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Raramente da queste parti ci sono stati Natali meno natalizi di quello che di qui a qualche giorno si impossesserà delle nostre giornate, per poi sparire in un baleno in un tedio di pile di panettoni in offerta.
«I don't feel very Christmassy at all», potrei dire, così come fanno i The boy least likely to nel loro disco speciale di Natale che, da ultimo arrivato in un genere molto affollato e squisitamente stagionale, rischiano invece di convincere come e più di tutti gli altri. Chi più di una band piccola piccola che ha fatto del recupero dell'infanzia e della naivetè più pucci la sua estetica può parlare di una festa che quando smetti di credere a Babbo Natale perde più o meno la totalità del suo fascino? Continuano a sembrare una band fuori dal mondo e dal tempo (e poi invece scopri che uno dei due lavora da Rough Trade, nel cui negozio di Brick Lane qualche giorno fa ho appunto comprato il disco), poi tra una ballad sulla neve e canzoni di auguri ci infilano pure un'omaggio a Last Christmas in cui George Michael e Andrew Ridgeley si incontrano al pub la vigilia di Natale e ricordano gli anni passati insieme nei Wham. Che per un secondo ti viene quasi voglia di crederci ancora.
Da Trovarobato fanno le cose per bene. La famosa etichetta indipendente bolognese fa un regalo ai suoi ascoltatori e mette in piedi Songswap:
Nel pieno caldo del luglio emiliano, Trovarobato ha pensato a un dono per i suoi ascoltatori da condividere nel periodo natalizio.Perché già a luglio un progetto per natale?Perché Trovarobato conosce i tempi dei suoi artisti.Ma soprattutto perchè crede che il vero spirito di un’etichetta discografica risieda nella possibilità di far incontrare i propri artisti, di farli conoscere e invitarli a collaborare vicendevolmente: è dall’ibridazione che nascono quasi sempre le cose più sorprendenti.Il risultato è una ricombinazione di brani e musicisti sia di Trovarobato che di Parade, la sottoetichetta dedicata all’esplorazione delle “musiche altre”. Quattordici tra band e artisti della scuderia si sono quindi confrontati su brani l’uno dell’altro interpretando e rielaborando in forma del tutto inedita canzoni spesso molto distanti dalle proprie sonorità.Un tributo al sound distintivo delle produzioni Trovarobato, indefinibile e vario, che prova rivelarne i sotterranei legami concettuali (quando non sonori).Trovarobato Songswap è una compilation in free download raggiungibile dal sito ufficiale dell’etichetta www.trovarobato.com.Trovarobato Songswap è anche e soprattutto un regalo per festeggiare la nascita del nuovo sito Trovarobato, una postazione web che cerca di comprendere tutta la galassia Trovarobato.Trovarobato Songswap è l’uscita che anticipa il lancio di Trovarobato Netlabel.Per chi invece amasse tuttora il contatto con il supporto fisico, Trovarobato ha deciso di mettere a disposizione dei fan un’edizione limitata e numerata di Trovarobato Songswap su nastro magnetico o musicassetta che dir si voglia.
Il resto delle info sono qui. Il sottoscritto ha l'onore di partecipare a una serie di anteprime del disco (le altre su Polaroid, Stereogram e Italian Embassy). Poi da stasera, e per tutta la settimana natalizia, tutto il disco sarà in streaming su XL.
La canzone qua sotto è Sofa degli Addamanera reinterpretata dai Mariposa, i fondatori dell'etichetta. Buon ascolto.
Ciao, oggi è il mio compleanno, e per festeggiare me ne vado a Londra per qualche giorno. Consigli, dritte e pacche sulla schiena sono i benvenuti.
Cosa rispondereste se vi chiedessi a bruciapelo quali sono i vostri versi di canzone dell'anno? A me, senza stare a pensarci troppo (potrei metterci MESI) sono venuti in mente questi.
[Ditemi anche i vostri, se vi va]
Drunk girls know that love is an astronaut:
it comes back but it’s never the same
(LCD Soundsystem, Drunk Girls)
MP3 LCD Soundsystem – Drunk girls
Io non ti cerco
Io non ti aspetto
Ma non ti dimentico
(Massimo Volume, Le nostre ore contate)
MP3 Massimo Volume – Le nostre ore contate
So keep your heart strong
and love long
and give kisses when you can
(Kisses, Kisses)
MP3 Kisses – Kisses
Primo; non avrai altro Dio
che le tenebre da attraversare
nella nota stonata di tromba
delle scale
(Perturbazione, Primo)
She makes my heart beat the same way
as at the start of Blue Monday
Always the last song that theyplay
at the indie disco
(The Divine Comedy, At the indie disco)
Piccole cose che fanno i veri nerd felici: il blog americano Mighty God King in questi giorni ha lanciato la Alignment Chart Week, ovvero la settimana in cui l'hobby è pubblicare la categorizzazione del mondo (nello specifico, dei personaggi delle serie tv) secondo gli allineamenti di Dungeons and Dragons (se non sapete di cosa sto parlando, non siete dei veri nerd). Qua sotto quelle di Mad Men e Big Bang Theory, ma sul sito ci sono anche quella di The Wire (che è un po' spoilerosa, per questo non ve la metto), 30 Rock, Arrested Development e alcune altre. Molto ben fatte.
(via)
[Clicca per ingrandire]
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Proprio nei giorni in cui la celeberrima Hipstamatic viene nominata (meritatamente, direi) la App of the year e mentre tutti parlano della (effettivamente fighissima, quando funziona) Viber, la vera Mobile app to have (per ora solo per iPhone; niente Android, Blackberry & co) è diventata indubbiamente Instagram.
Sorta di ibrido tra Twitter (da cui prende la timeline degli aggiornamenti e la struttura di social network con follower e following), Foursquare (a cui si connette, se lo si vuole, per la geolocalizzazione) e, per l'appunto, Hipstamatic (di cui clona l'applicazione di filtri di stile analogico alle foto), Instagram non inventa niente ma compone in forma perfetta una serie di funzionalità legate alla produzione e alla condivisione social di foto che riempe un vuoto e diventa più della somma delle sue parti. In un mondo in cui Twitter e affini spopolano, una piattaforma che consente di condividere con i propri amici una sorta di status fotografico (in modo incommensurabilmente più funzionale di Twitpic e affini), consentendo a chiunque, grazie ai filtri, di scattare foto un più interessanti di quelle normalmente prodotte con uno smartphone e spostando così il focus dalle mere velleità di testimonianza e vanto al tentativo di produrre foto in qualche modo belle e significative, è davvero l'uovo di Colombo.
E infatti pare che gli iscritti siano già intorno al milione, con una nutrita compagine italiana e un altissimo tasso di additività. A me per il momento piace e diverte molto (mi ci trovate ovviamente con il nome inkiostro; metterei il link al mio profilo, ma non mi risulta esista un'interfaccia web quindi se non avete un iPhone dovete limitarvi a immaginare le foto che ho caricato. Settario, lo so) e ho il sospetto che non me ne stancherò tanto presto.
Sono 4 anni che non pubblico sul blog la mia classifica dei dischi dell'anno (l'ultima volta era stata nel 2006 e, per la cronaca, nei tre anni successivi in cima probabilmente ci sarebbero stati Sound of SIlver degli LCD Soundsystem per il 2007, For Emma, forever ago di Bon Iver per il 2008 e Girls dei Girls per il 2009) e il bello di avere un blog è che puoi fare quello che ti pare per i motivi che ti pare e non devi spiegare niente a nessuno (io, per dire, semplicemente non ne avevo voglia). Quest'anno, invece, mi va, quindi procedo senza altri indugi a presentarvi la top ten dei miei dischi del 2010:
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LCD Soundsystem – This is Happening (DFA Records) |
L'unico problema della band di James Murphy è quello di aver già scritto varie canzoni a dir poco epocali (Losing my edge, tipo) e di aver pubblicato tre anni fa un disco a dir poco inarrivabile (Sound of silver), e con precedenti del genere non deludere almeno un po' è pressoché impossibile. Quando arrivi alla fine dell'anno e rimetti su il disco, però, la classe è sempre lì, e lasciarli fuori dalla top ten proprio non si può.
MP3 LCD Soundsystem – All I want
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Spoon – Transference (Merge Records) |
Ed ecco un'altra band che non ha più niente da dimostrare: in anni di onorata carriera gli Spoon si sono affermati come uno dei punti di riferimento della scena indie, con una personalità solida e distintiva, una straordinaria capacità di sperimentare senza abbandonare i confini della struttura pop e una serie di pezzi che sono ormai diventati dei piccoli classici. Gli è però sempre mancato il disco perfetto, quello della consacrazione; e purtroppo Transference non fa eccezione. Ma come al solito ci va vicino, talmente vicino che la sensazione è quella che al podio manchi oramai pochissimo.
MP3 Spoon – Who makes your money
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Wavves – King of the beach (Fat Possum Records) |
In un anno in cui sembrava che per fare un disco fossero necessari almeno tre strati di distorsioni, quattro diversi tipi di riverbero, due filtri per la voce e una produzione stile cassetta lasciata chiusa nel cruscotto di una macchina parcheggiata al sole per un mese, quel cazzone di Nathan Williams ha spiazzato tutti facendo la strada al contrario: via tutto il lo-fi delle produzioni precedenti, in bella vista rimane una saldissima vena pop, declinata ora in chiave surf ora in chiave post-grunge, col rumore che crepita sotto, pronto a esplodere, e la voglia di fare casino come un ragazzino sulla spiaggia.
MP3 Wavves – King of the beach
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Mike Patton – Mondo Cane (Ipecac Recordings) |
Mike Patton ormai può fare quello che vuole, e se tra una suite rumorista dei Fantomas e un tour mondiale di reunion con i Faith no more ci infila un disco di cover di classici italiani degli anni d'oro della musica leggera del bel paese io, quanto meno, mi sento un po' fortunato. Tanto più se l'omaggio è così ben fatto, filologico senza essere agiografico, creativo senza essere a tutti i costi artistico, ben calibrato senza essere fastidiosamente studiato ma soprattutto cialtrone, gigione e paraculo senza essere una presa per il culo. Più italiano degli italiani, in qualche modo: a quando la cittadinanza onoraria?
MP3 Mike Patton – Il cielo in una stanza
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Suzanne Vega – Close-up, Vol. 1 – Love songs (Amanuensis Productions) |
Se non è da sempre, sicuramente è da molti anni che Suzanne Vega è fuori dai giri cool (provate a cercarla su Pitchfork: zero risultati). Una carriera lunga e lentissima (7 album in 25 anni), intermezzata da anni di silenzio e da una vita placida lontana da ogni tentazione di jet set (anche di quello indipendente). Nel 2010 è tornata in studio, non per incidere materiale nuovo ma per dare nuova veste e nuova vita a molte delle canzoni pubblicate negli anni, spesso non valorizzate da arrangiamenti inutilmente barocchi e produzioni pallide figlie dei loro tempi. Qua c'è la voce, la chitarra e il minimo indispensabile di strumenti per dare personalità al sound: il resto è la canzone, nuda, con melodie bellissime e testi inarrivabili. Un disco nuovo.
MP3 Suzanne Vega – Some journey
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Girls – Broken Dreams Club (True Panther Sounds) |
E' un EP, lo so, ma vale di più del 99% dei long playing che ho ascoltato in questo 2010. Le sei canzoni scritte e incise da Christopher Owens e Chet White sono piccoli gioielli di indie macchiato di suggestioni 60s, che fanno seguito in modo perfetto al bellissimo disco d'esordio dell'anno scorso e rivelano un'ispirazione che là fuori sono in pochissimi ad avere. Diventeranno grandi, secondo me. Ma forse lo sono già.
MP3 Girls – Thee oh so protective one
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Arcade Fire – The Suburbs (Merge Records) |
#culto #epica #messapagana #migliorlivebandelmondo #canzonidapaura
Vabbé, dai.
MP3 Arcade Fire – Ready to start MP3 Arcade Fire – We used to wait
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Massimo Volume – Cattive abitudini (La Tempesta Dischi) |
Il miglior disco della carriera dei Massimo Volume arriva dopo anni e anni di pausa. Il miglior disco italiano del 2010 arriva da una band che per tutti è una delle portabandiera del rock italico di due decenni fa. Vuol dire qualcosa? Lasciamo stare gli ovvi paragoni col vino che invecchiando migliora, o le riflessioni sulla situazione un po' allo sbando della scena indipendente nazionale (che in realtà non se la passa male, ma che in passato faceva molti più dischi che mi coinvolgevano) e inchiniamoci di fronte a quello che Mimì, Vittoria ed Egle sono riusciti a costruire. Non gli si trova un difetto, è un monolite compatto di musica ed emozioni, lo spoken-word non è un limite e quasi non te ne accorgi neanche. C'è il drumming (ENORME), le chitarre che grattugiano, le parole e la voce di Mimì. Confrontateli con le band a loro coeve e PIANGETE.
MP3 Massimo Volume – Le nostre ore contate
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Caribou – Swim (Merge Records) |
Si è giocato la prima posizione fino all'ultimo, perché qui dentro c'è tanta di quella roba da lasciarti secco. C'è un sacco di elettronica e un sacco di indie-rock, c'è musica che potrebbe essere da rave se non fosse quasi interamente suonata, e se non lo fosse da un personaggio che ti immagini più come professore di matematica che come DJ o musicista. Dan Snaith di matematica evidentemente ne sa ma l'applica alla musica, e su un palco suona tre strumenti alla volta, suda e ha un tiro che tantissime band si sognano. Un disco che non mi stanco mai di ascoltare (neanche nella sua versione remix), ed è una cosa che non mi succede quasi mai.
MP3 Caribou – Sun
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The National – High Violet (4AD Records) |
Se avete davvero ascoltato High Violet, probabilmente non c'è bisogno che io vi spieghi per quale motivo l'ho messo al numero uno. E' contemporaneamente Il miglior disco indie-rock dell'anno, e il miglior disco di crooning d'autore, ci sono l'amore, la vita, la morte, le chitarre, l'umore tetro e l'umorismo amaro, la maturità, l'alcool, il rock quello vero, una tristezza lacerante che può essere piena di speranza ma anche nera come la pece (anzi, viola). Non ne escono tanto spesso, di dischi così belli.
MP3 The National – Bloodbuzz Ohio MP3 The National – Anyone's ghost
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Le Au Revoir Simone noi le amiamo a priori, quasi più per motivi estetici (nel senso più ampio del termine: dal più basso commento da bar per l'avvenenza delle tre figliole al sublime piacere per la raffinata grazia preraffaelita -e un po' nerd- che emanano suonando le tastiere casio e cantando all'unisono) che per motivi strettamente musicali. E loro, a occhio, lo sanno: tanto che da un po' le loro attività uniscono alla musica sempre una forte componente altra. Per il video di Knight of wands, ad esempio, le tre fanciulle di Williamsburg hanno messo in piedi un video interattivo colorabile (qua in versione non interattiva) che è semplice ma funziona a meraviglia. E nel mio caso ha anche sortito l'effetto di farmi riprendere in mano il disco, che in certi pomeriggi invernali col cielo monocromo ci sta a meraviglia. Tanto che ti fa venire voglia di avere una tavolozza anche lì.
Secondo me è il tipo di cosa che si chiedono tutti, o almeno tutti quelli che, come me, ascoltano troppa musica nuova e troppo raramente si imbattono in qualcosa che gli piace davvero: quanto conta esattamente il momento in cui entri in contatto con una canzone, per fartene innamorare? Quanto dipende dalla tua stanchezza di quel giorno, dalla tua ricettività, dall'umore, dal tempo che fa fuori? Quanti pezzi splendidi mi sono perso perchè li ho ascoltati distratto, o nella stagione sbagliata o perché mi andava un pezzo tirato e mi è capitata una ballata? E quante volte mancava solo un ascolto per rimanere colpiti, e invece l'emmepitrè è stato messo in parte in favore dell'ultimo leak?
Non ne ho idea. So solo che oggi mi sono imbattuto di nuovo in Rubber degli Yuck, che avevo già sentito varie volte negli ultimi mesi ma aveva lasciato appena una buona impressione con retrogusto di hype. Degli Yuck si fa un gran parlare da tempo (anche se il loro disco, firmato da Fat Possum, non uscirà prima di un 3 mesi), ma di questi tempi i nomi nuovi di cui si fa un gran parlare si collocano quasi sempre appena sopra la sufficienza quindi non avevo dato loro troppa attenzione. Poi oggi, l'illuminazione: Rubber è una cosa quasi perfetta, una montagna di gomma morbida ma ruvida che sta tra Sometimes dei My blood Valentine, Wake up degli Arcade Fire e qualche cavalcata dei Mogwai da Young Team (che infatti l'anno anche remixata, peraltro togliendogli del tutto la distorsione: sono invidiosi, mi sa). Avvolgetevici sotto le coperte, o guardate al ralenty fuori dalla finestra pensando al sorriso di una ragazza. L'ascolto giusto può anche farvi innamorare?
[Qua c'è il video, interamente a tema di toeletta canina (ultimamente va molto), ma è bruttino e toglierebbe quasi tutta la poesia al pezzo, quindi non lo embeddo]
MP3 Yuck – Rubber
Ciao, mi chiamo Michael Cera, recito nei film pucci e suono il basso in un gruppo nuovo insieme a Joe Plummer dei Modest Mouse, Nick Thorburn degli Islands e Honus Honus dei Man Man. Anche se sto sulle palle un po' a tutti (ma ho recitato nella serie tv di culto Arrested devolpment! Certa gente non ha davvero rispetto), e se, dopo tutta la monnezza che ho fatto, eravate prontissimi a odiare il mio ultimo film, Scott Pilgrim VS The World in realtà un po' vi è piaciuto (però non lo ammetterete mai). Come non ammetterete che questi Mister Heavenly sembrano abbastanza promettenti; non avranno fatto un brutto affare a tirare in mezzo uno sfigato come me?
[se vi interessa, qua c'è tutto il concerto di qualche giorno fa a Portland in MP3; qua tutti i video]
In giornate come questa, cupe, fredde e un po' angosciose, in cui non rete non succede nulla di interessante e i dischi nuovi sembrano tutti un po' più brutti e meno ispirati di come dovrebbero essere, il post Big Jim: un pupazzo parecchio brutto, mille avventure, qualche figura di merda sul blog del Dr. Manhattan è il tipo di cosa che ti svolta la giornata:
Chi era Big Jim? Chi era Jim il grande (il grosso?), questo pupazzino di cui i giovani non sanno e i meno giovani invece sì? Questo tizio di plastica e gomma che tutti credevano fosse il vero uomo della Barbie, nonostante il fidanzato di facciata Ken? Che ancora oggi viene utilizzato nelle terre del Sud come metro di paragone per soggetti bellocci ma sgraziati ("mi pari 'nu bigjimm")? Che gli Elii hanno elevato a simbolo di tutti i servi della gleba a testa alta ("come dei simbolici biggimme, schiacci il tasto ed esce lo spaccimme")? Beh, era semplicemente Big Jim, era un pupazzo orribile della Mattel con dei veicoli molto fighi, e aveva alle spalle una lunga storie di sofferenze e parentele imbarazzanti. […]
La storia di Big Jim parte dagli umili bassifondi del mercato dei pupazzini sportivi. Va, e si schianta quasi subito contro un muro. Per poi tentare tutta una serie di ripartenze praticamente alla cieca, con Mattel pronta a lanciarsi ora nel genere western, ora su atmosfere e personaggi salgariani, per poi infine trovare per la sua linea di
bambolottiaction figure una ragion d'essere nella linea sullo spionaggio. E chiudere più o meno in bellezza con quei cloni dei GI Joe della collana fantascienza. Ma procediamo con ordine e non facciamo i soliti precipitevolissimi.
LINEA BASIC (1972-1975)E' il 1972. Hasbro sta accumulando da oltre otto anni vagonate di paperdollari grazie alla sua prima linea di GI Joe, pupazzoni alti trenta centimetri con i vestitini da soldati. Mattel, con un tempismo da bradipo agonizzante, decide di provare a farle concorrenza: dopo il prototipo "Mark the Strong" viene lanciata così la prima linea Big Jim.
Il Big Jim originale, il primo della lunga stirpe di eroi con la riga di lato e la faccia da pirla, era questo:
[Continua su L'antro atomico del Dr. Manhattan]
[il titolo del post lo capiamo in tre, mi sa]
Appartiene alla lobby dei blogger romani, da anni e anni tiene uno dei blog più divertenti della rete e negli ultimi tempi è finito su giornali, radio e ora ha pubblicato persino un libro. Si chiama Achille e nei giorni scorsi ha presentato la sua guida semiseria Roma senza vie di mezzo (appena pubblicata da Pendragon) con queste parole:
Qualche tempo fa mi arrivò una mail con la seguente proposta: una casa editrice bolognese stava preparando alcuni volumi dedicati alle principali città italiane. Il format prevedeva una guida divisa a metà, da una parte le cose consigliate, dall’altra quelle da evitare. Mi andava, diceva la proposta, di scrivere la guida dedicata a Roma?
La proposta era allo stesso tempo attizzante e insidiosa per uno come me, un calabrese arrivato 15 anni fa nella capitale dicendo “sono solo di passaggio” che ha finito per mettere radici. Insidiosa perché Roma è una città complessa e infinita, che nemmeno i romani conoscono bene, e perché a me vien voglia di scrivere soprattutto delle cose che mi piacciono, ma il format era quello: per ogni posto che ami ne devi trovare uno che eviti, per ogni ristorante dove andare ce ne vuole uno che per carità, per ogni locale dove porteresti i tuoi amici devi tirarne fuori uno dove manderesti il tuo peggior nemico.
Da queste condizioni è venuta fuori una guida discutibile, personale, si spera piacevole da leggere, non dogmatica, cazzona già nelle intenzioni. Una serie di riflessioni su posti, piazze, pizzerie, pub, discoteche, negozi, usi, costumi e personaggi, in cui ogni cosa sta o di qua o di là. Con l’obiettivo altissimo di cogliere lo spirito della Roma di oggi e quello, più concreto, di scrivere una guida senza usare mai la parola “pittoresco”.
Il risultato si chiama Roma senza via di mezzo, e dice che esce oggi.
Stasera a Impronte digitali faremo quattro chiacchiere con Achille, per sapere qualcosa in più del suo libro, chiedergli dove si mangia il migliore abbacchio e se essere un blogger di successo aiuta a conquistare il gentil sesso. Dalle 19 alle 20 sui 103.1 MHz in FM a Bologna e provincia, oppure in streaming dal sito di Radio CIttà Fujiko (e domani, in padcast).
[Sempre lucidissimo, Saturday Morning Breakfast Cereal]
Mentre tutto il mondo giustamente parla delle più recenti rivelazioni divulgate da Wikileaks, il piccolo evento della giornata nel mondo indie è che in rete ha fatto la sua comparsa il nuovo singolo di Iron & wine Walking far from home, ballatone da manuale che anticipa il nuovo disco del barbuto Sam Beam Kiss Each Other Clean, che esce a Gennaio per una major e ha una copertina molto bella.
[e sì, lo so che tecnicamente non è un leak, ma non ho resistito al calembour]
MP3 Iron & wine – Walking far from home