Questa storia comincia come le storie di tantissimi artisti e gruppi indie, più o meno bravi, nella scena musicale degli ultimi 5 o 10 anni: un'artista ignota e promettente, una canzone riverberata, un video sgranato e un po' di blog sempre alla ricerca del nuovo fenomeno underground che la segnalano. Poi arriva Pitchfork, mette l'etichetta Best New Track sulla ballad Video Games e Lana Del Rey diventa improvvisamente un piccolo fenomeno.
Voce e look da diva di altri tempi, un'immagine fatta dal curioso connubio tra lo-fi e seduzione che sono contemporaneamente di un passato remoto ma anche dell'era di YouTube, Lana Del Rey difficilmente lascia indifferenti al primo ascolto; può non piacere e probabilmente anche non colpire, ma se non è la musica (che va dalla Nancy Sinatra più languida alla Fiona Apple meno addomesticata) sono lo sguardo penetrante e un po' inquientante e le sue labbra turgide a stamparsi nella mente. Non il tipo di artista che incroci tutti i giorni.
Ma la storia non è finita. Mentre mezza rete si innamora, musicalmente ma non solo, di questa misteriosa chanteuse, Ryan Dombal fa un po' di ricerche e scopre un po' di informazioni in più sul personaggio, prontamente esacerbate col solito tono beffardo dal maligno Hipster Runoff. Si scopre che ha già pubblicato un disco sotto il suo vero nome (l'assai più anonimo Lizzy Grant), che il suo pseudonimo e la sua immagine sono, per sua stessa ammissione, opera di «avvocati e manager», e che dietro di lei è in atto una sapiente opera di promozione. Onta finale, dalle foto pare proprio che le sue labbrone sexy siano probabilmente frutto della chirurgia estetica (e/o del botulino). Gli hater si scatenano (vedi i commenti da Stereogum), sui social network e i blog tutti vogliono dire la loro (quasi tutti la attaccano e prendono in giro chi la apprezza, ma sono anche tanti, come Pop Topoi, quelli che la difendono) e la sensazione generale è che nel 2011 chi si occupa di hype non possa fare a meno di avere una posizione su di lei.
Dopo anni passati a correre dietro ad ogni più piccolo fenomeno underground e a dare attenzione al nuovo nome più ignoto e cool, sembra che qualcosa nel gioco si sia rotto. Potrebbe non voler dire niente, o invece segnare una perdita dell'innocenza che rappresenterà un vero e proprio precedente e che costringerà l'appassionato di musica ad avere un dubbio in più (non solo musicale ma anche in qualche modo etico) la prossima volta che si imbatte in una nuova band. E' davvero roba autentica? Sono un gruppo di ragazzi in una cantina o in una cameretta davanti al PC, o c'è dietro un management che fabbrica sapientemente artisti credibili rimanendo nell'ombra? Le eminenze grigie della case discografiche sono sempre esistite nella musica pop e non ha senso scandalizzarsene, ma ora dobbiamo aspettarci che entrino a gamba tesa anche nel mondo indie inquinandone la presunta autenticità con focus group e ricerche di mercato?
La mia posizione sta da qualche parte in mezzo. Tornando alla musica, le canzoni di Lana Del Rey mediamente non mi fanno impazzire, ma l'ultimo singolo diffuso (la torrida Blue Jeans, una Wicked Game in versione femminile che nell'immaginario finisce per ricordarmi addirittura To bring you my love di PJ Harvey) non è affatto male. Ma ammetto che nel mio giudizio faccio fatica a prescindere dalla storia che vi ho appena raccontato, e non riesco a fare finta che il suo palese tentativo di passare come una proposta underground e autentica con armi che stanno più dalle parti dei grandi nomi da classifica un po' mi disturba. Cedere in qualche modo vuol dire rinunciare ai principi da appassionato intransigente per abbandonarsi alla perizia sporca e compromessa del mercato. Il tipo di cosa che, se la vedi come una metafora, rende quasi perversamente piacevole e intossicante cedere alle sue lusinghe.
[…] in This Charming Videogame, l'ubiquo singolo della diva sciampista due punto zero Lana Del Rey si accoppia sul divano con uno degli anthem più noti degli Smiths, ed è proprio a […]
Lana del Rey = Amanda Lear.
[…] su Pitchfork nella colonna Why we fight di questa settimana, con la scusa di parlare del caso Lana Del Rey. inkiostro | # | shorties | […]
Secondo me, voler a tutti i costi snobbare un’artista solo perchè non è indie, è una cosa ridicola. Questa tizia la conosco per il singolo videogame, che mi è oggettivamente piaciuto. “Blue Jeans” non mi è piaciuta, stop. Senza filosofeggiare troppo su come è arrivata a me questa canzone; se sarà abbastanza underground; o come ha iniziato.
non so bene perché, nè saprei spiegare bene come e dove, ma in questa storiella ci vedo delle forti connessioni con i temi di retromania (il nuovo simon reynolds).
mi vengono in mente cose come gottdammerung e la nottola di minerva, così, tanto per.
ho come la sensazione che siamo arrivati in fondo, avanti non si va, solo di lato.
what next?
Concordo con Giorgio, non possiamo semplicemente dire “CI PIACE” o “NON CI PIACE” ? costruire un artista a tavolino non assicura cmq il risultato, il successo, o delle belle canzoni, quindi se un pezzo ci piace, BONA, è gia un piccolo miracolo no? Avevo sentito sto pezzo a radio deejay piu volte senza pormi il problema di chi fosse ma mi dicevo “si simpatico” e poi per due mesi ho letto Tizia Del Rey sui blogs ma senza guardar video o ascoltarli, semplicemente il nome non mi incuriosiva, e alla fine .. ? “la perdità dell’innocenza” mi ha incuriosito, ho letto il post, ho visto il video.. e bingo, ha vinto lei comunque, ne hai parlato pure tu :D
james blake: ventuno anni e famoso per due cover.
una di feist.
l’altra di suo padre (link)
Se santifichiamo questo seppur promettente ragazzo vuol dire che c’è qualcosa che non va.
Non solo. Il vero sbaglio è il non accorgersi dei tanti che sul ben più accidentato terreno del comprensibile, lottano (per una briciola di fama), a differenza di Blake, con originalità ben più accessibile.
http://soundcloud.com/abeano/james-litherland-where-to-turn
Mi sembra un po’ assurdo stare a fare tutti questi distinguo: o la canzone ti piace o non ti piace. Il fatto che dietro ci sia chi ha lavorato per darle un’immagine o un sound “figo” non conta niente, perché mi pare che nessuno di noi conosca di persona le star indie del momento, e non possa quindi permettersi di sindacare sulla loro “genuinità”! Inoltre è fastidioso (e maschilista) insinuare che non sia farina del suo sacco, avrebbero il coraggio di farlo con James Blake o un qualsiasi altro artista emergente?
dal guilty pleasure siamo arrivati ai guilty listeners, insomma
la canzone è davvero carina, lei non si affronta.