L’ultimo Emi-dio
E’ tornato in grande stile. Dopo lo scioglimento dei Massimo Volume e il romanzo (un po’ deludente) La notte del Pratello, dopo aver raggiunto il massimo della notorietà e dell’efficacia, ed essere arrivato a padroneggiare alla perfezione un registro espressivo che ha fatto scuola, dopo 4 dischi, una colonna sonora e tre libri, dopo Dopo che, Ti sto cercando, Seychelles ’81 (solo per dire le ultime) e collaborazioni con mezzo mondo, dopo tutto, insomma, temevo che Emidio Clementi non ce l’avrebbe fatta a risollevarsi. E invece no: libro nuovo e disco nuovo in meno di un mese, e Mimì ha fatto filotto.
Come e più di prima, al centro ci sono le parole. Secche, aspre, amare, sempre taglienti e lapidarie, di una concisione che lascia immaginare tutto e quindi niente, e di una ieraticità fatalista ed atea, scortecciate a fatica con cura e violenza. Parole che si nascondono all’interno di paesaggi sonori evocativi e cinematici in Stanza 218, esordio del suo nuovo progetto musicale El~Muniria, e parole che si presentano nude e vulnerabili nell’autobiograficissimo L’ultimo dio, nuovo romanzo da poco uscito per Fazi.
Ottimo e ricco di sfumature il primo, anche se probabilmente non all’altezza dei capolavori dei Massimo Volume, in cui le chitarre grattugiate di Egle Sommacal e il drumming nervoso di Vittoria Burattini (pur presente nel disco) avevano un’intensità emotiva che l’elettronica ambientale di Massimo Carozzi non riesce ad uguagliare. Di grandissimo livello il secondo, senza dubbio il libro migliore finora scritto da Clementi, e in generale tra le cose più belle che io abbia letto ultimamente: la bravura dell’autore nel dipingere il sordo senso di vuoto e nel trovare i fili che hanno percorso la propria vita, il tutto senza autocelebrarsi (come invece succedeva parzialmente nel ben più pretenzioso La notte del Pratello), raggiungono risultati inattesi e molto alti. Sia il disco che il libro non si fanno dimenticare, in quel modo doloroso che dà da pensare, e che lo stesso Clementi conosce bene. E che canta, in Shalimar Hotel: Ma se mi stacco da te mi strappo tutto / ma il mio meglio e il mio peggio / ti rimane attaccato appiccicoso, come un olio denso.
La notte del pratello secondo me è piuttosto inutile, mentre L’ultimo dio è assai più focalizzato ed efficace. Il disco ci mette un po’ a crescere, ma poi regala delle soddisfazioni. L’operato di Parisini lascia perplesso anche me.
…continua a far male… (Parisini? boh.)
finora al disco ho dedicato solo tre ascolti e, boh, non mi sento ancora di esprimere giudizi, se non “cupo”. sbagliato anche se inevitabile cadere nei raffronti con i mv. era davvero tutt’altra cosa. anche se il recitato, le parole, con le quali molti hanno identificato i massimo volume, sono il segno di mimì. il libro lo comprerò, anche se sul libro sono prevenuta la notte del pratello per me è davvero brutto (col senno e giudizio di poi. lì per lì l’avevo trovato bruttino).
non vedo l’ora di metterci le mani. però la notte del pratello a me è piaciuto abbastanza.