Perchè i loro half-time show ormai sono una roba che non ci si crede. Dopo quello dell’anno scorso a tema videogiochi, stavolta ne hanno fatto uno, forse ancora migliore, a tema hollywoodiano:
Perchè i loro half-time show ormai sono una roba che non ci si crede. Dopo quello dell’anno scorso a tema videogiochi, stavolta ne hanno fatto uno, forse ancora migliore, a tema hollywoodiano:
[uno spot che è una candid camera, bel lavoro della filiale cilena della LG]
[un giovane Aaron Paul (ovvero Jesse di Breaking Bad) che partecipa da concorrente della versione americana di Ok il prezzo è giusto? Mi sa che è in giro da un po’ ma mi era sfuggito. Del resto dopo Renzi alla Ruota della fortuna non è che ci sia da stupirsi]
Fino a qualche anno fa avrei segnalato lo spendidio post di Chris DeVille su Stereogum Deconstructing: The O.C. And Indie Rock Gentrification pochi minuti dopo la sua pubblicazione, e l’avrei probabilmente integrato con le mie riflessioni sul non-genere musicale a cui abbiamo dedicato parte della nostra gioventù. Ora invece, incastrato tra gli impegni di lavoro della mia società e quelli della vita personale, distratto dalla pianificazione di una vacanza in un posto esotico e senza neanche fare più finta di aver voglia di ascoltare dischi nuovi, lo linko con una buona giornata di ritardo e mi limito a un pigro copiaincolla. Come dice il finale, «For better or worse, indie rock has settled down into a comfortable life of luxury, nostalgia and privilege. Seth Cohen is all grown up, and he looks a lot like his parents.», che è in parte vero e in parte no. Ma non ho neanche più voglia di spiegarvi perchè in parte no, quindi facciamo che sì.
Ten years ago today, five words forever changed the nebulous concept known as indie rock: “Welcome to the O.C., bitch.” That dialogue was in the pilot of Fox’s teen soap opera The O.C., but you already knew that. The fact that it’s virtually impossible to imagine a reader of this website who isn’t aware of the show underlines the notion that it played a huge part in the genre’s trajectory this past decade — and in tastemakers’ retreat from it.
Let’s not belabor the whole “What does indie rock even mean?” thing. Yeah, “indie” is short for independent, and somewhere along the line it shifted from a description of a business model to a description of a musical style, at which point it was distended, like “grunge” and “alternative” and “new wave” and “punk” and “metal” and “rock” before it, beyond coherence. The O.C. played a pivotal role in that process. Still, even at this late date, you know indie rock when you hear it, whether in classicist forms like Parquet Courts and Cloud Nothings or modernized festival tentpoles like TV On The Radio and Spoon and Yeah Yeah Yeahs. It’s intangible but unmistakable — a designation you’d assign to Liz Phair’s shambolic underground smash Exile In Guyville but never her radio-baiting Liz Phair.
Back in June, I argued that a move like Phair’s much-maligned pop crossover attempt in 2003 never would have provoked so much outrage in 2013. The thesis was basically that “poptimism” — the unapologetic embrace of pop music once deemed distasteful by critical elites — had been internalized to the point that your average straw-hipster is more likely to fawn over Justin Timberlake or Beyonce than the Walkmen or the National, and that becoming a superstar, even “selling out” to become a superstar, is now applauded rather than shunned. It ended like so: “In 2013, poptimism is the air we breathe. Why that happened is a complicated argument for another essay.” If there was ever an occasion for that essay, it’s the tenth anniversary of The O.C., a major player in the gentrification that helped drive away the kind of people who think of themselves as cutting-edge. [#]
Per compensare il fatto che quando tra 9 giorni andrà in onda la première dell’ultima stagione di Breaking Bad io sarò in un posto selvaggio privo di computer e connessione, oggi qua si gioca a Betting Bad, il sito di scommesse (senza soldi) su come finirà la serie messo in piedi da alcuni fan (e fatto da Dio). Scimmia.
Sono obbligato a postare il trailer del finto film Daria’ High School Reunion, anche se la cosa mi causa reazioni contrapposte: da un lato mi esalta perchè è troppo bello per essere vero (Aubrey Plaza è PERFETTA, ed è strapieno di dettagli brillanti), e dall’altro mi intristisce perchè, beh, non è vero, e il film non esiste. Per ora.
Exploding attresses (il tumblr, e i video)
Camera Obscura – Troublemaker
Dexter s08e02
Le polpette tirate al vino del Pigneto Quarantuno
Crocodiles – Cockroach
[se sei un vero nerd, vorrai sapere come è stato ricavato questo grafico. E vorrai vederlo ingrandito per studiartelo bene]
I Mars Argo, che hanno preso la celeberrima suoneria “Marimba” dell’iPhone e ci hanno costruito sopra una canzone. Abbastanza irritante (e non poteva essere altrimenti).
Io no. Avevo sentito quella screamo e ovviamente quella acustica di Iron and wine, ma questa mi mancava. Non so bene come sia possibile, ma non mi dispiace neanche.
[e se non vi basta, per celebrare la reunion della band e le date europee di questi giorni – io li ho visti al Primavera Sound di Barcellona, e il loro live è stato esattamente come me l’aspettavo: mi sono divertito – qui ci sono 14 Postal Service Covers To Hold You Over Until The Reunion Tour]
Perturbazione – Questa è Sparta
La paella parellada di 7 portes alla Barcelloneta
Rectify s1e01
Zerocalcare – Ogni maledetto lunedì su due
Dancing Kosgrove meets Daft Punk
Paolo Sorrentino – La grande bellezza
Non ho (ancora) scritto niente di Musica X, il nuovo disco dei Perturbazione, che a fronte della ‘svolta’ pop (elettronico) è una creatura musicale ben complessa che non ho inquadrato per bene. Non posso però farmi sfuggire la segnalazione di questa notevole cover due-chitarre-acustiche-e-un-sacchetto-in-testa di Velleità, singolone de I Cani che un paio di primavere fa ha monopolizzato i nostri stereo. Non a caso all’interno del disco dei Perturbazione c’è anche una canzone (Questa è Sparta) che vede alla voce proprio Niccolò de I Cani. Generazioni di gente che sa scrivere canzoni a confronto, e vincono tutti.
Leadership Lessons from Dancing Guy è un video illuminante. (via)
If you’ve learned a lot about leadership and making a movement, then let’s watch a movement happen, start to finish, in under 3 minutes, and dissect some lessons:
A leader needs the guts to stand alone and look ridiculous. But what he’s doing is so simple, it’s almost instructional. This is key. You must be easy to follow!
Now comes the first follower with a crucial role: he publicly shows everyone how to follow. Notice the leader embraces him as an equal, so it’s not about the leader anymore – it’s about them, plural. Notice he’s calling to his friends to join in. It takes guts to be a first follower! You stand out and brave ridicule, yourself. Being a first follower is an under-appreciated form of leadership. The first follower transforms a lone nut into a leader. If the leader is the flint, the first follower is the spark that makes the fire.
Nelle scorse settimane io e il mio co-titolare di Impronte Digitali siamo stati un po’ più affaccendati dal solito (io sono stato al Primavera Sound di Barcellona, lui al Salone del libro di Torino), quindi per la puntata di lunedì abbiamo deciso di chiamare in nostro soccorso Francesca. La vostra beniamina non si è fatta pregare, e in quattro e quattr’otto ha tirato fuori dal cappello una puntata coi fiocchi: unendo i puntini che tra i due eventi di cui sopra passano dal Festival di Cannes (anch’esso svoltosi nelle scorse settimane), ha avuto la bella idea di fare una chiacchierata con Michele Gravino, che di questi tempi tiene un gran bel blog sul sito del National Geographic che si chiama Viaggi da fermo, e che proprio al surreale luogo in cui è ambientata l’opera dell’unico italiano premiato sulla croisette ha dedicato il suo post più recente.
In questo viaggio tra gli eventi della settimana ci siamo quindi fermati a Tristan da Cunha, sperduta isoletta in mezzo all’Oceano Altantico che vince il premio di luogo più isolato del mondo (più di 2000 chilometri dal posto più vicino, che non è poi una gran metropoli ma l’isola di Sant’Elena in cui fu esiliato Napoleone) e in cui è ambientato 37° 4 S, cortometraggio di Adriano Valerio che ha preso una menzione speciale al Festival di Cannes. E’ stata un’ottima scusa per parlare con Michele del suo bel blog, che parte da eventi o storie di cronaca per esplorare alcuni luoghi del mondo grazie a tecnologie come Google Maps o Street View; un’idea che semplice che però funziona a meraviglia.
Qua sotto c’è il podcast. Buon ascolto.
Sapete già che ho un po’ una fissa per quelli che scolpiscono le ombre; e dopo Kumi Yamashita e Tim Noble e Sue Webster, ora è il turno delle opere di Diet Wiegman. Piccoli prodigi fatti di niente, tipo questo:
Non so se è successa la stessa cosa anche a voi, ma nonostante il mio lettore ultimamente abbia visto un’impressionante infilata di dischi nuovi di nomi a me molto cari (da Nick Cave ai The National, dai The Knife a James Blake, dai Perturbazione ai Vampire Weekend, dagli Strokes ai Phoenix), credo di aver accumulato più ascolti di Random Access Memories dei Daft Punk nell’ultima settimana che di tutti i dischi sopra citati nei due mesi precedenti. Non è un disco perfetto (per certi versi è persino pigro), ma a quanto pare era esattamente quello di cui avevo bisogno in questo momento.
Mentre sono occupato ad ascoltare Giorgio by Moroder col repeat (l’ho fatto) e poi a recuperare i dischi di cui sopra (perchè lo farò), voi ascoltatevi i Brassft Punk, una brass band di New Orleans che ha messo online questo clamoroso EP che contiene 4 grandi classici del duo francese interamente rifatti a base di fiati. Lo amerete.
[Al di là dell’ovvia lettura metaforica della caduta del nuovo segretario del PD Epifani di questo pomeriggio ad Avellino, immagino di non essere l’unico a rimanere incantato da questa foto (trovata su Repubblica). Non sembra anche a voi un quadro di Caravaggio?]
Daft Punk – Giorgio by Moroder
Adrian Tomine – New York Drawings
Mad Mern s06e06
L'enchillada di Alma a Red Hook
Phoenix – Chloroform
Gli Ava Luna alla Brooklyn Bowl
Eggià, è tornato quel momento dell'anno in cui la stagione si scrive con la lettera maiuscola, perchè non si riferisce a un periodo dell'anno ma al Primavera Sound, il miglior festival musicale d'Europa (gli altri ormai neanche ci provano più) che tra meno di una decina di giorni sarà di scena come al solito al Parc del Fòrum di Barcellona. L'ultima volta che ci sono stato mi ero ripromesso di non tornarci a breve (non perchè sia brutto, anzi) e di provare a esplorare anche altri festival; poi però qualche mese fa è uscita la line-up (presentata con un video spettacolare) e davanti a nomi come Blur, Nick Cave & the bad seeds, Phoenix, Postal Service, The Jesus & Mary Chain, The Knife, James Blake, My Bloody Valentine, Tame Impala, Grizzly Bear (e potrei continuare) non ho saputo resistere e mi sono assicurato un biglietto per la tre giorni catalana.
Quest'anno ho idea che la quantità di italiani tra il pubblico sarà ancora superiore al solito, quindi saremo in tanti ad avere l'annoso problema degli incastri nella composizione della propria time-table personale. Come sempre le pagine sul sito ufficiale non aiutano, e sono più utili questa versione aggiornata della time-table su Clashfinder (che è possibile personalizzare per creare il proprio percorso. Il mio è qui: in verde le cose imperdibili, in blu le alternative), o quelle stampabili (come questa in excel o questa in PDF) create dagli utenti del forum. E non dimenticate di studiarvi la mappa, in cui potrete scoprire che quest'anno il palco principale (l'Heineken Stage) è quello più lontano all'ingresso (quello che due anni fa si chiamava Llevant e l'anno scorso Mini) e che quindi per seguire i nomi più grossi e alternarsi tra quello e il Primavera Stage ci sarà da pedalare. Un buon modo per smaltire la birra, no?
[La pubblicità progresso contro i finti nerd di Portlandia]