“Lui e lei si baciano nello stesso vicolo dove una volta sono entrato in una vetrina col motorino. Finora il film è tremendo e non solo per questo.”
Qualche settimana fa, a chi mi chiedeva ragione del nome che porto, ho risposto “um, io sono al 50% umana”.
Non volevo fare la spiritosa.
Sembrava solo il modo più rapido di spiegare che, vero, il Dna è quello, e quindi anche io butto sul morboso alla minima provocazione, spesso sento il bisogno di serrare i ranghi anche se non è successo assolutamente nulla e ogni tanto penso che se la civiltà come la conosciamo venisse risucchiata di botto da un buco nero non sarebbe tutta questa gran perdita, ma essendo nata da una madre e non da un cyborg risulto comunque più abilitata alle relazioni sociali rispetto alla generazione che mi ha preceduto.
Piccoli passi, cavalletta.
“I protagonisti di Amore Tossico, tutti junkies all’ultimo stadio, hanno tutti una pelle stupenda. C’è qualcosa che mi sfugge.”
Lo stesso, non è semplice conciliare questo quadro biologico – questa costellazione familiare, se vogliamo – con i miei obiettivi di massima.
Se potessi scegliere – sul serio: se potessi scegliere tra qualsiasi destinazione – vorrei essere sposata a un omosessuale non dichiarato verso la metà degli anni Cinquanta.
Scivolerei nella parte senza fatica.
Maniche a mezzo braccio, mobili da giardino pitturati di bianco, schiena parcheggiata in veranda nove mesi su dodici a giocare a mah-jong e ridere rovesciando la testa all’indietro. Ah, questi mariti, sempre impegnati con il lavoro! E se non è il lavoro è il circolo del Bel Gioco! Saranno settimane che non vedo il mio, di marito. Ah ah ah. Gradite un biscottino ai fiocchi? Che diamine, è quasi mezzogiorno. Passatemi il ghiaccio.
Questo pensiero è affiorato alla superficie solo nelle ultime settimane, però da qualche parte doveva pure aver messo radici, tant’è che l’estate scorsa – nel primo e unico shopping spree legato all’abbigliamento che la mia storia ricordi – ho comprato in posti diversi una serie di abiti talmente insensati da risultare drammaticamente funzionali, tutto un dipanarsi di sottogonne, corpetti, stringhe e lacci da stringere in vita, una serie di vestiti fighi dell’estate che chiameremo Splendore nell’erba 2.0 e che esprimono tutti, senza scarto, il desiderio di vagare in una piantagione al calare del sole sentendo dei fruscii poco rassicuranti a giro caviglia.
Che posso dire. Ho sempre avuto un debole per questa iconografia da perdita dell’innocenza, oppure, volendo essere più precisi, da tu hai sbagliato e Dio ti punirà. Accetto riviste illustrate dalle mani dei Testimoni di Geova, uso senza battere ciglio dei metaforoni come “scarpe da ballo nella polvere” e non mi spiacerebbe terminare la mia esistenza terrena come una metà a piacere di quel quadro con la casa e il forcone, ‘cause there’s no place like home, and home, that’s where the heart is, dàh-ling.
“Nell’atrio c’è un sagomato col buco per farsi le foto con la faccia da Minimeo. Vorrei avere in tasca un vecchio Caballero e chiudermi al cesso per due ore.”
Cosa ancora più difficile da spiegare – però voglio spiegarla, o almeno provarci – queste, um, politiche sessuali a volume undici si uniscono, per tutto il resto, a una disposizione esteriore abbastanza rilassata.
L’universo tende a srotolarsi seguendo il suo corso. Il senso che ho di me non è legato mani e piedi al lavoro che faccio o al luogo in cui mi trovo. Si è tanto più autentici quanto più quello che hai dentro assomiglia a quello che metti fuori. Dio dà e Dio toglie.
Ma c’è un ma.
Avendo per anni indossato l’indipendenza, l’andare e venire come e quando volevo senza chiedere niente a nessuno, è piuttosto curioso sentire il bisogno di un compagno in senso sociale.
“In effetti sarebbe un buon modo di svoltare la serata. Anche se io ho un debole per il primo, con Stephen Dorff che esplode and all.”
"Accompagnatore", parola persa nella traduzione.
Accompagnatore compare nel consumo culturale moderno come una tristezza inaudita, sempre in odore di sporcizia, un gradino sopra chiavatore di vecchie a Capri e un gradino sotto amico paraplegico di Carlito Brigante, lo si potrebbe rendere con “cicisbeo”. Sbagliando.
L’accompagnatore sarebbe il walker, lett. “quello che cammina con”: la persona di sesso maschile che scarrozza le signore sposate per risparmiare loro l’imbarazzo di andarsene in giro senza marito in società, e viene ricompensato non con i soldi (non sempre, almeno) ma tramite una gamma di vantaggi materiali (viaggi, vacanze, cene) e immateriali (far parte di un jet set internazionale di aristo-freak scoppiati per poterne un giorno riciclare le confidenze, pensare che la virtù basti a se stessa).
Io faccio coincidere walker e Daywalker, ma perché ho dei problemi a tenere separate le mitologie, non per essere originale.
“Sarà il clima, il sonno o il pensiero di aver sbagliato le piastrelle del bagno, ma non capisco cosa impedisca ai piacentini di fare come i lemming.”
Devo fare una cosa sociale, come succede.
Devo fare una cosa sociale e non mi va di andarci da sola.
Ti va di accompagnarmi a una cosa sociale? Tempo cinquantacinque minuti navighiamo la sala e ce ne andiamo. So che non mi metterai in imbarazzo. Mi fido del tuo buon senso.
Non posso sempre chiedere alla stessa persona. Voglio dire, per i matrimoni avrei risolto (c’è una persona, una certa persona che riassume il senso del proprio stare al mondo in “l’aula di punizione delle high school è una lacuna che non riuscirò mai a colmare” – e intanto i favori da restituire si innalzano fino al cielo e oltre), mentre ogni altra occasione sociale, ma anche semi-sociale, rischia ancora di diventare un prom a cui farsi portare da un anonimo tizio addestrato alla bisogna.
E il walker potrebbe essere benissimo una female walker (walker-ess? walkerette?), se non fosse che le donne di solito hanno altre priorità. E poi, francamente, se ci vogliamo frequentare andiamo a mangiare fuori. In compagnia mista. Bando alle hen night.
E se sotto certi aspetti i parametri dell’estate cambiano da soli, senza strappi – non portare nulla al collo se non ti senti del tutto a tuo agio; non mettere tacchi troppo marcati, altrimenti affonderanno nell’asfalto come denti nel chewingum – ci sono cose che non cambiano mai. Non senza un intervento preciso da parte nostra.
Quello che mi serve è un alleato.
Quello che mi serve è un Diurno.
Ne ho costruito uno e l’ho offerto alla persona per cui sto scrivendo.
“Ho scoperto che How Soon Is Now? era nella colonna sonora di Giovani Streghe, per questo l’hanno usata per Streghe. Almeno questa l’abbiamo risolta.”
A scanso di equivoci: l’accompagnatore non può, per alcun motivo, essere incarnato da un amico omosessuale.
Ci sono un sacco di cose divertenti che si possono fare con un amico omosessuale – la prima che mi viene in mente è l’abbraccio di Across The Universe (*), un bellissimo trick per cui è necessario sia un compare dal colore di capelli opposto al tuo sia non essersi messi d’accordo prima (la spontaneità è la chiave), la seconda è andare in giro in motorino d’estate, la terza ha al centro YouTube e, beh, non è una cosa molto divertente se non eri lì – però farsi accompagnare a delle cose sociali non è tra queste.
Di nuovo, questione di copioni.
Io non ti reggo lo zaino quando tu vai nei tuoi locali, tu non impersoni il ragazzo tuttofare quando mi trovo in certi impicci eterosessuali.
Semplice, di classe. No.
“Che strano. In un bar di Pechino c’è una ragazza che ti somiglia.”
Ce li avrei, gli amici giusti per questo genere di emergenze. Accidenti se li avrei. Se non che, quando scatta il momento per caso hai impegni domani, mi ricordo che se ne stanno incatenati alla scrivania fino a mezzanotte, oppure quando da me è sera da loro è mattina, oppure vanno a cena con i Bellissimi di Retequattro.
We keep odd hours.
“A proposito. Ho sognato che era uscito il tuo libro, e tu eri la foto sul cruciverba di copertina della Settimana Enigmistica.”
Questo sparpagliamento geografico non ci impedisce di portare avanti il nostro consueto social networking nel mondo reale, una famigliona allargatona che appoggiata su un tavolo per il lungo riempirebbe cinque alberi genealogici.
Se ci pensi ti scoppia la testa da tutte le possibilità.
Un milione di figli unici, di gemelli mancati moltiplicati per tre, un milione di stanze d’albergo singole, costumi da bagno interi, libri ripassati, bagni allagati, prestiti a fondo perduto, un milione di sms con un milione di scherzi privati chiusi dentro – e come posso cancellare qualsiasi segno di un simile stato di cose dalla memoria del mio cellulare, chiunque abbia mai inquadrato la situazione con un “… dimmi che vai a vedere The Warriors a Coney Island, fallo per me” merita di essere salvato, e non sono pochi e nemmeno tanti.
Come ho detto.
Costellazioni familiari.
Quello che mi serve è un Diurno.
Quello che ho è un blood pack.
Le tue preghiere vengono sempre esaudite, nell’ordine in cui sono state ricevute.
(* ci sarebbe un link, ma per arrivare al momento-abbraccio bisogna prima guadare due minuti di Hey Jude cantata da un coro di orfanelli con il naso che cola, due minuti che non sottoporrei al mio peggior nemico, figuriamoci a totali estranei.)
@dhinus: beh, si’… porca miseria ‘sti indie, mai una volta che ti sorprendano ;)
Eh, mal, beato te.. un po’ t’invidio.
Ma il Franco qua chi è, l’Alvisi?
@valido: tipo così? :D
http://negrohp.blogspot.com/2005/10/stranamente-una-settimana-dal-monologo.html
ma cos’avrebbe di così impenetrabile il post?
aquilonesco: sì (come sempre e per fortuna)
incompresnibile: proprio no
mal
La bellezza di Inkiostro è che potresti scriverci un manifesto della serie “Il posto di una donna sono i fornelli” avvolta in otto metri di crinoline e facendo l’inchino al contrario e tempo 24 ore appariranno comunque uno o più dissing maschili.
Francesca, torna!
Franco: bravo!
Violetta: touchée.
davide
La tristezza di questi post saccenti e pateticamente “alternativi”, altro che indie.
Franco
Ragazzi, se continuate cosi’ finisce che arriva Celentano e divide il mondo in “indie” e “lento”
Violetta scrive post incomprensibili e meravigliosi, più indie di così si muore.
Ziggy Zeitgeist
È vero, si capisce poco.
Ma sono scritti bene, ve’.
Tra il crucciarmi e sentirmi egocentricamente ignorante (quale in effetti sono) e il restare invece colpito, abbraccio la seconda.
Davide: che vita difficile, eh.
– Violetta –
che palle i tuoi post violetta! non si capisce mai una mazza.
con affetto, un lettore di ink
davide
perché, che stanno facendo i piacentini?
(devo tornare a casa proprio ‘sto fine settimana e si sa mai…)