Stagioni (un post bucolico)
Ogni volta che sto un po’ di tempo senza tornare a casa dei miei, tendo a dimenticare la vera essenza del ciclo delle stagioni. In città quello che cambia da un mese all’altro è la percentuale di grigio nel cielo, il numero di giorni in cui il sole sorge che piove e tramonta che piove ancora e il numero di ore in cui è necessario accendere il riscaldamento o, eventualmente, maledire la canicola infernale. Da queste parti, invece, basta guardare fuori dalla finestra per accorgersi che le cose sono un po’ diverse. Il bosco dietro casa presenta una quantità di colori e sfumature davvero eccezionale, non si può aprire la porta senza essere invasi dall’odore di erba, corteccia e foglie, e le colline dei dintorni sono così vivide che non può non venirti voglia di fare una corsa o di rotolarti sul prato umido. E ti scopri, nel primo pomeriggio, a guardare il paesaggio dalla finestra ascoltando il bellissimo -e molto appropriato- disco di Sufjan Stevens, una specie di Badly Drawn Boy più americano e più boschivo, e a pensare che sì, qui un giorno tu vorresti tornare a viverci.