Tra riassunti, ricapitolazioni e classifiche di fine anno (prima) e previsioni, scenari e prospettive per l’anno nuovo (dopo), nelle ultime settimane se ne sono lette parecchie, di cazzate. Fa parte del gioco, e di solito la possibilità di tirare fuori dal cassetto la propria verve di colto e sagace commentatore vale la figura; tanto dopo qualche settimana se ne sono dimenticati tutti, e va bene così.
Tra le varie cose che mi è capitato di leggere ci sono le due lunghe e in qualche misura affascinanti analisi firmate da InformationArchitects.jp (The 50 loudest websites in 2006 and what made them successful e Internet 2007 Predictions), il plurilinkato commento di Alec Bemis su LA Weekly (The Year Blogs Got Lame, Business Got Hip and Nostalgia Was King) e la previsione di Antony Bruno su Billboard (Music biz hopes to profit from consumer content).
Come avrete forse già intuito mi sono, come capita spesso, soffermato sul rapporto tra intrattenimento (audio e video, in particolare), soluzioni tecnologiche e reti sociali. Dai vari commenti (tutti invariabilmente tanto entusiastici quanto apocalittici) emerge una contraddizione che mi ha colpito, che pone l’accento su aspetti opposti e prefigura scenari drasticamente diversi.
Da un lato c’è una costante magnificazione di piattaforme, aggregatori o sistemi che maneggiano, valorizzano e rendono accessibile il fantomatico user-generated content, i contenuti prodotti dagli utenti. Si parte ovviamente dai blog e da tutti i servizi che ci girano intorno, si continua con il blockbuster YouTube, e si arriva a servizi abbastanza nuovi come Brightcove o iLike, che mirano a supportare (e quindi a sfruttare per monetizzarlo) l’intrinseco bisogno di contenuti connesso alla costruzione di un’identità online da parte degli utenti.
Il fenomeno, in effetti, è sotto gli occhi di tutti, e non da oggi. La cosa che fa sorridere è l’uso del termine user-generated content per contenuti che, come è ovvio a chiunque non abbia dei paraocchi, sono in realtà costituiti per buona parte da materiale che vìola costantemente le (obsolete, vabbè) norme del copyright. Pensate a YouTube ed eliminate i videoclip musicali, le trasmissioni televisive, le pubblicità, tutte le produzioni che usano musica o immagini senza pagarne i diritti, e qualsiasi rielaborazione di tutte queste cose messe insieme, e vedete se quello che rimane è davvero così interessante.
Dal’altra parte si prefigura uno scenario completamente diverso, che vede la sempre ventilata fine del fenomeno-blog (fine di cui si parla da svariati anni; di questo passo qualcuno prima o poi ci prenderà), questa volta sotto la scure degli ibridi blog/webzine che sono nati nell’ultimo anno. Si tratta di siti a metà tra blog e testate editoriali, che uniscono la piattaforma tecnologica, la velocità di aggiornamento, lo stile informale e, spesso, la parziale illegalità dei primi, con le risorse dei secondi: uno staff pagato che ci lavora a tempo pieno («Cosa fai di lavoro?» «Scrivo su un blog»), con conseguente aumento della quantità e della precisione dei contenuti.
Per fare qualche nome, nel campo della musica ci sono il self-proclaimed #1 music-blog Stereogum (delle cui fortune finanziarie parlavamo già qua), il corrosivo Idolator (proprietà del rampante gruppo editoriale Gawker Media), e il sempre più m-blogghesco Pitchfork (che ha fatto la strada inversa: gli mancano giusto i commenti, poi è un blog a tutti gli effetti); e i primi casi si vedono anche dalle nostre parti (l’ottimo Vitaminic, ça va sans dire).
Chi avrà ragione? Gli Apocalittici della presunta democrazia della rete o quelli della nuova professionalità amichevole che andrebbe a sostituirla?
[niente Integrati per stavolta]
La mia impressione è che la situazione attuale sia ovviamente da qualche parte tra i due estremi, e, nonostante ai commentatori piacciano sempre i trend ben definiti e i fenomeni chiaramente individuabili, rimarrà nell’attuale limbo ancora per un po’. A deciderne le sorti saranno, come al solito, i soldi: saranno prima gli investimenti a finire (e la bolla dell’intera economia 2.0 a scoppiare; preparatevi, perchè succederà) oppure le singole posizioni strategiche a consolidarsi e a giustificare in qualche modo (economico o meno) la propria esistenza? Quando i siti inizieranno a chiudere e i contenuti torneranno ad essere accessibili nell’unica forma che finora ne ha consentito la produzione e la distribuzione (a pagamento, quindi) la situazione sarà definitivamente cambiata tanto che sarà impossibile tornare indietro, oppure si sarà trattato solo dell’ennesima, un po’ anarchica, parentesi?
La risposta la lascio ai commentatori (aha). Quel che è certo è che gli unici che non possono essere scossi più di tanto dalla questione sono coloro che da quello che producono e che scelgono di mettere in rete non vedono (ed è giusto che non vedano) mai una lira. Come i dilettanti. O come i blogger.
@ Calamarineri: Ciao DEMETRIO…
Saranno anche più professionali, ma sugli ibridi blog/webzine mi capita raramente di leggere lucide e argomentate analisi come la tua o come quella di Suzukimaruti, di cui riesco a inserire non il link ma solo l’indirizzo completo: http://www.suzukimaruti.it/2007/01/06/voglia-di-misurarsi-post-chilometrico/
Penso che tutto funzionerà, stupirà, svilupperà, successo avrà… ohhh… finchè sarà aggratis! Cià!
Premetto che il mio sguardo è limitato per lo più ai blog italiani. Dopo l’avvento degli ibridi blog-webzine di cui parli, l’unica differenza resterà forse questa, all’interno dei siti con “forma” di blog:
a) quelli che ci guadagnano, in varie forme (le webzine; i nano-blog; i blog dei giornalisti famosi o dei vip, che se non hanno un ritorno monetario ne hanno uno di immagine e/o di contatti importanti; quelli partiti da blogger anonimi e che poi si evolvono in altro)
b) i semplici blogger che come dici te non ci cavano neanche una lira fuori corso. Che forse diminuiranno un po’, in qualità più che in quantità, ma che non spariranno.
Guarda caso, un’elemento che differenzia i secondi dai primi è nella quasi totalità dei casi la presenza dei commenti,che nei casi sub A) o mancano, oppure sono così abbondanti che il loro si possono considerare un forum e non è possibile, anche volendo, l’interazione con essi dell’autore del post (la solita vecchia domanda se il blog di beppegrillo è un “blog”..).
“lunghe e in qualche misura affascinanti analisi”
“tanto entusiastici quanto apocalittici”
viva l’inkiostro style !
mary°
Il sogno finirà presto, a mio parere. La tua analisi è ottima, come sempre.
interessante come analisi. penso che cmq sia, per quanto aziende, in senso generale, tendano ad utilizzare metodi bassi come i blog, una differenza rimarra’ sempre. non e’ una questione di strumenti, ma di metodologia o di pensiero che ci sta dietro; un azienda (o una testata , o quel che volete) avrà sempre una logica aziendale, mentre un blogger (ad esempio) no.
inoltre per quanto, anche nell’arte, negli ultimi 20 anni, il mondo sembra essere progredito per interazioni, questo e’ un falso problema o, meglio un falso modo di vedere. ok il discorso rischia di diventare lungo. ciao a tutti. complimenti al blog e al blogger. emiliano
i calamari neri sono obsoleti per definifione. banchettano alla tavola rotonda in attesa che gli eventi si compiano.
mr.crown
uau.