Il problema è tutto qua.
Vi sognereste mai, voi- dice Marco Cassini- di chiedere gratuitamente, così, solo "a titolo personale", un consulto medico al vostro ginecologo di fiducia per la prostata di vostro zio? Così, "soltanto per un parere".
Beh, insomma. Marco Cassini non dice proprio così. Però il concetto rende.
Marco Cassini – lo dico per i lettori di inkiostro che non hanno abbandonato il post alla parola "prostata"- è il direttore editoriale di qualcosa come il 90% dei libri che voi lettori di inkiostro cui la prostata vi sembra qualcosa di ancora più anziano degli Europe, sfogliate, leggete, avete sul comodino, avete-lì-e-non-sapete-di-avere, adorate, citate a memoria (stralci di Carver), riscrivete (come Carver), vi piacerebbe scrivere (come Carver) eccetera eccetera.
minimumfax, dico.
Il libro è una sorta di autobiografia-con-prostata. Parte da una malattia (realmente psicosomatica). Finisce in una malattia (allergicamente contagiosa) che è la malattia dei libri.
Ora. La frase di cui sopra si riferisce a un particolare fenomeno che colpisce immancabilmente chi lavora (o chi come me ci lavora solo tangenzialmente) in editoria. Sto parlando di quella cosa per cui al vostro generico aggirare l’imbarazzo provocato dalla domanda "Che lavoro fai?", non potendo effettivamente corrispondere con un altrettanto comprensibilissimo "Sono un imprenditore!", non riuscendo d’altronde neanche a chiedere all’ascoltatore pietà sulle parole "editor" o "fotolitista", buttate lì un vago "Mah lavoro in editoria…", questa cosa immancabilmente costringerà, e notate il verbo, non scherzo, costringerà, dicevo, quintali di aspiranti scrittori a sottoporvi le loro immortali opere "soltanto per un parere personale". Come se voi andaste dal ginecologo e, come sopra, diceste: "Già che ci siamo non è che può dare un’occhiatina anche alla prostata di mio zio, per favore? Solo per un parere personale".
E’ capitato a Marco Cassini, come chissà a quanti altri editori. E’ capitato anche a me, pensate.
Non so se c’entra qualcosa, ma io mi ricordo un fracco di morti fighi, nella mia vita. Allora, mi ricordo di quando morì Rodari, insieme a Montale. Più o meno. Ora, per voi lettori di inkiostro sarà preistoria archeozoica, però posso dire di avere vissuto i miei primi sei anni di vita con loro, perché di John Lennon non me n’è mai fregato granché.
Poi, sbalzellonando su e giù per la linea di un tempo che ormai sembra scolpita più sulle mie rughe che sulle mie curve, arriviamo a pochi chilometri orsono. Morì nonno Kurt, a seguire nipotino David. E oggi muore zio Updike, in due centimetri di TG1, in sala, mentre di là sto cucinando risotto allo zafferano.
Io non ho mai amato niente della morte, né del dopo. Per dire, da mio nonno, al funerale, mi ci han portato a forza- io, vecchia adolescente in anfibi che vageggiavo il Nulla, mica la morte, cari miei, no no, il Nulla Solitario Leopardiano Che Era Lì Dentro Tutto In Me, insomma da mio nonno mi ci portano a forza, ma non sono mai, come direbbe mia madre, "andata a trovarlo dopo". Per carità, evitatemi bare fioristi e vecchie coi rosari-ii.
Ecco, dicevo, io che non ho nessuna sensibilità nei confronti del post mortem (passatemela, suvvia…), sto come un cane ogni volta che mi muore qualcuno che ho letto. Bastardi. Bastardissimi scrittori di merda, dico, questo non vuol dire sconfiggere la morte ai posteri l’ardua eccetera e tutte quelle balle lì. Questo vuol dire fare affezionare come cagnoloni bavosissimi i vostri lettori a quello che avete subdolamente inventato e con cui ci avete irretito. E ora stiamo tutti male.
Tutto questo per dire che ancora non ne esco da DFW e quindi dovrò andare in analisi, non mi bastano neanche più le duecentesime riedizioni camuffate da nuove collane dell’editore-di-cui-sopra, no.
Ma volevo dire anche altro, però.
Insomma, scrivere non è un affare per molti, non è che ti puoi metter lì, carta penna e calamaio, che son dopotutto strumenti facilifacili, "alla portata di tutti" come dicono quelli che scrivono male e che ti chiedono "soltanto un parere", mica come girare un film, a girare un film ci vuol tutto l’ambaradan di mezzi soldi e chissà-perché-per-il-film-sì-e-per-il-romanzo-no ci vuole soprattutto la tecnica. Sapere cosa si vuol dire e soprattutto come lo si vuol dire.
Sapere che ci sarà da qualche parte, anche solo una zia, un parente, una fidanzata impietosa- dio, dio dimmi che esistono ancora le persone impietose- che leggerà la vostra cosa. E che leggendola non saprà come gesùsantissimo dirvi: ehi ehi, questa cosa ehm fa schi-fo! Fiu-uuu.
Non come me adesso, insomma. Che non so dove sto andando a parare. So solo che sto cercando qualcuno che scriva, ahahahahahaha.
No, giuro.
Ve lo giuro.
Ho smesso con gli adulti.
Passo ai bambini.
E questa è la modalità Humprey che ogni tanto sbuca fuori dai tempi in cui adolescente mi immedesimavo in Sam e non nelle fighe che piantavano Sam per il primo motociclista nazista che passava di lì.
No, dicevo.
Cerco scrittori per storie di bambini. Gli adulti, secondo me, han già troppo da leggere. Togli pure tutto quello spreco di alberi che si vede ogni giorno in libreria, vi giuro che potrei spianare a chiunque di voi chilometri e chilometri di scaffali immaginari con Morti Da Non Perdere.
Ma i bambini sempre secondo me han poi poco. Togli Harry Potter (che metterei invece nei chilometri-di-cui-sopra e da cui, lasciate fare va’, molti scrittori per adulti dovrebbero solo imparare), togli i regaz della via Pal, poi alla fine rimangon tante belle illustrazioni, cioè troppo artizzzztiche, rimangono lupi cattivicattivi, principesse buonebuone, coniglietti teneriteneri e tanti troppi vomitevoli topi. Topi topi e topi da fogna in tutte le salse. Ratti da fogna, uscite dalla mia libreria, maledetti topacci.
Voglio voi, scrittori ahahahahaha di storie per bambini, che non parlate puccipucci ai bambini, ma che almeno una stracazzo di volta nella vostra vita avete guardato i bambini per quello che sono: degli indiscutibili cacacazzo cui manca totalmente la cognizione di Dignità (si scaccolano tranquillamente in pubblico), di Società (interrompono ogni tipo di discorso, a tavola e non solo), di Prostata (mamma mamma cos’è la prosta-tara-tà-tà-tààààààààà ti sparo, sei morta), ai quali avete voglia di fare un regalo. Così, Giusto per farli crescere un pochettino.
Vogliate mandare le vostre proposte alla seguente mail (info | at | studiogradozero.it). Sarete letti, giudicati, sbeffeggiati, amati, scherniti, buttati fuori dalla finestra, dovrete crescere, dovrete troppo essere dei nostri, farete un fracco di cose, insomma, potete anche provarci. In fondo siete ancora vivi.
la buona notizia è che sono entrato in dfw (la S del S [ha un buco nella gomma hahaha])
la cattiva notizia non te la dico che sono troppo contento di leggerti
Bella questa chiamata alle armi.
Maria Sung
eh, tu (tu! TU!), non si esce da dfw, per almeno un valido motivo (o status), ma lo sai già.
la storia della prostata è verissima. e anche tutto il resto sui bambini. in mezzo al post mi sono un po’ perso, però ora ti mando una mail.
come jdylan, uguale.
adesso vi scrivo una storia.
più editori
meno roditori
s.
“scrivere non è un affare per molti”. Lo farò incidere sulla mia lapide.
Un abbraccio da un anonimo aspirante scrittore qualunque di quelli per adulti, che sorride leggendo cosa c’è dall’altra parte della staccionata.
Jdylan
http://www.jdylan.splinder.com
Per me i bambini devono leggere Kafka finché sono in tempo, perché da grandi ormai è inutile.