Intorno al 26 Agosto il nuovo disco di Beirut The flying club cup è stato messo online, un paio di mesi prima della sua data di uscita. Beirut è il nome dietro cui si nasconde Zach Condon, talentuoso ventunenne americano con la faccia un po’ antipatica (come la maggior parte dei ragazzetti telentuosi) e un’idea molto confusa della geografia (si chiama come la capitale del Libano, suona un mix tra indie-folk d’autore e musica balcanica, e il suo pezzo più bello e famoso si intitola Postcards from Italy).
Dicevamo: il suo nuovo disco è stato messo online mesi prima della sua uscita, come succede a molti altri dischi (quasi tutti): dov’è la notizia?
La notizia è che questa volta il disco era watermarkato, ovvero contrassegnato copia per copia nel suo contenuto, in modo che, nell’eventualità in cui fosse convertito in mp3 e messo online, sarebbe stato immediatamente possibile risalire al responsabile; si tratta di una pratica sempre più comune negli ultimi tempi (anche se non certo a prova di bomba), con cui le case discografiche mirano a scoraggiare tutti coloro che per motivi professionali ricevono copie promozionali del disco in anticipo (giornalisti, deejay, promoter, distributori) dal diffondere il disco online.
La copia finita online era stata inviata a Erik Davis, giornalista e scrittore americano che al momento scrive su due riviste di culto come Blender e Arthur che, non avendolo apprezzato granchè (del resto, se date retta a me, è in effetti una palla pazzesca) l’aveva bellamente venduto a un negozio di dischi usati in un periodico ripulisti di casa. Chi l’ha comprato non ci ha pensato due volte, e l’ha messo online alla faccia di Davis. L’intera storia è raccontata con dovizia di dettagli da Davis nel suo blog, in un post in cui il giornalista si interroga anche sui risvolti, per così dire, ‘filosofici’ della questione, per cui ciascuna copia del disco watermarkato porta al suo interno i dati del suo destinatario ed è, in qualche modo, in grado di ricattarlo e condizionarlo, come se, in un panorama segnato dalla crescente smaterializzazione dei contenuti culturali, gli oggetti stessero tentando di mettere in atto la propria vendetta.
Beirut – Nantes (MP3)
Beirut – Postcards from Italy (MP3)
Beirut – Live @ San Francisco, 20 Oct 2006 (LINK > 15 MP3)
watermarked e cose simili… tentativi inutili… ingenui… come tentare di fermare uno tsunami con un secchio…
dj nepo
Disco di rara bruttezza!
Ottima cacata fuori dal vaso di Davis invece, che nonostante cerchi di smarcarsi adducendo un passato da boyscout alla fine ha fatto la cosa più stupida potesse fare.
bebo
Meglio Bregovic
Questa sì che è una questione interessante e spinosa….
Le prime cose che mi balzano all’occhio sono queste:
1) Erik Davis , con malizia oppure no, ha fatto una cazzata a vendere il disco prima dell’uscita, soprattutto sapendo che era watermarked
1a)il disco comunque era suo a tutti gli effetti: se l’avesse venduto DOPO la data di uscita, o anche il giorno stesso, non ci sarebbero stati problemi?
2) il watermark è legittimo in quanto tentativo delle etichette di difendersi, ma ancora una volta pare il tentativo sia vano e un po’ inutile.
3) a meno che tutti quelli che hanno lasciato i commenti siano addetti ai lavori, pare che chi ha commentato abbia già sentito (=scaricato illegalmente?) il disco.
J.
Pienamente d’accordo sul discorso del comportamente irrispettoso di Davis. Per quanto riguarda il disco nuovo di Beirut, non lo trovo brutto, ma forse un pò “anonimo”. Poi magari tra due mesi dirò che è stupendo…….
io più che altro trovo molto stupido, e scarsamente rispettoso dell’artista e dell’etichetta, e soprattutto per nulla professionale, andare a vendere il promo di un disco due mesi prima che il disco stesso esca. e in ogni caso, non vedo la differenza con il ripparlo e metterlo online.. se non che, in questo caso, ci tiri pure su due spiccioli (non che uno ci si arricchisca, ma è il principio che conta).
comunque, questa brutta abitudine ce l’hanno anche in italia. mi ricordo di una volta che col paso, in un negozietto di cd e dvd usati, a milano, scoprimmo giusto il promo di un disco che sarebbe uscito dopo un bel po’, e pensammo che era proprio una cosa squallida da fare, per uno che di musica ne scrive. ma non ricordo che disco fosse.
al di là dei watermarked – o degli *streaming watermaked*, che vanno di moda anche loro – c’è sempre qualcuno che mette in rete i dischi, e mi chiedo chi caspita sia, quando magari ai giornalisti arriva una copia che, se rippata, è identificabile. penso, per dire, al nuovo di iron & wine, che sarà anche ‘marchiato’ ma è in giro da una vita – tanto che a me pare roba vecchia.
mah.
rettifico brevemente onde evitare fraintendimenti: nessuno dice che il watermark non sia una cosa giusta.
come ha ben detto davis è un argomento porno
perché a ogni tentativo da parte delle etichette di difendere i loro diritti si solleva un polverone?
rimane il presupposto che quei diritti sono sacrosanti o va fatto saltare in aria?
la cultura va condivisa e palle jeff tweedyane varie?
dobbiamo rispettare chi la vede diversamente? o l’egoismo dovrebbe esser messo fuori legge?
la versione di Davis, oltre che al limite della plausibilità, sembrerebbe essere un filo contraddittoria: prima usa l’argomento della reputazione: io non metterei mai un advance on line e chi mi conosce lo sa; quindi farlo è male.
ma moltissimi altri lo fanno e lui lo sa
cio’ nonostante, taccia come patetici/ridicoli i tentativi dell’etichette di difendersi
patetici anche perché vengono messi alla berlina da tutta la rete che se ne fa beffe, prima li aggira e poi li denigra
ma sono legittimi oppure no?
lui la butta sui rapporti di stima tra etichette e scrittori musicali, fa l’offeso insomma
ma perché non accettare quel piccolo disturbo senza tante menate, visto che molti colleghi evidentemente non sono corretti quanto lui dice di essere?
io sono un crogiolo di contraddizioni e non ho risposte
ogni tanto penso ad esempio che facendoci le canne diamo (tanti) soldi alla mafia e poi mi commuovo col film tv su borsellino.
dario
Anche a me piace molto, forse non più del precedente, ma ci andiamo molto vicini, poi credo che in autunno sarà in grado di conquistarmi ancora di più.
Non sei mai stato un grande fan di Beirut, mi pare, per questo forse il nuovo album è “una palla pazzesca”, perché è PIU’ Beirut, qualora ciò fosse possibile, del primo. Personalmente forse lo trovo anche più bello. Mi sembra che il buon Zach (p.d.v. femminile, certamente non da buttare; al SXSW, al concerto di Frida H. era letteralmente accerchiato da quindicenni che tentavano di mollargli il loro numero di cellulare) sia più sicuro della sua formula, per questo le tracce di lo-fi di “Gulag” in “Flying Cup” sono scomparse lasciando il posto ad una sorta di orchestrazione totale. C’è stato un cambio di etichetta ed un successo internazionale nel mezzo, certo. Magari il ragazzino si è montato la testa e si sente Sufjan Stevens. Ma “The Penalty” o “Nantes” che tu linki non hanno davvero nulla di inferiore al debutto. Insomma la mia tesi è: se avete amato il vecchio, adorerete il nuovo. Humble opinion, certamente.
Sulla faccenda watermarked, avendone ricevuti diversi (se ti ricordi ti avevo anche parlato a lungo della cosa) tra cui nuovo Pinback e nuovo Iron and Wine e nuovo Shins (TUTTI Sub Pop, che ha evidentemente questa trista abitudine) ti garantisco che la cosa magari non ha fatto paura a Davis, ma fa paura a quasi tutti gli altri. Le conseguenze penali ci sono per chi infrange e viene sorpreso. E’ il nuovo guinzaglio dei promo, e lo stralcio di post che citi “alive, or at least virally infected with the digital ghost of my life” dà davvero da pensare. Il watermark è una specie di impronta digitale — digitale in due sensi. Il promo, e chi lo riceve, sono “immatricolati”, con tanto di numero di serie e sigillo.
Azz.
Il disco a me è piaciuto molto, oltre ogni aspettativa. Sarà ché è meno festaiolo e meno circense del precedente, saranno i continui sufjanismi, sarà che spruzza richiami alla tradizione cantautorale francese (che fu) in ogni direzione.
No male! ;-)
Come si suol dire: “FIGURA DI MERDA!”. :))