Nell'ultimo romanzo di Douglas Coupland (che si chiama Player One ed è uscito in inglese da qualche mese; l'ho scoperto prima di Natale vedendolo sugli scaffali di una libreria londinese, cosa che fino a qualche anno fa non mi sarebbe mai successa, visto che facevo il countdown per le sue uscite) ci sono come al solito varie riflessioni in qualche modo meta-umane. Sono una delle cose che amo di più dei libri di quello che fino a qualche anno fa descrivevo senza esitazioni come il mio scrittore preferito (ora non saprei cosa rispondere), prima che la trama prenda il sopravvento e, negli ultimi libri, in qualche modo finisca per mandare tutto in vacca. C'è sempre qualche personaggio (spesso più di uno) che riflette sulla specificità degli esseri umani, su cosa li renda tali e su cosa ne muova le azioni; qualcosa che molto banalmente si potrebbe definire senso della vita, che però in Coupland appare come un concetto lontanissimo, completamente post-religioso, mistico in modo molto poco convenzionale e sempre più razionale che esistenziale.
Lo leggevo l'altra sera, in un'ora in cui mi ripeto sempre che farei bene ad essere già essere a letto, e la tesi, in qualche modo ovvia, è che una delle cose che ci rende umani è la tendenza (il desiderio, più che altro) a vedere le nostre vite come delle storie e delle narrazioni con una loro sequenzialità (a differenza di quanto succede agli altri animali, che vivono sempre e solo nell'hic et nunc), con corollario di concetti come 'tempo', 'ricordi', 'esperienza', 'futuro' alieni alle altre specie. La qual cosa naturalmente implica che siamo tanto più felici quanto più vediamo un senso e un progresso nella nostra storia, e che invece siamo tristi e smarriti (affetti da denarrazione, dice Coupland) se non riusciamo a vederne la strada. E' il tipo di cosa ovvia che ti sembra di avere sempre saputo, ma quando ci pensi ti rendi conto che no, in questi termini esatti forse non ci avevi mai pensato.
Io in passato davo poco peso a questa componente (uno dei primi sottotitoli del mio blog, in un'era preistorica in cui è improbabile che qualcuno di voi lo leggesse, era Se non sai dove stai andando, tutte le strade portano là), a causa probabilmente della segreta convinzione (ben nascosta da una robusta dose di cinismo) che la vita avrebbe continuato a riservarmi scoperte e sorprese esattamente come ha fatto tra i 16 e i 25 anni. Non c'è bisogno di dire che poco dopo il tempo ha cominciato a correre più veloce e più monotono, e che oggi molte cose, anche nuove, sembrano spesso già vecchie e scontate in partenza. Il sottotitolo del mio blog è cambiato varie volte in frasi sempre meno ottimiste, e se la vedo in termini couplandiani la mia vita da un po' di anni è una sequenza inorganica di esperienze, oggetti e riflessioni accumulate in modo famelico e assai poco lineare. Una storia che magari ogni tanto è interessante, ma che nella sua interezza è ormai quasi completamente priva di una direzione. Il tipo di storia che se la racconti, un po' ti annoi. Pensare di avere uno scopo con la S maiuscola è assurdo per qualunque persona con un minimo di spessore e curiosità, è ovvio. Ma un verso, una strada, una narrazione che sta andando da qualche parte anche solo vagamente definibile in questo momento mi appare come una cosa tutt'altro che indesiderabile.
Del resto è molto improbabile che scrivere queste cose su un blog avvicini anche solo di un millimetro il raggiungimento di una simile compiutezza. Oppure no?
Player One è il tredicesimo romanzo di Douglas Coupland, ed è bello. Non può essere bello come i primi (tutto è ormai troppo familiarmente couplandiano per colpire ancora come allora), ma non è deludente come molti degli ultimi. Non ho idea di quando (o se) verrà pubblicato in italiano. L'appendice terminologica Future legend (o A glossary of new terms for a messed up future) è ancora leggibile online qua. E, anche se non è nel libro, è consigliata anche la Radical pessimist's guide to the next 10 years.
Grazie.
[…] This post was mentioned on Twitter by inkiostro, Lucia Nicolai and silvia izzi, EmmeBi. EmmeBi said: L'ottimo Inkiostro ci spiega uno dei motivi per cui continuiamo ad adorare Doug Coupland http://tiny.cc/2m474 […]
La direzione è sempre il cimitero, il senso è sempre la maggiore sofferenza. Questo per restare ottimisti.
Bellissima riflessione.
Avevo scritto una riflessione su questo temi dopo aver letto generazione A, qui:
http://shopaholic-parma.blogautore.repubblica.it/2011/02/06/pensieri-e-opinioni-4/