Frammenti di Portogallo
Qua e là, pensieri rimasti conficcati da qualche parte, appuntati su un foglio, curiosità, impressioni.
Revolution on the radio – La rivoluzione dei garofani, che ha rovesciato la dittatura post-Salazar e ha portato la democrazia in Portogallo, è cominciata in un modo bizzarro: con la trasmissione alla radio di una canzone (Grandola Villa Morena di Seca Alfonso), inneggiante alla lotta anti-fascista, dopo la quale la gente è scesa in piazza e tutto ha avuto inizio.
Pessoa è un luogo dell’anima – A Lisbona Pessoa è ovunque. Passeggi nella Baixa e scopri che Rua Dos Douradores -dove è ambientato Il libro dell’Inquietudine– esiste sul serio, e che c’è addirittura la sua casa visitabile, ti imbatti nella sua tomba nel chiostro del Monasteiro dos Jeronimos e nella sua statua, che lo raffigura seduto ad un tavolino, davanti alla Brasileira do Chiado, il caffè più antico di Lisbona. Pessoa è ovunque, come il suo spirito.
Dove la terra finisce e il mare comincia – Se ci si pensa è intuitivo: il punto più occidentale d’Europa è in Portogallo. Eppure quasi tutti sono convinti si tratti di Finisterre, in Bretagna. Si sbagliano: il punto più a Ovest d’Europa è Cabo de Roca, poco sopra Lisbona. Ci sono stato, e ho fotografato il faro e il tramonto sull’oceano.
Spice World – Il peperoncino si chiama Piripiri, e mettono la cannella ovunque, anche nella sangria.
Vuole una busta? Provi nel negozio di cd – I Portoghesi amano la confusione semantica; tutto è sempre venduto nel luogo in cui meno te l’aspetti. Basti dire che abbiamo trovato un rullino in una profumeria e che non c’è niente da fare: i biglietti dell’autobus non vengono venduti nè dalle edicole nè dai tabaccai.
Il mio primo nichelino – La Baixa, nei dintorni del Rossio, è piena di banchetti di lustrascarpe. Ammetto di aver avuto, in un impeto di onnipotenza turistica da valuta forte, la tentazione di farmi pulire i miei luridi anfibi. Ma non vi preoccupate, mi hanno fatto subito tornare alla ragione.
Sintra – Non credevo potesse esistere un posto così. C’è questa cittadina incassata tra colli verdeggianti, da cui spuntano ville fatate dagli stili più strani. In cima ad un colle c’è una rovina moresca, in un altro un palazzo romantico che definire il tempio del kitch è poco, in un altro una casa che sembra cinese, mentre tra gli alberi spuntano torrette, minareti, bastioni. Solo i Portoghesi avrebbero potuto concepire un posto simile.
Meglio del Tagadà – Quando dico che i portoghesi sono dei piloti folli, non scherzo. Sfrecciano ai 100 nelle viuzze tortuose dell’Alfama, guidano tram e autobus in modo assolutamente incurante per i poveri passeggeri, costretti a varie acrobazie per rimanere in piedi, e parcheggiano ovunque, infischiandosene se bloccano le rotaie dei tram e quindi tutto il traffico. Sarebbe una peculiarità simpatica, non fosse che un paio di volte ho visto la morte in faccia.
Porto il Porto al porto di Porto – Il Porto non è un vino, è un’istituzione. Di più, è quasi una scienza: le annate in cui le condizioni ambientali di temperatura e precipitazioni sono ideali vengono etichettate come annate Vintage, quelle in cui il porto è più buono (e più caro). Una bottiglia del 2000 costa 125€, una dell’81 sui 250€, per quelle delle annate vintage precedenti si continua a salire. Perchè, fidatevi, per quel sapore non c’è prezzo.
E pensare che volevo stare a casa a dormire – Il Monasteiro dos Jeronimos, nel quartiere di Belem, è uno dei palazzi architettonicamente più belli che io abbia mai visto. Il suo chiostro corrisponde esattamente all’immagine che ho di un palazzo degli Elfi. Magico.
Saudade, non saudaji – Avete mai sentito parlare in portoghese? Sì?? Sicuri che non fosse brasiliano? Il portoghese infatti ha un suono assolutamente inaspettato, duro e spigoloso, più simile al russo che allo spagnolo o ad altre lingue latine. Se ricordate il portoghese come una lingua dolce e musicale, quasi certamente avete invece sentito il brasiliano, ovvero «il portoghese con lo zucchero», come dicono loro.