Non mi piace riascoltare i dischi di un gruppo prima di andare a un concerto. Trovo che rovini l’esperienza del live decimando le possibili sorprese ed inibendo ogni Madeleine. E poi non posso non pensare alla mia vicina che ululava a squarciagola "piccola Katy" prima dei concerti dei Pooh. Sgradevole. A casa mia non cantava mai nessuno e per questo ci ho messo un po’ a capire che quello che non faccio mai coi dischi e i concerti l’ho fatto coi fumetti e le mostre.
Ieri ad esempio mi sono riletto Black Hole di Charles Burns perché sapevo sarebbe stato in mostra a Bologna al Festival Internazionale di Fumetto BilBolBul. L’ho ripassato, così come la mia vicina ripassava l’opera completa di Facchinetti e Canzian per essere pronta alla performance. Perché alla fine vedere la tavola originale è l’unico modo per toccare con mano la performance fumetto: le sporcature di matita, le sbianchettate, le pecette. Normalmente non sono così interessato a questi aspetti tecnici: vedere la grammatura della carta o scoprire che l’artista usa una mina HB invece che B mi lascia indifferente. Ma a volte sento che devo riuscire a capire cosa c’è dietro le quinte, e questo capita quando mi imbatto in un’opera perfetta.
Black Hole è perfetto perché tutto, ma proprio tutto, ha un motivo per essere lì e tutto, ma proprio tutto, è intrecciato e dialoga con tutto il resto. Tutto si tiene. E’ una di quelle opere che ti fa sentire in colpa se non ti piace. Lei è perfetta, al massimo sei tu che non sei interessato a quello che vuole raccontare per qualche tua idiosincrasia. Cosa che può benissimo capitare, dopotutto l’argomento principale sono le vagine mutanti.
La trama in brevissimo: Seattle, 1975 circa. Un virus ("the bug") si propaga per via sessuale tra gli adolescenti, rendendo mostruosamente deformi i contagiati. In alcuni casi i malati son talmente orribili da doversi rintanare nei boschi, mentre i meno sfigurati provano a proseguire la loro vita camuffando il marchio dell’infamia.
Non un’allegra commedia rosa, capirete, anche se gli ingredienti di partenza sono gli stessi: l colpo di fulmine tra i banchi di scuola, la prima volta, il lavoretto estivo, il campeggio, la fuga d’amore. Solo che il manzo della scuola questa volta ha due bocche e la gnocca di turno una coda da lucertola.
Le vicende di Rob, Chris, Liz e gli altri ragazzi si annodano in una rete di flash back, forward, lunghe sequenze oniriche ma soprattutto simboli sessual-freudiani, che costellano tutto la storia punteggiando ogni passaggio. Un simbolo in particolare ritorna con particolare forza e importanza, tanto che sembra che tutto ruoti attorno ad esso: la figa. Fighe-ferita, fighe-varco, fighe-gorgo che solo piselli ritorti possono penetrare, fighe-fighe. Figa ovunque, anche nel titolo a guardare bene.
Non si parla sempre di sesso in Black Hole ma la sessualità pervade tutto, come nelle vite di ogni adolescente. Solo che qui tutti i timori si realizzano in pompa magna. Il segno di Burns incarna perfettamente la tensione tra desiderio e terrore, innocenza e colpa: le linee precise, prese a prestito dagli anni ’60 più pop, sono sommerse da litri di minaccioso inchiostro nero senza alcun grigio che possa portare sollievo.
Ed è questo che vorrei vedere alla mostra, il nero: avrà imbarcato il foglio da quanto ne ha messo? Avrà usato della carta spessa come compensato per assorbirlo? Si riuscirà a vedere qualcosa sotto quel muro d’inchiostro, delle matite, delle imprecisioni? Non posso cedere che la realizzazione sia stata perfetta come l’opera. Per farla Burns ci ha impiegato 10 anni (dal 1995 al 2005), avrà di sicuro dovuto correggere qualcosa a posteriori, per omogeneizzare tutto. Avrà rifatto delle vignette. Deve averlo fatto.
Così mi sono riletto il libro per vedere le differenze, per capire il processo. Non credo che la mia vicina pensasse a questo quando ricantava "uomini soli" ma sono certo che tremava di gioia per qualche accordo un po’ diverso, qualche nota un po’ fuori posto: rendevano i Pooh un po’ meno perfetti ma molto più veri.
Per dovere di cronaca:
INAUGURAZIONE VENERDI’ 6 MARZO, ORE 19.00, presso la PINACOTECA NAZIONALE DI BOLOGNA (Via Belle arti, 56), alla presenza di Charles Burns stesso medesimo tale siffatto!
eMA!
Secondo me la metafora dell’aids è solo uno dei molti livelli di interpretazione che questa opera può avere.
il problema, per noi che leggiamo fumetti senza essere capaci di imbracciare una matita (non che questo ci renda incapaci di seguire una graphic novel), che alle tre burns è al lumière, alle quattro e mezza gipi parla del suo stile e della sua tecnica alla feltrinelli. come si fa? che si fa?
(black hole è perfetto, concordo, perfetto e angosciante, non so se più per l’enorme metafora dell’aids o per le riflessioni che costringe a fare sulla natura umana in generale)
Black Hole raccoglie dentro di se davvero una vastissima simbologia. Bellissimo, imperdibile. Mi ricordo che lo lessi con un misto inscindibile di terrore assoluto e desiderio. Un po’ com’è la vita.
Approvo tutto quello che è scritto nel tuo pezzo. Leggetelo tutti, merita davvero, è uno dei must have.
[Dio, con queste parole chiave gli accessi dai motori di ricerca saliranno alle stelle]
[hai messo una dannata voglia di leggerlo anche a me, in effetti]
è il primo post che leggo per intero nelle ultime due settimane…settimane piuttosto nere, ammetto. penso che comprerò il fumetto, ne ho percepito la luce dietro la coltre di inkiostro (nero peraltro).
Bellissimo e angosciante. Ma poi la mostra com’è stata?
Primo pensiero: “che schifo”
Secondo pensiero: “devo assolutamente leggerlo”