aggiunge i 2 minuti che gli mancano, e si limita a fare un po’ di cut and paste senza toccarne quasi il sound. E va bene così.
The Diggs – Everyone’s starting over (Cassettes won’t listen remix) (MP3)
Due delle mie giovani band newyorkesi preferite fanno squadra: i Cassettes won’t listen (già linkati a suo tempo con la loro cover di Cut your hair dei Pavement) reinterpretano l’anthem degli arrembanti The Diggs (anch’esso linkato a suo tempo, ma nel frattempo il link è scaduto) trasformandolo nel pezzo che i Postal Service dovrebbero fare al loro rientro. Davvero niente di nuovo sotto il sole, ma chi ama certi suoni apprezzerà.
The Knife – Marble house (Rex the dog remix) (MP3)
Trasformare i The knife in qualcosa di tamarro è una bella sfida, ma ci si può riuscire. Poi ballarla davvero è un’altra storia, ma qua tanto Ibiza quanto la peggiore techno crucca sono dietro l’angolo. Eppure funziona.
Quanto era fatto Kyp Malone dei TV on the radio quando, mentre mettevo i dischi dopo il loro concerto di due sere fa all’Estragon, ha mandato uno dei compari radiofonici Studentz on air a chiedermi di fargli sentire un pezzo degli Amari?
E cosa ne avrà pensato mentre scuoteva la sua voluminosa chioma al ritmo di Conoscere gente sul treno?
[tutto vero, giuro]
Amari – Conoscere gente sul treno (MP3)
Un vero e proprio museo degli orrori: The official David Hasselhoff site of worship.
Top 20 strangest guitars. C’è anche la Air guitar.
Da qualche giorno questo blog ha cambiato indirizzo mail: inkiostroblog|at|gmail.com al posto del vecchio _inkiostro_|at|virgilio.it, che a breve verrà completamente dismesso. Aggiornare le rubriche e gli smambot, please.
Metti che una sera, prima di andare a dormire, ti metti a navigare un po’ e passando per certi m-blog americani che non sapresti ridire, finisci sul forum di un sito in cui, guarda un po’, si parla di musica indipendente, nuove uscite e cose così. Un’occhiata distratta prima di chiudere la finestra e passare a qualcosa di più interessante rivela un thread dal titolo promettente, che in men che non si dica si traduce in una notizia di quelle succose: il nuovo disco di Joanna Newsom, una delle portabandiera del nuovo vecchio folk più artsy e naif, nota per la perizia nel suonare l’arpa, per lo stile vocale a dir poco bizzarro (c’è chi l’ha paragonata ad Alvin and the Chipmunks, per dire) e per aver dato alle stampe uno dei dischi migliori del 2004 (The milk-eyed mender, uscito su Drag City) è stato diffuso illegalmente sul web con abbondante anticipo sulla sua data di uscita.
«Dov’è la notizia?», direte voi. La notizia è il modo in cui ciò è successo: pare infatti che il disco sia stato scaricato direttamente dal server web di Pitchfork, su cui qualcuno ha scoperto una cartella nascosta ma non protetta (questo il link, ovviamente non più attivo) contenente tutti i dischi recensiti dalla webzine quest’anno più varie altre primizie. Qualche migliaio di preziosissimi file musicali liberamente scaricabili da chiunque fosse a conoscenza dell’indirizzo web giusto; alla faccia delle violazioni del copyright, e della protezione contro non dico gli hacker ma anche solo gli smanettoni. Qualche testa rotolerà per questo, diceva qualcuno.
Detto ciò, dopo un paio di ascolti il disco di Joanna Newsom, intitolato Ys, pare davvero molto bello. Ok, la copertina forse è un po’ kitsch.
Ok, fare un disco di quasi 60 minuti fatto di sole 5 canzoni (la più corta è sui 7 minuti, la più lunga viaggia sui 17) forse è un tantino eccessivo. Ok, la voce è un po’ più inquadrata del passato e, benchè ancora bellissima, perde un po’ del fascino che aveva in origine. Ma l’atmosfera…beh, c’è poco da fare, è un disco dal fascino raro, che mischia le solite suggestioni tra fantasy e immaginario rinascimentale con qualcosa di vagamente più moderno (mi vengono in mente Danny Elfman e il suo lavoro sulle colonne sonore dei film di Tim Burton), vero e proprio storytelling in musica che non ha quasi più nulla a che fare col pop moderno e, ogni tanto, neanche col folk classico.
A dar man forte alla giovane artista californiana un dream team da paura: Steve Albini e Jim O’rourke in cabina di regia, Bill Callahan degli Smog ospite ai cori e nientemeno che Van Dyke Parks all’arrangiamento degli archi. Che sono poi una delle cose più sublimi del disco.
Forse a Pitchfork hanno voluto farci un regalo, chissà.
Joanna Newsom – Monkey & Bear (MP3)
C’è qualcosa di molto strano nel tornare da una vacanza in cui l’unico contatto con la tecnologia è il susseguirsi di nastroni nell’autoradio e ritrovarsi immediatamente catapultati a mettere i dischi a tarda notte dallo Studio 42 di Radio Città Fujiko alla Festa dell’Unità di Bologna, con la gente che passa davanti al gabbiotto, saluta, balla, ascolta incuriosita gli interventi in voce e viene a chiedere i titoli delle canzoni. Un passaggio davvero straniante dal micro-mondo distratto in cui gli unici problemi sono arrivare in spiaggia e decidere dove andare a mangiare alla socialità forzata di chi, per la prima volta, si accorge che la radio ha un pubblico e può finalmente guardarlo in faccia, senza passare dal via.
Finchè il tempo me lo permette sarò quasi ogni sera da quelle parti (stand 42 alla Festa dell’Unità di Bologna, nel cuore della zona notturna della festa, esattamente davanti all’Estragon e all’adiacente spazio della Sinistra Giovanile), dentro o fuori dal gabbiotto della diretta o davanti o dietro lo stand del merchandising della radio (tra l’altro, sono finalmente disponibili le nuove magliette a tiratura limitata in occasione del trentennale). Oltre a qualche diretta più o meno random dall’acquario, il sottoscritto dovrebbe essere in console nella pista della sinistra giovanile domenica 3 dopo il concerto dei TV on the Radio (insieme al socio radiofonico Andrea NP), e mercoledì 8 dentro l’Estragon, dopo il concerto dei Mogwai (insieme ad Andrea NP e all’auctoritas Arturo Compagnoni e, con ogni probabilità, con i visual dell’amico MILF). Cercherò di non latitare troppo da queste pagine, ma se mi vedete meno in giro sapete il perchè. E sapete dove trovarmi.
Coordinate:
Festa dell’Unità di Bologna – Programma (PDF)
Estragon Summer Fest @ Festa dell’Unità – Programma (link)
TV on the radio – Wolf like me (MP3)
Mogwai – Friend of the night (MP3)
Più noioso del sottoporre gli altri all’interminabile proiezione delle proprie diapositive delle vacanze c’è solo il costringerli a leggere dei post che raccontano le suddette vacanze. Ho passato un paio di settimane assolutamente impagabili a zonzo per il sud della Francia; e ora sono tornato.
Ci sono le valigie da disfare, 200 mail da leggere (in realtà meno della metà, al netto dello spam), 960 segnalazioni del feedreader, qualche altro giorno pigro da godersi prima di ritornare al lavoro, lo stand di Radio Città Fujiko alla Festa dell’Unità di Bologna da presidiare e un paio di serate di gran prestigio in cui mettere i dischi (i dettagli più avanti). Contando che sono appena tornato da posti bellissimi, direi che poteva anche andare peggio.
Phoenix – Consolation prizes (WMV)
Cari Phoenix, vi vogliamo bene e ci piacete non da oggi, e anche se l’ultimo disco è un po’ deludente, lo sappiamo bene che siete francesi, quindi non c’è bisogno che giriate mezzo video davanti alla reggia di Versailles.. Visto che questo è l’unico pezzo che si salva vi perdoniamo, nonostante lo stop-motion sia un po’ dozzinale e con un piccolo sforzo in più poteva uscir fuori una cosa anche carina. Non poteva girarlo la fidanzatina (e tra un po’ pure mamma) Sofia Coppola? Va già bene che non sia (di nuovo) il fratello, comunque..
Ok Go – Here it goes again (RM)
Come al solito con i video degli Ok Go la domanda è: ma quanto ci avranno messo a fare la coreografia? E quanto a fare una take intera buona? Domande senza risposta, ma il video, un delirio danzante questa volta a base di tapis roulant, è imperdibile come l’altro. Fateci il favore, cambiate lavoro, smettela di fare dischi ed entrate nel corpo di ballo di Buona Domenica. Ci guadagneremmo tutti.
Cat Power – Lived in bars (FLV)
Finirà così per tutti, il periodo indie? Uno rimane per anni fissato con l’ipersensibilità, l’originalità a tutti costi e poi finisce qualche anno dopo a fare un disco roots e senza sugo che più insipido non si può e a fare video come questi, in cui dimostra di divertirsi come una pazza a qualche festa sudista in cui tutti sembrano usciti dal più classico dei clichè? Come già detto più volte, al sottoscritto sembra una fine ingloriosa. Eppure c’è pure gente a cui piace, pensa te.
Tunng – Jenny again (MOV)
C’è poco da dire sul nuovo singolo dei Tunng: il pezzo più canonicamente triste del disco, una ballata in cui l’ago della bilancia folktronica del combo inglese pende decisamente dal lato del folk, ha un video splendido. Un incidente stradale, un triangolo amoroso, una tragedia bucolica di periodi ipotetici dell’irrealtà e cose che erano e ora non sono più. Forse è il periodo, ma quasi mi commuovo.
Thom Yorke – Harrowdown Hill (MOV)
Bastano un po’ di effetti speciali poveri ma fantasiosi, qualche immagine di repertorio, nebbia e acqua e sfumature e barricate e falchi che volano e modellini di città, per la canzone più bella del disco solista del leader dei Radiohead? Dubito. Era un’impresa impossibile, e loro ci hanno provato. Io sarei rimasto più sull’essenziale (qualcosa tipo Rabbit in your headlights, per intederci), perchè in questo caso ai pattern ritmici, alla distorsione soffocata e alla splendida chitarra quasi funky del finale le immagini possono aggiungere ben poco.
Constantines – Working fulltime (MOV)
Ce li siamo scordati subito, i cloni degli Afghan Whigs canadesi, e forse a risentirli adesso non se lo meritavano. La passione c’è, il tiro anche, e vedere questo gran bel video forse le loro doti ne escono anche amplificate. Un buono spunto realizzato ottimamente, e il video si fa ammirare. Non la finisco mai di stupirmi quando vedo cosa riescono a fare le etichette indie americane con le -si suppoone- poche risorse che hanno. Quando ci sono le idee..
The Knife – Marble House (MOV)
Mentre per motivi misteriosi il video di We share our mother’s health sta diventando un po’ di moda persino da noi, i The Knife guardano avanti e pubblicano già un nuovo singolo. Il corredo visivo è a base di topi antropomorfi e ambientazione da casa povera (assai poco di marmo) negli anni ’40. Che dite, vi ricorda già qualcosa? Chissà se hanno pagato i diritti a Spiegelmann..
Peaches – Downtown (MOV)
La Signora delle Pesche rimane sboccata e continua coi giochi di parole scollacciati, ma il sound è assai più ripuluto di un tempo, e l’immagine perde buona parte del rock’n’roll che aveva sempre avuto per tornare tra i ranghi di qualcosa che assomiglia persino all’r’n’b. Rimane un mediocre e sexy pezzo electro-pop un po’ ambiguo non troppo diverso da quello che finisce normalmente su Mtv. Ed era quella l’idea, mi sa.
Franz Ferdinand – Eleonor put your boots on (MOV)
Me l’ero persa, la single version tirata a lucido della canzone formerly known as la ballata beatlesiana dall’ultimo disco dei FF. Essendo l’ennesimo singolo estratto, ed essendo il video uno psichedelico (solo lui) delirio animato a base di montagne russe di Coney Island, statue della libertà e bimbe gotiche di nome Eleanor, se ne faceva anche a meno.
Mareva Galanter – Pourquoi pas moi (Ukuyèyè) (AVI)
Come si fa a non innamorarsi di una bellissima ex miss francia che, presatata al mondo musicale, se ne esce con un disco trèees ’60s tutto yèyè, vestiti optical, mobili spaziali e coretti angelici (con, a guardar bene, pure un perverso retrogusto anni ’80 in alcuni arrangiamenti)? Un’operazione come quella dei Baustelle, senza però, nulla di intellettuale. Funziona decisamente meglio, va da sè.
Emilie Simon – Fleur de saison (MOV)
Sempre Francia, ma stavolta Francia digitale, per il nuovo video della pigolante aspirante Bjork d’oltralpe. Meno classicqamente pop dell’esordio, meno suggestivo della colonna sonora del documentario sui pinguini, più canonicamente artsy e, appunto, spudoratamente bjorkiano. Se non si considera che è una missione impossibile, è quasi carino.
E’ agosto, e se non siete già in vacanza o non avete da lavorare, probabilmente vi state annoiando. Da benefattore quale sono, eccovi il link a un gioco che vi permetterà di ammazzare qualche ora, e di bruciarvi qualche cellula cerebrale. Drug fiend è un adventure sulla falsa riga dell’ormai classica Crimson Room (e cloni), il cui scopo è consumare tutte le droghe presenti in casa. La cosa è assai più complessa di quanto sembra..
[In tema con la notte di San Lorenzo: la Notte stellata di Van Gogh rifatta coi lego]
Allora lasciate perdere questo post, perchè leggere di un gruppo che si chiama The Puppini Sisters potrebbe davvero essere troppo per voi. E se trovate ridicola l’estetica delle polka-dotted dolls più amate del momento, passate velocemente al prossimo post, perchè il look 40’s del nuovo trio vocale inglese potrebbe mettervi alla prova in maniera assai superiore. E se il bubblegum pop delle ragazze di Brighton vi fa venire il diabete, rimanete alla larga dagli mp3 delle sorelle Puppini e dal loro filologicissimo sound tra swing-pop e boogie woogie, al confronto del quale la musica delle prime è a dir poco punk.
Capeggiate dall’italianissima (bolognese, nientemeno) Marcella Puppini, le Puppini Sisters hanno l’aria di una cosa a metà tra un esperimento in provetta e la follia estemporanea di una sera che misteriosamente ha successo. Supportate da un contratto major (Universal) e da un conseguente dispiegamento di forze notevole (basta fare una navigata nel curatissimo sito -ci sono pure le Cigarette Cards!- per accorgersene), le Puppini Sisters hanno da qualche giorno dato alle stampe il loro esordio Betcha Bottom Dollar. Un disco davvero da manuale: arrangiamenti da grammofono riletti nello splendore hi-fi dell’era digitale, un repertorio che va dai classici del genere (Mr. Sandman, Sway, Tu Vuo’ Fa L’Americano, nientemeno) alle canoniche cover ’70-’80 (Panic degli Smiths, Wuthering Heights di Kate Bush, Heart of glass di Blondie, I will survive di Gloria Gaynoir) che come al solito un po’ funzionano e un po’ no, uno stile curatissimo a base di rossetto, completini alla Marlene Dietrich e costumi da bagno della nonna, e la personalità giusta per meritarsi un trafiletto su un femminile se non un articolo in piena regola a firma dell’Aquaro di turno.
Si sarebbe tentati di tacciarle subito di artificiosità conclamata e di bocciare a tavolino il loro boogie woogie buono per tutte le stagioni musicali, ma -almeno io- non ci sono riuscito. Saranno le armonie vocali assolutamente eccezionali, gli arrangiamenti curatissimi o le coreografie delle loro performance live tanto sincronizzate da essere ipnotiche, sarà quel qualcosa di grottesco e contemporaneamente molto british che emerge tra le pieghe del disco, sarà lo humour che lo pervade in ogni nota o la sua oltritudine troppo perfetta per essere vera, sarà il suo essere lontanissimo da qualunque modello anche solo vagamente hip (anche dall’indie, esatto) pur essendo un prodotto molto più che gradevole nonchè oltremodo vendibile; sarà quello che vi pare, ma le Puppini Sisters funzionano, e neanche poco.
Per il momento non lasciano il mio lettore, e di questi tempi è un risultato di tutto rispetto. E ora aspettate che si accorgano di loro: ho il sospetto che saranno ovunque.
The Puppini Sisters – Panic (MP3)
The Puppini Sisters – Wuthering Heights (MP3)
The Puppini Sisters – Sway (MP3)
[un post intero e neanche un gioco di parole sul loro nome, sto invecchiando?]
_Roba da leccarsi i baffi: Johnny Marr (ex chitarrista degli Smiths, chevvelodicoaffà) è entrato ufficialmente nei Modest Mouse.
_I Death From Above 1979 si sono sciolti. Proprio ora che con il disco MSTRKFRT ha rivelato di non essere esattamente quello che prometteva coi remix.
_Del folle e bellissimo tour ferragostano di Le man avec le lunettes + The rough bunnies (che mi perderò, ahimè) già sapete tutto, no? Quello che forse non sapete è che il loro split è davvero bellissimo, e merita l’ascolto e l’acquisto ad occhi chiusi. Se siete nel centro nord tra il 15 e 18 Agosto non perdeteveli, sospetto che saranno il tipo di serate per cui poi ci si pente.
_Suzanne Vega non pubblica un disco da anni, eppure rimane una pioniera: non solo è, a modo sua, la mamma dell’mp3, ora è stata pure la prima artista della storia ad esibirsi esclusivamente in un mondo virtuale (Secondo life, per la precisione). Il tipo di cose che ti lascia assai perplesso (ora) e che chissà, tra qualche anno sarà negli annali.
_Britiney strafatta. O solo stupida.
_Prove tecniche di stagione 2006/2007: TV on the Radio, Mogwai, Final Fantasy, Midlake, Forward Russia, Two Gallants, The Kooks, New York Dolls tra i primi nomi che stanno spuntando fuori per la stagione concertistica bolognese del prossimo autunno. Non competono con Roma nè con Milano, ma del resto quando mai?