Cominciamo dalla fine.
Sono le 4 passate di sabato sera al Parc del Forum di Barcellona, e il sottoscritto vaga da solo dalle parti dell’Escenario Rockdeluxe, nel tentativo di riprendersi dall’uragano emotivo provocato dallo splendido set dei Wilco, appena finito. Sul palco ci sono i Battles, e nonostante stiano spaccando tutto come sono soliti fare, non riesco a prestargli molta attenzione; mi tengo a distanza, faccio qualche foto, mi distraggo un po’. Poi, dal nulla, parte Atlas, il loro ultimo, devastante, singolo, e non so come (o forse lo so) mi ritrovo in seconda fila nella bolgia più infernale, a saltare mentre il quartetto americano disintegra quello che conosciamo col nome di rock e lo ricompone a suo piacimento, dando fuoco alle ultime polveri di un festival che ha visto suonare in 3 giorni sui suoi 6 palchi un totale di più di 100 band. Recupero i miei compagni di avventura, appuro che rimarranno per Erol Alkan (ultimo act del festival, che salirà in console 40 minuti dopo, alle 5), li saluto e mi avvio per l’Avinguda Diagonal a piedi, verso casa. Questo è stato il mio congedo dal Primavera Sound Festival 2007, e devo dire che non riesco a immaginarne uno migliore.
L’ho vissuto come una gita, questo festival, un bagno nel mare colorato dell’indie nation internazionale, il cui popolo è stiloso e attento, snob e caciarone, fanatico e nerd, identico in tutto il mondo occidentale (in modo inquietante ed esaltante in parti uguali) ma sottilmente attraversato da un gran numero di differenze nazionali. Rimarranno un sacco di ottimi concerti e decine di dettagli: il barbone di Warren Ellis, il buio delle chitarre degli Slint, Paul Smith dei Maximo Park con cappellino e maglietta di Leonard Cohen allo showcase acustico dello stand di Myspace, l’occhio nero di Isaac Brock e lo stile impressionante di Johnny Marr [stasera i Modest Mouse sono a Bologna, non provate a perderveli, non pensateci nemmeno], la folla smisurata che assiste al concerto dei Wilco, il maglioncino a rombi di Mr. Fujiya e Miyagi, il look stile ‘Elio-che-imita-i-Rockets’ degli Smashing Pumpkins (e la loro scaletta impeccabile), la stempiatura di Robert Schneider degli Apples in stereo (e il sole!), Shannon Wright che soffre e sculetta, le rughe di Thurstone Moore, le rughe di Patti Smith, le rughe di Mark E. Smith, il nasone di Ed Droste dei Grizzly Bear, Kazu sferzata dal vento, il balcanismo cialtrone di Beirut e il limbo pasticcione degli Architecture in Helsinki, le Long Blondes sentite dal prato in mezzo a un branco di inglesi che commentano le grazie di Kate Jackson, la tamarrissima croce dei tamarrissimi Justice, i tamarrissimi fuseaux ghepardati di Marina Vello dei tamarrissimi Bonde do Role, la tamarrissima mancanza di originalità del tamarrissimo DJ set degli Shitdisco (Justice! Daft Punk! Gli Snap! Di nuovo Justice!), gli acuti, le barbe e le chitarre degli ottimi Built to spill (dopodomani a Bologna, anche loro imperdibili) gli acuti, le barbe e le chitarre degli ottimi Band of Horses, la folla silenziosa che assiste in silenzio ai Low, e moltissime altre cose che al momento sono ancora troppo stanco per ricordare. Un festival del genere è un’esperienza ubriacante. Più avanti vi dirò meglio; intanto ora tento di riprendermi dal tracollo fisico, e di tornare coi piedi per terra.
[…] qualche anno fa, non ho saputo resistere e mi unirò (insieme ad altri 4 autori e autrici di questo blog, […]
ma perchè spaccare una Rick 330 a quel modo?
pibio
allora se passano gli Snap loro posso farlo pure io (che già lo faccio)
sono contento di sapere che ai Wilco (e ai Low) c’era folla: io magari dopo Twee-dy non sarei andato a vedere nient’altro, di modo da tenerlo come ultimo ricordo…
the battle’s just begun
sarà che ne capisco poco di musica elevata, ma io mi sono annoiato da morire a questo festival…
completamente in disaccordo con il tuo articolo. e non citi neanche mark ibold sul palco con i sonic youth (sì ok presenza inutile, ma parte del mito)
cagata i Battles, cagata i Battles…
23 recensioni, di cui 11 sopra il 90, per una media complessiva di circa 88 punti…
ora, vabè che la critica non serve a un cazzo…ma perfino pitchfork, perfino scaruffi..!
Io rimango della mia opinione
nel 2028 ascolteremo solo roba così
madonna che cagata ‘sti battles… sono la dimostrazione che ci si può scatenare con qualsiasi cosa… ad esempio ad un concerto di capodanno ho visto la gente pogare con “that’s amore”
che fantastica abbuffata!
Non ho dubbi nel credere che dal vivo i Wilco siano di gran lunga superiori ai Battles, Kicking Television è un must.
Però se prendiamo i respettivi ultimi album di entrambi….
A proposito, fra qualche giorno pubblico anche una mini recensione all’ultimo dei Battles.
Beato te che sei riuscito ad andare a Barcellona ; )
Ciao ciao fran_pi_
Non c’era Warren Ellis, ma Warren Ellis.
C’era warren ellis??? Cosa faceva? E’ vero che è il sosia di alan moore?
Io approfitterei del 50% femminile e basta.
mario
Io approfitterei del 50% femminile e direi “LE” White Stripes (chi ascolta “I” Comaneci non puo’ che essere d’accordo)
se non ci fosse stripes dopo white a me verrebbe “gli white”; invece con anche stripes anche a me viene la “i”
[OT: segue]
credo che in teoria si debba dire degli in quanto Wilco inizia, se pronunciato correttamente, con una vocale (“Uilco”)
ma a me non viene
colas ad esempio se ricordo bene è della scuola “gli-degli”
son problemi
ciao
:)
[OT: Icepick, ma sai che oggi ci ho pensato dieci minuti pure io? Perché se da un lato è ovvio dire “i White Stripes”, a me “i Wilco” non suona proprio. Esiste una regola fissa?]
ciao,
e.
complimenti per aver avuto la forza di postare
e anche perché scrivi dei Wilco, e non deGLI
e.r.o.l. ha chiuso, a sole sorto, con Today dei Pumpkins. Una chiusura in cui sembrava di riavvolgere un nastro, come all’inizio, come qui