Solo per dirvi che il sottoscritto qua oggi torna a New York e ci rimane per un po'. Il tempo di fare un giro in città, di mettere i dischi da Pianos, di capire che aria tira tra gli indignados di #occupywallstreet e di saltare da un club all'altro in occasione dei 5 giorni della CMJ Marathon. Se qualcuno di voi è in zona faccia un fischio, qua aggiornamenti discontinui e presumbilmente quasi nulli (più facile che mi trovate su Twitter) fino al mio ritorno.
Daniele Carretti è uno che non sta mai fermo. Da sempre il chitarrista e anima shoegaze degli Offlaga Disco Pax si tiene molto impegnato tra un tour e l'altro della band neosensibilista reggiana, ad esempio con il cupo e ispirato progetto Magpie, o con la piccola etichetta Sussidiaria. Ma da qualche tempo, non pago di queste attività, Carretti ha iniziato a suonare canzoni anche sotto lo pseudonimo di Felpa.
Il progetto è ancora avvolto dal più stretto riserbo, e verrà svelato al mondo questo venerdì al Locomotiv di Bologna in apertura al concerto di Paolo Benvegnù. Ma a giudicare dal primo e unico pezzo diffuso (una bella cover del classico minore degli Scisma, nonchè title-track dell'ultimo disco Armstrong), siamo davanti a qualcosa di molto promettente.
E' martedì, e il martedì –lo sanno tutti– è il giorno di Impronte digitali, il magazine di web e nuove tecnologie condotto da Pirex e dal sottoscritto e che va in onda dalle 19 alle 20 sulle frequenze amichevoli di Radio Città Fujiko (103.1 FM a Bologna e provincia, oppure in streaming in tutto il mondo).
Oggi ci addentreremo nel meraviglioso mondo di Instagram (l'app per iPhone di condivisione sociale di foto di cui vi ho giò parlato un annetto fa) e della comunità dei suoi utenti (gli Instagramers, o Igers). Lo faremo guidati da Silvia aka binbaa, appassionata della piattaforma fin dagli inizi e co-titolare della branca bolognese della comunità (gli IgersBologna). Silvia ci spiegherà cosa c'è di speciale in questa app e perchè ha avuto così tanto successo, e ci racconterà della sua comunità che ha da poco fatto a Milano il primo raduno italiano (l'InstaMeet). Ma la scusa per parlarne sarà l'happening che c'è stato venerdì scorso in città alle Officine Minganti, in cui gli IgersBologna hanno messo in piedi un concorso e una mostra (che va avanti fino al 29 Ottobre).
Dalle 19 alle 20 sui 103.1 FM di Radio Città Fujiko a Bologna, oppure in streaming. E da domani, qua sotto il podcast.
Breaking Bad è probabilmente la migliore serie tv di questi anni. Potreste pensare che io lo dica sull'onda dell'impatto emotivo dello spettacolare season finale che è andato in onda tre sere fa su AMC, ma non è così. Dall'inizio della terza stagione in poi ogni puntata è una piccola meraviglia di scrittura, di regia e di recitazione, tenuta in piedi da una trama sorprendente, da dialoghi perfetti e da attori bravissimi (per la sua interpretazione del protagonista Walter White, Bryan Cranston ha vinto 3 Emmy di fila come miglior attore di una serie drammatica). Insieme a The Wire, a Studio 60 e a Mad Men è probabilmente la serie tv che mi sia piaciuta di più di tutti i tempi, e mi meraviglio sempre a scoprire quanto poco sia nota dalle nostre parti.
Mentre voi ve la procurate e mentre io medito se rivedermela tutta dalla prima puntata, vi evito ogni spoiler ma vi lascio con i due azzeccatissimi pezzi presenti come soundtrack dell'ultima puntata. Sarà una lunghissima attesa fino all'ultima stagione dell'anno prossimo, e non ho veramente idea di cosa diavolo il creatore Vince Gilligan tirerà fuori dal cappello. Ma sono matematicamente sicuro che mi stupirà.
Non so bene se sia una coincidenza o meno, ma domani escono due dei dischi italiani più attesi della stagione: Io tra di noi di Dente e Nati per subire degli Zen Circus. Per promuoverli il cantautore di Fidenza e la band toscana si sono prodotti in un video di puro cazzeggio in cui si dimostrano reciproca stima, e che vado tosto a linkarvi:
Plink è una specie di sintetizzatore audio multiutente che produce interessanti pattern ipnotici. E' molto strano accerdervi e trovarsi a duettare in compagnia di completi sconosciuti, come farejogging e fare un pezzo di strada in compagnia di persone che non conosci (ma che sembrano simpatiche). E' basato su Node e Web Audio, e funziona solo su Chrome. Provatelo.
Di Chelsea Wolfe ho sentito parlare per la prima volta a Luglio da 0livia, e sono rimasto incuriosito e un po' inquietato dal suo sound apocalittico, gotico e rumoroso che calza a pennello nella definizione subito affibbiatagli di doom folk. Che non è esattamente la mia tazza di tè, ma che ha tutte le carte per colpire e un'intensità marziale e dolorosa che di questi tempi in giro non si sente tanto spesso. Sono molto curioso di sentirla dal vivo, come probabilmente farò tra un paio di settimane a New York durante l'incasinato meta-festival della CMJ Marathon, dove sarà praticamente impossibile non incrociarla visto che suonerà 6 volte in 5 giorni.
E come a mandarmi un segnale che non posso ignorare, proprio in questi giorni la cantautrice californiana ha diffuso in rete la cover di uno dei miei pezzi preferiti di tutti i tempi (I let love in di Nick Cave & The Bad Seeds, dal quasi omonimo capolavoro Let love in del 1994), trasformato in una straziante e lentissima marcia funerea che forse sarebbe piaciuta al Nick Cave di qualche lustro fa. E che sicuramente piace un sacco anche a me.
Un mondo in cui Jeff Mangum, anima e voce degli indie-legend Neutral Milk Hotel, imbraccia la chitarra e si mette a suonare per strada davanti agli indignados americani di Occupy Wall Street. Proprio lo scorso weekend Mangum è stato il co-headliner dell'ATP americano, e non dev'essere stato banale passare dalle folle osannanti di hipster del festival al drappello di manifestanti accampati nel Financial District di New York City (uno dei quali ha filmato tutto il live e l'ha mandato in diretta su livestream, come potete vedere qua sotto). Se per allora non li avranno arrestati tutti (come i 700 sul ponte di Brooklyn la settimana scorsa), tra una decina di giorni vado a dare un'occhiata di persona e vi so dire. Dubito che sarò così fortunato da trovarci i Radiohead, però.
Se voi leggete« Well-Dressed Heckler Interrupts CNN Report on Amanda Knox Acquittal» come descrizione di un video di YouTube, a cosa (o meglio, a chi) pensate? ESATTO.
Tim Noble e Sue Webster sono una coppia di artisti inglesi che, tra le altre cose, crea sculture d'ombra, proiettate dal profilo di ammassi di rottami e immondizia. Bellissime.
In rete è uno sport diffuso notare le traduzioni inutili, sbagliate o ridicole dei titoli dei film. Andrea Pomini guarda anche tra gli scaffali di una libreria:
Se oggi entriamo in più o meno qualunque libreria italiana troviamo – tutti fra le novità – i seguenti titoli:
L'infiltrato, di Antonio Salas, Newton Compton (titolo originale: El Palestino); Il superstite, di Wulf Dorn, Corbaccio (titolo originale: Kalte Stille, "Silenzio freddo"); Il professore, di John Katzenbach, Fazi (titolo originale: What Comes Next ); L'addestratore, di Jeffery Deaver, Rizzoli (titolo originale: Edge); Il negoziatore, di James Patterson e Michael Ledwidge, Longanesi (titolo originale: Step on a Crack); L'osservatore, di Franck Thilliez, Nord (titolo originale: Le syndrome E); Il paziente, di Nicci French, Sperling & Kupfer (titolo originale: Blue Monday);
Il carnefice, di Francesca Bertuzzi, Newton Compton (ovvero, il primo esempio di titolo italiano originale adeguato al trend).
Ma non è tutto, tenetevi forte.
Il 23 agosto esce Il persecutore, di Rory Clements, Piemme (titolo originale: Revenger) e l'8 settembre esce Il persecutore, di Ian Rankin, Longanesi (titolo originale: The Complaints).
Il 22 settembre esce Il burattinaio, di Torsten Pettersson, Newton Compton (titolo originale: Göm mig i ditt hjärta, "Nascondimi nel tuo cuore") e il 27 esce settembre Il burattinaio, di Francesco Barbi, Dalai.
E qui veramente avremmo pagato per vedere le facce nelle rispettive redazioni, quando hanno scoperto che la stessa idea geniale l'avevano avuta anche degli altri. [#]
Lisa Hannigan da queste parti la amiamo perdutamente da quando era la corista e co-solista di Damien Rice (a proposito: che fine ha fatto Damien Rice?) e anche se i suoi dischi solisti in termini di scrittura non sono neanche lontanamente all'altezza del primo, ancora splendido, disco del cantautore irlandese, è impossibile non farsi venire un po' gli occhi a cuoricino ogni volta che la si vede all'opera. Come nel videoclip del nuovo singolo Knots, in cui l'autrice di Sea Sew armata solo di un ukulele cerca di resistere a un crescendo cromatico di pioggia e spruzzi di vernice, e soffre e si diverte in egual misura, e tu ti ricordi ancora una volta perchè un po' la amavi e la ami ancora.
Non c'è niente di meglio per cominciare con il piede giusto la settimana della scena dell'inseguimento di Ritorno al futuro (quella in cui Marty accidentalmente inventa lo skateboard) con la colonna sonora interamente cantata a cappella:
Una decina di giorni fa sono stato al cinema a vedere L'ultimo terrestre, il primo film girato da Gipi. Il film non è perfetto però mi è piaciuto; ma non voglio parlarvi di questo. Alla fine della proiezione sono rimasto quantomeno perplesso dal notare che stava uscendo dalla sala del cinema anche un gruppo di tre o quattro persone cieche, ed era impossibile non farsi venire almeno un dubbio su quel che potessero aver capito di un film che si basa assai poco su audio e dialoghi e che ha intere sequenze completamente prive di un sonoro che possa indicare cosa sta succedendo sullo schermo. Da lì a soffermarsi a pensare un attimo al rapporto tra non vedenti e cinema (che a naso è assai più complesso di quello dei non udenti, che quantomeno hanno la pagina 777 del televideo e i sottotitoli) il passo è stato breve. E' come guardare un film voltati di spalle sentendo solo il sonoro: con certi film orientali o del primo novecento deve essere un'esperienza molto vicina al NON essere un'esperienza.
Qualche giorno dopo, poi, ho scoperto l'esperienza di Tommy Edison, meglio noto come blind film critic. Come da definizione, Edison è un critico cinematografico cieco e il suo sito, costituito per lo più da video, promette «a humorous and unique perspective on movies». «Prospettiva» in realtà in questo caso sembra un termine un po' infelice, ma forse «Punto di vista» era ancora peggio..
Come dice Ganz che mel'ha segnalato è più bella l'idea in sè delle recensioni vere e proprie. Ma è un dettaglio.
Questa storia comincia come le storie di tantissimi artisti e gruppi indie, più o meno bravi, nella scena musicale degli ultimi 5 o 10 anni: un'artista ignota e promettente, una canzone riverberata, un video sgranato e un po' di blog sempre alla ricerca del nuovo fenomeno underground che la segnalano. Poi arriva Pitchfork, mette l'etichetta Best New Track sulla ballad Video Games e Lana Del Rey diventa improvvisamente un piccolo fenomeno.
Voce e look da diva di altri tempi, un'immagine fatta dal curioso connubio tra lo-fi e seduzione che sono contemporaneamente di un passato remoto ma anche dell'era di YouTube, Lana Del Rey difficilmente lascia indifferenti al primo ascolto; può non piacere e probabilmente anche non colpire, ma se non è la musica (che va dalla Nancy Sinatra più languida alla Fiona Apple meno addomesticata) sono lo sguardo penetrante e un po' inquientante e le sue labbra turgide a stamparsi nella mente. Non il tipo di artista che incroci tutti i giorni.
Ma la storia non è finita. Mentre mezza rete si innamora, musicalmente ma non solo, di questa misteriosa chanteuse, Ryan Dombal fa un po' di ricerche e scopre un po' di informazioni in più sul personaggio, prontamente esacerbate col solito tono beffardo dal maligno Hipster Runoff. Si scopre che ha già pubblicato un disco sotto il suo vero nome (l'assai più anonimo Lizzy Grant), che il suo pseudonimo e la sua immagine sono, per sua stessa ammissione, opera di «avvocati e manager», e che dietro di lei è in atto una sapiente opera di promozione. Onta finale, dalle foto pare proprio che le sue labbrone sexy siano probabilmente frutto della chirurgia estetica (e/o del botulino). Gli hater si scatenano (vedi i commenti da Stereogum), sui social network e i blog tutti vogliono dire la loro (quasi tutti la attaccano e prendono in giro chi la apprezza, ma sono anche tanti, come Pop Topoi, quelli che la difendono) e la sensazione generale è che nel 2011 chi si occupa di hype non possa fare a meno di avere una posizione su di lei.
Dopo anni passati a correre dietro ad ogni più piccolo fenomeno underground e a dare attenzione al nuovo nome più ignoto e cool, sembra che qualcosa nel gioco si sia rotto. Potrebbe non voler dire niente, o invece segnare una perdita dell'innocenza che rappresenterà un vero e proprio precedente e che costringerà l'appassionato di musica ad avere un dubbio in più (non solo musicale ma anche in qualche modo etico) la prossima volta che si imbatte in una nuova band. E' davvero roba autentica? Sono un gruppo di ragazzi in una cantina o in una cameretta davanti al PC, o c'è dietro un management che fabbrica sapientemente artisti credibili rimanendo nell'ombra? Le eminenze grigie della case discografiche sono sempre esistite nella musica pop e non ha senso scandalizzarsene, ma ora dobbiamo aspettarci che entrino a gamba tesa anche nel mondo indie inquinandone la presunta autenticità con focus group e ricerche di mercato?
La mia posizione sta da qualche parte in mezzo. Tornando alla musica, le canzoni di Lana Del Rey mediamente non mi fanno impazzire, ma l'ultimo singolo diffuso (la torrida Blue Jeans, una Wicked Game in versione femminile che nell'immaginario finisce per ricordarmi addirittura To bring you my love di PJ Harvey) non è affatto male. Ma ammetto che nel mio giudizio faccio fatica a prescindere dalla storia che vi ho appena raccontato, e non riesco a fare finta che il suo palese tentativo di passare come una proposta underground e autentica con armi che stanno più dalle parti dei grandi nomi da classifica un po' mi disturba. Cedere in qualche modo vuol dire rinunciare ai principi da appassionato intransigente per abbandonarsi alla perizia sporca e compromessa del mercato. Il tipo di cosa che, se la vedi come una metafora, rende quasi perversamente piacevole e intossicante cedere alle sue lusinghe.
Il pittore americano Joe Forkan realizza quadri che ritraggono scene de Il grande Lebowsky ispirati a celebri opere della storia dell'arte. Quello qua sopra si chiama La cena di Emmaus come l'omonimo quadro di Caravaggio, ma ne trovate molti altri, bellissimi, sull'apposita sezione del suo sito.
-Disclaimer di rito-
Mp3 and video links posted on this site are for evaluation purposes only and point to files already available somewhere across the web. If you like them, buy the CDs and support the artists. If you are the artist or the copyright owner and would like a link removed, just let me know. I'll take it off, and you'll lose some free promotion. Now, that's smart.