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martedì, 28/07/2009

Creare Dissenso

E’ naturale che un partito cerchi consensi. Il suo scopo non è solo quello d’interpretare problemi e proporre soluzioni: il suo scopo è anche quello di attuarle, quelle soluzioni. E per attuarle bisogna essere eletti. E per essere eletti, insomma, ci siamo capiti.

E’ naturale, quindi, che un partito cerchi consensi.

Quello che è strano, invece, è perdersi alla ricerca del Consenso. Se hai la fissa del consenso, vuol dire che sei disperatamente lontano dai consensi.

Il fatto strano è che lo scopo principale del Partito democratico non dovrebbe essere quello di creare consenso, come tutti ripetono, bensì di creare dissenso.

Popper diceva più o meno che una teoria, per essere scientifica, deve essere falsificabile. Non serve dimostrare che sia vera. E’ scientifico solo ciò che ti consente, con un esperimento, di essere smentito.

Bisognerebbe applicare un test simile alle tesi politiche: se sostieni qualcosa e tutti sono d’accordo, probabilmente non stai dicendo un bel niente. Non è politica, è fuffa. Quando sostieni qualcosa e qualcuno là intorno comincia a obiettare, ad argomentare, a esprimere disaccordo, anche a incazzarsi, allora forse è il caso di sedersi e parlarne. Forse hai torto, ma se ne può discutere. Hai una tesi. Non è fuffa.

Il feticcio del Consenso è la premessa di ogni paralisi culturale. Bisogna avere il coraggio del dissenso: questo è il requisito primo di una forza politica sensata. Minimo. Bisogna smettere di inseguire il feticcio del consenso e cominciare a creare dissenso.

Vorrei vedere un Pd che crea dissenso su economia, giustizia, diritti civili, immigrazione, ambiente, scuola, istituzioni, fisco. Vorrei vedere un partito che discute di cose. Avere paura di dire cose strane, cose nuove, cose faziose, cose che difficilmente si sentono dire all’aperitivo o al bar significa avere paura di fare politica e di fare cultura.

Creare dissenso non vuol dire "parlare alla gente". Non vuol dire "parlare al paese" o "parlare dei problemi del paese".  Queste espressioni stanchissime sono le etichette della palude culturale italiana. In un sistema parlamentare si parla alla gente, certo, si parla al paese e si parla dei problemi del paese. Ma si dicono cose su cui non tutti necessariamente devono essere d’accordo.

Parlate alla gente, ma non per rassicurarla, per incuriosirla. Per stimolarla. Per creare sopracciglia inarcate e battibecchi. Discussioni vivaci. Incazzature. Piatti che volano. Questo è il fottuto momento di dire cose che suscitano disaccordo.

La paralisi di questo paese è la paura. Il coraggio parte dal dissenso.

venerdì, 24/07/2009

Dentro l’Apparato

Ho preso la tessera del Partito democratico.

Non ho mai avuto una tessera di partito – e non so se l’avrò per molto. Non ho mai avuto molte tessere, in realtà, neppure d’altro tipo. Solo plasticose carte da consumatore. Feltrinelli. Fnac. Barnes & Nobles. Blockbuster. Il video-noleggio dietro casa. Qualche supermercato. L’Arci. La tessera Alitalia del Club Ulisse. Consumatore metropolitano e cosmopolita.

La tessera di partito no. E’ un oggetto alieno. Vintage. Me la immaginavo di cartoncino: invece è di plastica pure lei. Il partito liquido, alla fine, vuol dire questo: uno come me può chiamare un collega che una volta ha pure votato Berlusconi, presentarsi al banchetto di un Circolo e prendere la tessera del Pd. O è l’effetto del partito liquido o è il segno che siamo davvero nei guai.

O, forse, entrambe le cose.

Sono uno stimato professionista. Ho un iPhone e un BlackBerry. Sono abbonato a Wired e all’Atlantic. Leggo, scrivo, dibatto, consumo. Appassionato di cose politiche, ma inattivo. Libertario, ma solidale. Laico, ma comprensivo. Di sinistra, senz’altro. Ma lo stipendio me lo paga il capitalismo finanziario. Il mese prossimo faccio trent’anni. E adesso mi sono pure iscritto a un partito smarrito ed enigmatico.

Vedete voi come sto.

Almeno, se il Pd diventa la Democrazia Cristiana, potrò dire di averci provato.

Proverò a raccontarvi come.