Traduttore traditore
Quella di Lost in traslation è una storia semplice. Bob è un attore cinquantenne sul viale del tramonto, in trasferta a Tokyo per registrare una pubblicità. Charlotte è la giovane e bella moglie di un fotografo di successo, appena laureata, che ha accompagnato il marito nella capitale giapponese. I due alloggiano nello stesso albergo, e complice l’insonnia causata dal jet-lag e il fatto di essere entrambi in una fase particolare della propria vita, s’incontrano e si trovano. La differenza di età tra i due, l’alienità e l’incomprensibilità della metropoli che li ospita, ed il senso di disagio ed estraneità che li accomuna rendono fin dall’inizio impossibile ed improbabile lo sviluppo di ogni rapporto ‘canonico’ tra i due; che però avrà sviluppi tanto inattesi quanto ineluttabili. A raccontarla non sembra una storia particolarmente promettente; e non può che essere così visto che il film è costruito più sui vuoti che sui pieni, più su lente e serpeggianti suggestioni che sull’azione, più sul non detto che sull’esplicito.
Lost in Translation, secondo film diretto da Sofia Coppola (che di registi se ne intende: è la figlia di Fracis Ford Coppola e la moglie di Spike Jonze) dopo Il giardino delle vergini suicide, è un film che seduce e coinvolge, in modo talmente intimo e incomprensibile da rendere molto difficile da credere il fatto di avere a che fare con una regista così giovane. E’ un film fatto di chitarre inquiete in sottofondo (la colonna sonora è firmata nientemeno che da Kevin Shields, leader dei disciolti My Bloody Valentine), di lunghe notti senza giorni, di grattacieli e luci al neon, di whisky al bar dell’hotel, delle inspiegabili stravaganze giapponesi (guardate con occhio ironico ma benevolo), di fax notturni, di improvvise risate che scompaiono veloci come arrivano e di luci basse. E’ un film di persone perse, spaesate, bisognose di una traduzione, tanto di ciò che gli succede attorno quanto di quello che succede dentro e tra di loro.
Gli attori sono straordinari: Bill Murray, celebre per grandi ruoli comici (Ghostbusters, Ed Wood, I Tenenbaums) è enorme e straordinario, ed incarna in modo perfetto il senso di perdita ed estraneità che percorre il film, riuscendo a far ridere o a commuovere con un semplice cambio di espressione. Scarlet Johansson (L’uomo che sussurrava ai cavalli, Ghost World, L’uomo che non c’era) è -innanzi tutto- bellissima, ma non di quella bellezza da pin-up irraggiungibile che di solito Hollywood propina: è la bella ragazza dolce e un po’ triste di cui ci si può innamorare a scuola, o la sconosciuta incontrata sull’autobus che incanta anche solo con uno sguardo; perfetta per questo ruolo. La terza protagonista, come molti hanno scritto, è Tokyo, che con la sua aliena impenetrabilità e il suo freddo fascino notturno contribuisce in modo essenziale alla costruzione di una storia lirica, essenziale e coinvolgente come poche.
Ma le parole possono poco davanti a un film del genere. E non so, temo di non essere stato molto bravo a spiegarvi perchè questo film è così incantevole. Ma ci ho provato, e non potevo non farlo visto che questo è il mio film preferito del 2003, per ora. Fidatevi.
[Date un’occhiata al trailer (hi res, low res). Qui le ottime impressioni di uno dei miei compagni di avventure al lido, Shoegazer. Il film in Italia si chiamerà L’amore tradotto (titolo orribile, tanto per cambiare, che perde buona parte del senso dell’originale) ed uscirà nelle sale il 28 Novembre. Non perdetevelo.]