Tender Forever – My Love (Justin Timberlake cover) (MP3)
Come accennavo un mesetto fa, dopo due anni e mezzo di gloriosa e impeccabile carriera, il mio lettore mp3 mi sta purtroppo abbandonando. Dev’essere caduto qualche volta di troppo, il caro vecchio Zen Micro, e non riuscirò a sopportare ancora per molto lo spinotto delle cuffie ballerino e il conseguente audio a singhiozzo; urge un rimpiazzo. E qui, ovviamente, cominciano i dubbi.
Delle tre tipologie principali di lettori mp3 che esistono al momento (a. Stile Ipod Shuffle: piccoli, memoria flash tra 256 MB e 2 GB, senza display o con un display molto piccolo; b. Stile iPod Nano: medie dimensioni, memoria flash tra 1 e 8 GB, tutte o quasi le funzionalità più diffuse sui lettori mp3; c. Stile iPod Classic: grandi dimensioni, memoria hard-disk tra i 4 e gli 80 GB, full optional), il mio genere è decisamente il secondo: la memoria flash consuma meno batterie e si rompe con meno facilità, un display completo è indispensabile ma non serve che sia grandissimo (tanto non credo ci guarderò spesso dei video), e -vista l’altissima frequenza con cui aggiungo e tolgo canzoni e dischi- anche 4-8 GB di memoria possono bastarmi.
Contando che grazie a mia sorella che è negli States posso accedere direttamente alla disponibilità e ai prezzi (molto più economici dei nostri visto il dollaro debole) americani, cosa scelgo?
Opto per il nuovo iPod Nano, bruttino e -come tutti gli iPod- con meno feature e prezzo più alto dei concorrenti diretti (8 GB, 199$ = 136€)? Rimango fedele alle Creative e scelgo lo Zen V Plus, più economico e con più feature, ma che pure lui non scherza in quanto a bruttezza (8 GB, 159$ = 109€) oppure il nuovo Zen, più bello, più caro e con memoria espandibile (8 GB, 199$ = 136€)? Il Sony Walkman NWZ-A818 lo escluderei perchè proprio non mi piace..ma se mi sbagliassi (8 GB, 199$ = 136€)? E se invece mi buttassi sull’ iRiver Clix, decisamente più bello e lodato ovunque in rete per la sua qualità, ma con un prezzo forse un po’ esagerato (8 GB, 239$ = 162€)?
Oppure sparo più alto, e mi faccio conquistare dalla bellezza, dall’interfaccia (e dal wi-fi) dell’iPod Touch (8 GB, 299$ = 204€)? E dell’Archos 605 Wi-fi cosa vogliamo dire, con le sue feature di ogni genere e la sua memoria gigante, a fronte di un prezzo onestissimo; non è esattamente quello che mi serve (non sembra proprio tascabile..) ma quasi quasi (30 GB, 299$ = 204€)? E -siccome pure il mio cellulare è vecchio, ed è decisamente tutto tranne che smart- non vogliamo mica farci tentare dall’iPhone, che su eBay si trova sbloccato, e quindi funzionante anche in Italia, pur rinunciando agli aggiornamenti del firmware (8 GB, 549$ in media = 374€)?
Come avrete intuito, al momento ho le idee un po’ confuse.
A suo tempo (qui e qui) in materia mi avevate dato diverse ottime dritte, quindi io ci riprovo. C’è qualche altro player (o smart-phone che funziona bene come lettore mp3) che non ho considerato? Voi quale scegliereste?
Mentre vorrei capire se la iFiaschetta esiste davvero o se se l’è inventata Girolami durante una di quelle serate house che piacciono a lui -e mentre sono lieto di imbattermi pochissimo nel suddetto problema; non sono più l’animale notturno di una volta, e forse non lo sono mai stato- non posso non rimbalzare il già pluri-linkato spot della Guinness (firmato da Nicolai Fuglsig, già autore dello splendido spot delle palline del Sony Bravia) segnalatomi da Kekkoz. Ubriacarsi non è mai stato così difficile come oggi, signora mia.
[Costui, chiunque esso sia, si diverte con le Matching album covers. Straordinariamente inutile, come è inutile dire che è il tipo di cose che mi entusiasmano ben più di quanto dovrebbero. Ne facciamo anche uno noi con i dischi italiani?]
_Se scrivi un post per punti vuol dire che non hai idee. O tempo. O voglia di dare forma a quelle idee. O un tumblr che i lettori occasionali non leggeranno mai. O nessuna delle quattro cose contemporaneamente. Abbiate pazienza almeno voi, chè io la mia l’ho persa parecchio tempo fa e ho tentato di sostituirla con le serie tv americane, gli hobby ingombranti che ti fagocitano la vita e le camicie da stirare. Non funziona, ma almeno non mi annoio mai. Oppure sempre, in ogni singolo momento.
_Se scrivi un post per punti, è per segnalare il singolare mash-up tra Super Mario e Pc-man. Di parodie del genere ne esistono a palate, ma per motivi ignoti questa è ipnotica. (grazie a Felson)
_Se scrivi un post per punti, è per condividere una sommessa imprecazione per la cancellazione delle date italiane dei Go! Team, nonchè di quella dei Super Furry Animals. Al posto della prima si può andare al Covo a vedere Damon & Naomi (non è la stessa cosa, ma almeno ci sono i Magpie di supporto), al posto della seconda non so, facciamo una cena da me?
_Se scrivi un post per punti è per concederti, una volta ogni tanto, un link politicamente scorretto ma bizzarramente divertente: Men who look like old lesbians. Non so perchè, ma fa più ridere di quanto sembra.
_Se scrivi un post per punti è per ricordare un po’ di appuntamenti che ti riguardano (how shamelessly self-promoting of you!):
– stasera (insieme ad Enzo) dirò qualche parola per presentare la proiezione di Souvenir of Canada, il documentario ispirato ai due omonimi libri di Douglas Coupland, all’interno della rassegna Pagine nascoste. Alle 21.00 in Sala 100fiori, Via Gorki 16, zona Corticella, Bologna (entrata dalla rotonda al termine di Via Byron, capolinea autobus 27). Ingresso 5 euro.
– venerdì sera a Get Black si parlerà di teatro, e avremo finalmente in studio Marina Pitta, già voce di tutte o quasi le nostre sigle e i nostri reading. Un’attrice teatrale e insegnante di recitazione di lungo corso come lei avrà parecchie cose da raccontarci. E, sadicamente, potremo farle leggere di tutto.
– sempre venerdì sera, a seguire, sarò in consolle al Covo (insieme a Marina), dopo il live dei sempre travolgenti Stereo Total. Una sera così ci vuole proprio.
_Se scrivi un post per punti è anche per ricordare che Google Maps e Google Earth non servono solo per cercare la strada che va dall’ufficio a quel nuovo centro commerciale, o per guardare la propria casa via satellite, ma anche per spulciare dall’alto il set di Lost, e vedere che forma ha, nel mondo reale, l’isola. E’ -tipo- un’isola.
_Se scrivi un post per punti è per assicurarti che tutti abbiano ascoltato i pezzi coverizzati dai Radiohead nella loro recente webcast: Unravel di Bjork, The Headmaster Ritual degli Smiths, Ceremony dei New Order. Tutte e tre notevoli, e tutte scaricabili da qui.
_Se scrivi un post per punti è per chiederti se lo Skypephone di Tre è una fregatura. Sì? No? Forse in effetti no. Ma boh, io aspetterei, e vedrei come va.
_Se scrivi un post per punti è per segnalare che è tornato Macromeo! Stesso talento sghembo, ma ora arrangiamenti assai più mainstream. Il successo è dietro l’angolo?
_Se scrivi un post per punti è per chiudere in bellezza, con la cover di Umbrella di Rihanna in svedese, in versione pianistico-confessional. Ella Ella Ella Eh Eh.
E’ divertente (o, a scelta, deprimente) notare come, in un paese non certo noto per la sua tradizione sindacale come gli States, lo sciopero che sta facendo di gran lunga parlare di più di sè sia quello degli autori televisivi.
L’ordine (o, a scelta, casta) che riunisce la folta schiera dei pennivendoli a cui dobbiamo tutte o quasi le poche cose del piccolo schermo che ancora seguiamo (dai talk-show stile David Letterman ai Simpson, fino ad arrivare alle millemila serie televisive dietro cui perdiamo le nostre nottate) ha incrociato le braccia da una decina di giorni, allo scopo di ottenere il rinnovo del contratto di categoria e di avere alcune garanzie assistenziali in più. Esotico quanto uno sciopero dei metalmeccanici o degli autoferrotranvieri, quindi, ma in linea di principio non meno condivisibile.
In attesa di capire se gli studios e i grandi network cederanno (o, più che altro, quanto ci metteranno a cedere), chi segue qualche serie in parallelo con gli States -come il sottoscritto- può aggrottare la fronte studiando questo schema pubblicato dal Los Angles Times che riassume la situazione dei principali programmi televisivi rispetto al numero di episodi che potranno essere realizzati fino all’esaurimento di testi e sceneggiature già portati a termine dagli autori.
Tempo qualche settimana, e i casi saranno due: o le serie rimarranno in sospeso (vi immaginate le proteste, e la quantità smisurata di soldi che i network perderanno?) o si inventeranno finali posticci e rocamboleschi, oppure a scrivere gli episodi ci si metterà la produzione o qualche banda di crumiri. Visto lo sfascio narrativo che molte serie hanno già in partenza, vi immaginate quanti casini riuscirebbero a fare? Masochisticamente, sono quasi curioso.
Però, pensateci. Magari sarà la volta che di Lost capiamo davvero qualcosa, oppure che il Dr. House incontra un caso semplice, che Heroes oltre alle trame inizia a copiare dagli X-men anche i dialoghi e i personaggi, e che di fianco alle Desperate Housewives si trasferisce un nuovo vicino senza orribili segreti nel suo passato. Per una volta. non sarebbe quasi liberatorio?
In qualche misura Josè Gonzalez e Greg Dulli sono figure artistiche simili. Pur con le ovvie, enormi, differenze di stile, presenza ed esperienza, il cantautore svedese e il rocker americano sono tra i rari musicisti ad aver avuto la capacità di sviluppare uno stile proprio che gode della reiterazione dei suoi fondamenti e non ha alcun bisogno di evoluzione o miglioramenti nel corso degli anni. Uno stile talmente distintivo che, per entrambi, si nutre costantemente dela musica degli altri, trasformandola ogni volta in un nuovo pezzo del proprio repertorio, qualcosa di fedele all’originale eppure inesorabilmente diverso, che trova contiguità con cose che tutto gli sarebbero tranne che vicine, e così facendo rivela cose decisive sia del suo autore che del suo nuovo interprete. Forse è proprio per questo che recentemente Dulli (con i suoi Twilight SIngers) ha interpretato la recente, ottima, Down the line di Josè Gonzalez e che entrambi, nelle loro carriere si sono cimentate con dei pezzi dei Massive Attack; che sono equidistanti da entrambi. Ma che hanno anche loro stile da vendere.
The Twilight Singers – Down the line (Josè Gonzalez cover – live) (MP3)
Bonus:
The Twilight Singers – Live with me (Massive Attack cover) (MP3)
Il primo forse non lo sa, ma per certi versi Sacra famiglia mi fa pensare a lui.
La seconda non ha mai letto Microservi (solo quello) perchè esige di mettere le mani su una copia tutta sua (non lo vuole neanche prestato) ma il libro è fuori catalogo; e considera questa cosa come una delle più grandi tragedie della sua vita.
Il terzo non so neanche se lo conosce o meno, quel che è certo è che è un personaggio che sembra uscito direttamente dalle pagine di Fidanzata in coma.
Il quarto ha letto TUTTO, e sul suo blog ha persino una categoria apposita.
I quattro cavalieri dell’Apocalisse di Get Black e Douglas Coupland. Era destino.
Venerdì a Get Black parliamo di Douglas Coupland, e i motivi per farlo ci sono tutti. All’inizio del mese negli States è uscito il suo ultimo romanzo, The Gum Thief, che segna il ritorno a quel realismo tendenzialmente intimista che gli ultimi romanzi surreali avevano lasciato da parte (ed è un bel ritorno, fidatevi). In Italia, invece, è appena uscito Hey Nostradamus, che era ancora inedito nonostante risalga a diversi anni fa (io l’avevo letto in originale, parere esteso: 1 – 2). Pochi mesi fa invece era stata la volta di Everything’s gone green, il primo film nato da una sua sceneggiatura originale; un esperimento forse non completamente riuscito, ma che dà vita ad alcune delle ossessioni e degli scenari dell’autore canadese in maniera inaspettatamente interessante. E come non citare Souvenir of Canada, il documentario tratto dai due omonimi libri di Coupland, che tenta di spiegare al mondo (e, soprattutto, ai canadesi) cosa significa provenire da questo bizzarro, sterminato, paese? Come già anticipato giovedì 15/11 il documentario sarà proiettato a Bologna (al Polo Culturale Gorki Centofiori, in Via Gorki 16, alle 21), ed io (con Enzo) avrò l’onore di dire qualche parola di presentazione.
E non è finita qui. Venerdì a Get Black parliamo di Douglas Coupland, e lo facciamo nientemeno che con Fabio De Luca. Giornalista, scrittore, deejay, blogger, tumblrer e da sempre devoto couplandiano, Fabio sarà in città in occasione del Vitaminic Restyling Party (per cui salirà in consolle al Covo insieme alla redazione della webzine dopo il live degli Asobi Seksu), e ci farà l’onore e di esplorare con noi (con il nostro solito stile semiserio -o, che dir si voglia, cazzone) vita e opere dello scrittore canadese. E non mancherà ovviamente di raccontarci il suo recente viaggio-pellegrinaggio in Canada (documentato nel suo tumblr: 1 – 2), in cui ha esplorato a dovere molti dei luoghi cari a Coupland. Appropriatamente, per il Quiz Black regaleremo una copia di Discoinferno, ottimo ultimo libro di De Luca che è tra i migliori saggi socio-musicali mai usciti in Italia (altre parole di lode qui).
Vi serve altro, per decidere di esserci?
[i contatti sono i soliti: diretta dalle 21 alle 22.30 sui 103.100 MHz in FM a Bologna e dintorni, oppure in streaming nel resto del globo. Podcast tra qualche giorno scaricabile da qui. Feedback in diretta su black AT getblack.it e SMS al 333 1809494]
Il titolo, In our bedroom after the war, è perfetto, e potrebbe stare tra gli esempi utili ad illustrare in un vocabolario la voce «indie-pop». Un paio di classici, mandati a memoria e lì per sempre incisi, li hanno scritti. La band ha repertorio e personalità, e porta in giro un live niente male. In più, sono canadesi, e la cosa non guasta mai. Perchè allora gli Stars stanno cominciando a diventarmi insopportabili?
Dev’essere perchè il loro ultimo disco è fastidiosamente deludente, con ogni probabilità. Un singolo trascinante (Take me to the riot), un paio di ballate pianistiche da manuale (Personal, a doppia voce, e la toccante-a-tavolino Barricade), come da manuale è il loro effetto spaccacuore, poi quasi più nulla. Ho tentato in tutti i modi di azzerare le aspettative (diventate enormi dopo che il precedente Set yourself on fire mi aveva fatto letteralmente secco – cfr. qui e qui) e di farmelo piacere, di ignorare la blanda inoffensività della maggior parte dei pezzi, la povertà di scrittura, la scarsa personalità, e di non pensare alla bellezza dei vecchi classici Your ex-lover is dead ed Elevator love letter, ma non c’è stato verso.
Può la sindrome del fan deluso -come quella dell’amante deluso- portare a sviluppare un’intolleranza del genere? O era predisposizione, e i vecchi dischi erano una miracolosa eccezione? Oppure -davvero- sono proprio gli Stars che stanno diventando oggettivamente insopportabili?
Ma soprattutto, c’è in giro qualcuno che la vede nello stesso modo, o devo preoccuparmi?
[Per tutti gli altri, intervista e altri due pezzi sul sito della Minnesota Public Radio]
Stars – Personal (live on The Current, nov 2007) (MP3)
Stars – Take me to the riot (live on The Current, nov 2007) (MP3)
[How indie are you? Emo? merita un post tutto per sè (grazie al commentatore anonimo de post precedente, ottima segnalazione). Assolutamente esilarante.]
Forse è un po’ fredda, la libreria Petek , ma il suo fascino è indiscutibile. «Petek» vuol dire alveare in turco, ma a me fa pensare più a qualche architettura industriale, tipo dei piloni elettrici, o un grattacielo in costruzione. E’ stata creata dagli stesso tipi che mettevano i libri in verticale. Sempre sospesi nel vuoto, qualcosa vorrà dire.
Un post che comincia con il culo di Scarlett Johansonn negli opening titles di Lost in translation non può che cominciare bene. Soprattutto se, come in questo caso, è un post mirato principalmente a segnalare che è finalmente uscito il singolo di uno tra i pezzi più ascoltato dell’anno da queste parti: Starlett Johansonn dei The Teenagers. Proprio il pezzo in cui i 3 hipster erotomani (ricordate?) dichiarano il loro eterno amore a quella che è forse l’unica vera icona cinematografica femminile della nostra generazione (anzi, già della generazione più giovane della nostra, temo), pezzo che circola da mesi in versione demo e che ora -dopo essere stato lucidato a puntino- è finalmente uscito in forma ufficiale. Anche se, come al solito, era meglio il demo.
La canzone ora ha anche un video, che potete vedere qua sotto, e che alterna dissolvenze incrociate di rara bruttezza con la bella idea di proiettare la band -e le sue tutine un po’ new-rave- sulla schiena nuda dell’attrice (o chi per lei), appena sopra le mutandine rosa che con tutta evidenza citano proprio l’immagine di Lost in translation. Come sembrano dire The Teenagers, per una volta con poca spocchia e molta naiveté, ogni tanto lasciateci sognare.
The Teenagers – Starlett Johansonn (single version) (MP3)
Era da un po’ che non ridevo per segnalazioni così stupide eppure brillanti come quelle di Star Walls, il blog dedicato alle scritte sui muri (e affini). La cosa che merita di più sono i titoletti. Grazie a Mattia per la dritta.
[il titolo del post è una splendida scritta che c’era non lontano da casa mia fino a qualche anno fa. C’era tutto un filone sul tema, in giro per il quartiere]
Avete presente Banksy, il fantomatico e famosissimo street artist (di cui parlammo qui) dall’identità misteriosa e dalle opere che valgono ormai cifre astronomiche?
Pare che, nonostante la fitta nube di mistero che da sempre lo circonda, rencentemente l’abbiano beccato mentre era all’opera.
Sarà davvero lui? E’ la stessa persona ritratta in questa foto, che millanta conferme ufficiali? E, a sua volta, è poi lo stesso che era stato svelato -e poi smentito- qualche anno fa?
Oppure, come dicono molti, Banksy è ormai talmente ricco e famoso che non va più in giro da solo, e si occupa solo del design delle opere, mandando altri a fare il lavoro sporco per lui?
I Radiohead hanno messo fine a settimane di speculazioni confermando di aver raggiunto un accordo con l’etichetta inglese XL Recordings per la pubblicazione fisica del loro nuovo disco, "In Rainbows". […]
Non è ancora stata diffusa una data di pubblicazione, ma diverse fonti suggeriscono che potrebbe coincidere con l’arrivo dell’edizione "discobox" dell’album, disponibile solo su Radiohead.com dal 3 Dicembre. Altri suggeriscono che potrebbe non succedere prima del prossimo anno.
La band aveva sconvolto le regole dell’industria discografica rendendo disponibile "In rainbows" in download il 10 Ottobre, dando ai fan la possibilità di pagare il prezzo da loro desiderato. [Billboard]
Un fan, per definizione, non può pensare male dei propri idoli.
Un fan dei Radiohead, per definizione, è quanto di più vicino a un fondamentalista religioso che si possa trovare nel mondo della musica di questi tempi, e ha cieca fiducia nell’operato di Yorke e soci.
Thom Yorke, poi, con quella faccia storta che si ritrova ha l’aria di essere talmente naif che se qualcuno non si prendesse cura di lui, si lascerebbe morire di fame mentre programma la drum-machine o scrive pamphlet contro l’inquinamento. Thom Yorke è puro.
I Radiohead sono BUONI, è chiaro.
Epperò.
Tentiamo di non pensare che sono i Radiohead (facciamo finta che siano un gruppo cattivo, tipo, non so, i Metallica), e limitiamoci ai fatti:
– la band ha ottenuto soldi (e neanche pochi, si parla di circa un milione di dollari) e un’enorme pubblicità per una cosa che succede a tutti: l’early leak del disco, prima della data di uscita della copia fisica;
– la band ha suggerito (se non apertamente affermato) che l’unica copia fisica del disco sarebbe stata la costosissima versione deluxe messa in vendita nel sito, che costa poco meno di 60 euro e contiene anche parecchie cose abbastanza inutili (la versione del disco sia in vinile che in cd, la versione digitale dell’artwork), incassando quindi anche moltissimi ordini dei fan che non volevano limitarsi alla misera copia digitale;
– dopo essersi goduta la pubblicità gratuita, il clamore, e la stima di tutto il mondo (e i soldi, eh), la band annuncia innocentemente che il disco uscirà anche nei negozi, come sempre.
Ne abbiamo parlato tutti come di una rivoluzione, e rimangiarsi la parola fa sempre un po’ male. Ma ora non posso fare a meno di pensare: non sarà che quella a cui abbiamo assistito è stata solo una grande, perfetta, operazione di marketing? Non sarà che i Radiohead hanno trovato un modo geniale per farsi pagare per una cosa che di questi tempi succede a tutte le band? Non sarà che con la versione deluxe si siano esosamente voluti approfittare dei fan che, pur di avere qualcosa di fisico, hanno comprato un box (che forse non vale quanto costa) in misura molto, molto maggiore di quanto avrebbero fatto se si fosse saputo che il disco sarebbe stato pubblicato anche in versione normale?
Non sarà che ci siamo proprio fatti fregare?
Notevolissimo: 100 reasons why you’re still single.
Una selezione:
#2: Credi all’effetto Axe.
#15: Sei tu quello che dà il via al trenino.
#10: Sei Courtney Love.
#32: Tieni un diario dei tuoi sogni.
#52: Hai più di zero pelouches sul letto.
#62: Hai scritto "Dungeon Master" sui tuoi biglietti da visita.
#69: Hai un soprannome che fa rima.
#60: Consideri i Maroon 5 "il tuo gruppo"
[e sempre tra le ottime liste di Radar Online: 50 things you should never say (#1: Questa è la mia canzone preferita dei Creed. #9: Scusa, è solo che questa suoneria mi ricorda la mia ex… #47: Sono sempre stato il tipo da deodorante facoltativo) e 100 Self-Help books you can do without (#14 101 cose che avresti potuto portare a termine se avessi viaggiato indietro nel tempo fino al momento in cui hai cominciato a leggere il titolo di questo libro #39 L’orgasmo maschile elusivo #41 La risoluzione dei conflitti: il metodo Pol Pot #66 Sei sicuro che vuoi il secondo? Instillare disordini alimentari nei tuoi figli)]
Ok, Halloween è una festa stupida, lo sanno tutti.
E’ una pacchianata senza molto senso importata dall’estero, non appartiene alla nostra tradizione, e l’idea del travestimento orrorifico è eccitante più o meno quanto indossare un abito da cocktail o una tuta della Nike di poliestere come le facevano negli anni ’90 (ed è comunque decisamente più semplice non sembrare un cretino). Però, in effetti, è una vita che non mi capita di andare a una festa di Halloween vera, di quelle che alla ricorrenza ci credono, sono tutti mascherati a tema e la musica fa del suo meglio per indulgere nel gotico o nell’orrorifico. Per dire, noi stasera si va tutti al Covo a vedere gli Amari, e ho i miei dubbi che il Pasta si presente dul palco vestito da Zombie, Dariella da Vampiro (anche se boh, chi può dirlo) e che il set venga rimpiazzato da una scaletta interamente composta da pezzi di Claudio Simonetti.
Quindi la musica a tema me la devo procurare da solo; e a questo punto cosa è meglio delle quattro parti della compilation di Halloween di Music You won’t (Possibly) Hear Anywhere Else (1 – 2 – 3 – 4)? Sono quasi tutti pezzi piuttosto vecchi e piuttosto ignoti. Perchè se li conosci già, ti fanno meno paura..
Si può essere sconfinatamente pieni di ammirazione nei confronti di una persona e insieme malignamente dubbiosi per la sua sanità mentale? Il creatore di TheDianaMistery.Com mi suscita proprio questa reazione. Quest’uomo ha evidentemente parecchio tempo libero, e ha deciso di investirlo per dimostrare al mondo l’esattezza della sua inquietante teoria: Morrissey è strettamente collegato alla morte di Lady Diana.
Le prove sono schiaccianti: dai testi di The Queen is dead (sì, anche quello di Vicar in a tutu) alla copertina del best Singles, dalle circostanze della morte di LadyD (come il numero del pilone su cui si è schiantata l’auto, o il monumento che sta sopra il tunnel dell’Alma) ad alcune dichiarazioni rilasciate negli anni da lui o da lei. Per i dettagli guardate il video qui sotto e spulciate il sito, che contiene una tale quantità di perle deliranti che alla lunga quasi il dubbio te lo fanno venire. A testimonianza del fatto che, con abbastanza tempo ed energie a disposizione, è possibile dimostrare (quasi) qualunque teoria balzana.
Le Estati adolescenti che non abbiamo vissuto
Secondo voi è vero che gli indie-rocker hanno avuto, in media, tutti un’adolescenza triste? E’ vero che (quasi) tutti erano accomunati dalla sensazione che, mentre intorno a loro gli amici scoprivano le gioie del sesso e di una vita sociale appagante, e loro invece al massimo scoprivano la new wave, il cinema d’autore e le sbronze tristi, l’adolescenza fosse una lunga e sadica tortura che sarebbe finalmente finita solo con l’università? E’ per questo che ora, abbondantemente passati i 20 (o i 30, o i 40), gli indie-rocker non fanno che cercare surrogati dell’adolescenza che avrebbero voluto vivere, senza essere in grado nè di chiudere i conti col passato nè di evolvere completamente allo stadio successivo?
Difficile non perdersi in pensieri simili ascoltando A sky with no stars, l’esordio dei Canadians. Che a dispetto di quel che evoca il nome della band o la sua provenienza (Verona) è un unico grande inno pop all’adolescenza di celluloide, meglio se al sole della California, che non abbiamo mai vissuto. E’ un disco forte, con un sound omogeneo che ha come pregio il fatto di non essere per nulla personale, e alcuni ottimi pezzi fatti apposta per il sing-along dolceamaro del twenty-something nostalgico che spera di essersi finalmente meritato i party in piscina e i triangoli amorosi che non ha vissuto quando avrebbe dovuto.
Ascoltare Summer teenage Girl, The noth side of Summer o 15th of August mentre fuori dalla finestra dell’ufficio piove da 36 ore, le foglie cadono, e il cielo su Bologna è triste e incolore come sa essere solo negli autunni padani, è molto straniante, ed è un esercizio di immaginazione non da poco. La band sta già riscuotendo il successo che è proprio alla musica adolescenziale, e questa è una certezza; ma in questo caso, anche se molti non se ne accorgeranno, c’è qualcosa di più, un velo di consapevolezza che le cose spesso non vanno come si vorrebbe, e che bisogna approfittare dei momenti buoni perchè le seconde possibilità, se ci sono, non vengono mai a caso.
E spesso capitano proprio quando il cielo senza stelle è quello di una giornata piovosa di autunno, dalla finestra dell’ufficio, sognando la California, o forse solo la propria adolescenza.
[i Canadians suoneranno stasera al Covo (a seguire -come già detto- io e Marina a mettere i dischi al Gate 1), ma hanno anche un bel po’ di altre date in giro per l’Italia]
Canadians – 15th of August (MP3)
Canadians – Summer teenage girl (MP3)
_Domani sera a Get Black, tra le altre cose, si parla di Cosplay. In studio con noi l’autorità della materia Luca Vanzella e al telefono Michele Vaccari, autore del primo romanzo sull’argomento (Italian Fiction, appena uscito per i tipi di ISBN). Romanzo che è anche il premio del Quiz Black della settimana.
Per dettagli (e ossessioni erotiche catodiche ed adolescenziali) la valletta anziana Francesca presenta la puntata sul blog di Get Black.
_Sempre domani sera, dopo Get Black, il sottoscritto sarà al Covo a mettere un po’ di dischi (al Gate 1, con Marina) dopo il concerto dei Canadians. Ho già messo in borsa un paio di dischi dei Weezer.
_Il sabato successivo (il 3 Novembre) invece sarò in consolle a Lucca, ospite del party annuale organizzato da Self Comics in occasione della fiera Lucca Comics & Games. Tutti i dettagli sul flyer.
_Last but not least: come anticipato, tra qualche settimana avrò l’onore dare il mio contributo alla presentazione del documentario Souvenir of Canada di Robert Neinstein, in cui Douglas Coupland presenta il suo paese e le sue peculiarità. Io ed Enzo Polaroid, da bravi fondamentalisti couplandiani, vedremo di dare un po’ di contesto al documentario, e di fornire qualche spunto per collegarlo al resto della produzione letteraria dell’autore canadese. La proiezione avrà luogo giovedì 15 Novembre alle 21 al Polo Culturale Gorki Centofiori, in Via Gorki 16 a Bologna, all’interno di Pagine Nascoste, la Rassegna cinematografica del Festivaletteratura di Mantova. Tra gli altri film in rassegna ci sono Zizek! di Astra Taylor (stasera) e Who killed Walter Benjamin di Mauas (l’8/11).
[per vedere il video è necessario scaricare il plug-in divX per web. Lo merita, fidatevi]
Poco più di questo, oggi: quattro canzoni suonate in solitaria da Polly Jean Harvey sulla tv danese, e una bella intervista con la cantautrice del Dorset insolitamente in vena di chiacchiere. The Devil per piano e metronomo, una meravigliosa e spettralissima White Chalk con tanto di armonica, Grow Grow Grow per autoharp e organo a pedale, e Silence, un tuono. Con pezzi e interpretazioni di una potenza del genere, qualunque commento è inutile rumore di fondo.
PJ Harvey – The mountain (Live solo @ NYC, 10-10-2007) (MP3)
PJ Harvey – Send his love to me (Live solo @ NYC, 10-10-2007) (MP3)
Come forse saprete, il sottoscritto non ha mai letto (nè ha intenzione di farlo) i libri della saga di Harry Potter. Libri che, fino ad ora, hanno venduto nel mondo circa 325 milioni di copie tanto che, tra quanti non li hanno mai letti, c’è anche chi -come Chuck Klostermann sull’ultimo numero di Esquire– ha paura di rimanere tagliato fuori.
Come forse saprete, una manciata di giorni, fa J. K. Rowling ha rivelato che uno dei personaggi centrali della saga del maghetto di Hogwarts, Albus Silente (Dumbledore, in inglese), era gay. Due giorni dopo è già spuntato fuori un sito (Dumbledore Pride) in cui vengono vendute t-shirt ironiche sulla cosa. Quattro giorni dopo le parodie impazzano per tutta la rete (come questa finta copertina di People), e le t-shirt vendute sono già a quota settemila.
….rimanere tagliati fuori? Naaaa.
Fiamme (e tempeste) in un bicchiere
Finalmente gli Amari sono arrivati al punto. Dopo una gavetta che più lunga non si può, lo status perenne di prossima band indipendente pronta al salto verso il grande pubblico dello stivale e almeno un ottimo disco che ha ottenuto un decimo della visibilità che meritava, i friulani dalle 7 vite hanno finalmente dato alle stampe il loro disco più compiuto. Scimmie d’amore ha gli anthem (Le gite fuori porta, in cui l’indimenticabile entrata del synth apre a un ritornello da ginnasio nichlista), le rime, le ballad strappacuore (30 anni che non ci vediamo), le chitarre (Arpegginlove), i beat al posto giusto, e un memorabile equilibrio tra geekness e coolness.
Ma soprattutto ha la maturità di una band che può permettersi di parlare -a modo suo, si capisce- di lavoro (Manager nella nebbia) o camicie stirate (la mia preferita, Fiamme in un bicchiere) senza scomporsi neanche un po’. Diventare grandi, quindi, ma con stile. Che è esattamente lo stesso che dicono -e dimostrano- altri due grandi dischi usciti quest’anno (LCD Soundsystem e Modest Mouse). Certe stroncature gratuite, poi, sono il segno che si comincia a colpire nel segno, e che il momento è propizio per raccogliere quanto si è seminato.
Chi semina vento, da copione raccoglie tempesta; purchè ovviamente sia in un bicchiere. Se giocassimo e basta?
[A latere, nella puntata di Get Black del 2 Novembre metteremo in palio lo Scimmie d’amore Pack, composto da 2 cd (Scimmie d’amore e Grand Master Mogol), T-shirt e poster. Sul sito è già sold-out, non perdete l’occasione per accaparrarvene uno degli ultimi esemplari]
Amari – Fiamme in un bicchiere (MP3)
Perdonate la sortita in stile svergognata colonnina blu*, ma l’idea giapponese dei nascondigli urbani indossabili per sfuggire alle aggressioni notturne è quasi troppo bella per essere vera. E della spettacolare borsa-tombino non vogliamo parlare?
[* colonnina che peraltro, ora che ci penso, potrebbe anche aver già trattato la notizia. Ho smesso di leggere Repubblica.it quindi non ne ho idea]