Questi giorni, da queste parti, sono gli ultimi giorni di inverno. Ieri pomeriggio c’è stato un temporale che mi ha molto innervosito, poi è stata la volta della nebbia; nei giorni precedenti c’è stato un po’ di sole, ma il fine settimana precedente era ancora, inesorabilmente, inverno. Ho passato lunghe giornate in casa a guardare dalla finestra la pioggia e le nuvole spinte dal vento. Ho passato lunghe serate fuori con gli amici o a qualche concerto, per lo più stretto nella mia giacca. Ma, soprattutto, il mio ultimo weekend d’inverno prima di uno sprazzo milanese di estate e dei fasti nefasti di questi ultimi giorni freddi, è stato pieno di silenzi da colmare. Di vuoti da riempire, di lacune faticosissime e di occhi che si muovono veloci alla ricerca di un soccorso qualunque. Un weekend d’inverno pieno di silenziose grida di soccorso, questo è stato. Ho pensato che se fosse già stata Primavera sarebbe stato diverso. Ho pensato anche che non era vero. Ma che era bello pensarlo.
Ieri sera mentre mi infilavo un maglione e meditavo se prendermi un’aspirina mi sono accorto che era il momento: l’ultima occasione buona per ascoltare il disco dei The Knife prima che il suo fascino glaciale stonasse in modo clamoroso con il sole e con il caldo. Ho recuperato una coperta, mi sono steso sul letto, e mi sono perso, di nuovo, negli angoli sintetici e luminescenti di Silent Shout.
I The Knife sono in due, fratello e sorella, vengono dalla Svezia ma sembrano venire da Marte. Hanno l’ipersensibilità glaciale ma buia che avrebbero i Mùm se dovessero fare la colonna sonora di un film horror. Hanno certi synth spaziali e palpitanti che fanno pensare a dei Kraftwerk innamorati. Hanno voci e suoni alieni come i Radiohead di Kid A che rimangono affascinati dagli occhi a mandorla di Bjork, o viceversa. I The Knife suonano un’elettronica cupa e atmosferica, ossimoricamente glaciale ma calda, che non si allontana mai troppo dalla forma canzone pur risultando tutt’altro che pop; del resto sono loro gli autori originali di quella Heartbeats reintepretata dal connazionale Josè Gonzalez e poi finita nel celebre spot delle palline rimbalzanti.
Silent shout è il loro terzo disco, un’opera complessa ed estremamente affascinante, tutt’altro che furba nel rifiutare di sana pianta qualunque tentazione modaiola o anche solo vagamente attuale per seguire la strada perigliosa dell’involuzione e del ripiegamento su di sè. Come con certe serate fatte di freddo e silenzi, anche avere a che fare con Silent Shout è faticoso; al primo ascolto non piace e spesso neanche al secondo, suscitando una perplessità che nasconde di solito la paura che la sua elettronica desueta e le sue stramberie vocali siano solo fumo gettato negli occhi per mascherarne la mancanza di sostanza. In realtà di sostanza ce n’è, e neanche poca; ci si mette un po’ a vederla e forse non è per tutti, ma come al solito anche in questo sta il suo fascino. Una sola serata dell’ultimo weekend di inverno in compagnia di silenziose grida d’aiuto, però, basta ad aprire gli occhi. E a vedere oltre quei silenzi pieni di urla, dove c’è un gelo che forse neanche la primavera può riuscire a sciogliere.
The Knife – Silent shout (MP3)
The Knife – We share our mother’s health (MP3)
The Knife – Marble House (single edit) (MP3)
stupendi… *___*
nui
_Kekkoz: ehm…
“Springtime can kill you” come dice qualcuna :-)
Kit
ops.. Karin non Karen :P
belli i The kinfe, l’intervista su PIG mi è piaciuta tantissimo.. la voce di Karen è bellissima.. ma ho trovato anche delle foto di Olof sensa quella maschera e devo dire che come la sorella non è niente male… ah! sti Svedesi!!
p.s. hai visto che figata le foto per pubblicizzare Deep Cuts? Dove lei imita le insegnanti di ginnastica russe e lui fa la parte dell’allievo?? PAZZI!! ;)
vai così inkiostro che fra poco è primavera davvero!
anche a me piacciono per il “dialogo” vocale, dialogo un po’ strambo qualche volta. in effetti.
hai sentito questa?
Di Silent Shout feci un’indigestione i primi tempi che lo ebbi tra le mani, con il passare delle settimane però mi è un po’ sceso (vuoi anche per l’arrivo, saltuario, del sole), e tendo a preferirgli di poco il precedente.
Sempre in zona indie-beat sto gradendo particolarmente The Warning degli Hot Chip (e noto anche tu), con annessi remix del singolo. Sempre loro, su Ladyflash dei The Go! Team, fecero un bel lavoro, forse un po’ “DFA-oriented” (la cui compila nuova mi lascia un po’ così così).
io continuo a preferire Deep Cuts.
ma appunto a me incuriosisce la loro versione originale di Heartbeat…la cerco :-)
Kit
conosco bene quel gelo e quei silenzi.
per caso passai, ti lessi, bello.
E poi un poco di invidia. Ma come si fa a personalizzare le liste a lato, eh? demenza mia? puote esser, lo so