mercoledì, 03/09/2003

nessun titolo

Lost in Venezia
Già, perchè a Venezia ci si perde. Non in senso letterale (benchè l’intreccio di calli e fondamente sia temibile), ma in senso metaforico: è un luogo dove le regole che dominano altrove non valgono, e i punti di riferimento vacillano. Dove le tante storie viste sullo schermo, ad ore in cui normalmente si lavora, si chiacchiera o si legge, iniziano a fondersi con la vita vera, confondendola. Dove le giornate sono infinite, tutti sono in cerca di qualcuno o qualcosa, e tutti gli interlocutori sono lì, al lido, e il resto del mondo sembra non esistere più.
E così succede che, dopo il secondo film ambientato in una grossa a spersonalizzata metropoli d’oriente, non si sappia più dove ci si trova. Succede che alla terza splendida e giovanissima attrice che ammalia sullo schermo il protagonista di turno ci si senta un po’ frustrati. Succede che dopo l’ennesima presentazione di persone che ‘fanno qualcosa’ (‘quella scrive’, ‘lui fa il regista’, ‘ho prodotto un disco’) ci si renda conto di essere drammaticamente poco all’altezza. Succede che davanti alle molteplici sperticate esibizioni di sapienza cinematografica, musicale o letteraria ci si senta un po’ ignoranti. Fa parte del gioco, ed è parte del suo bello. Ma non è facile, nessuno ha detto che lo sia.
Detto ciò (scusate, mi è uscito il post esistenzialista, non ne avevo intenzione), dovrei forse parlare dei film. Il mio personale Leone d’oro va a Lost in translation di Sofia Coppola (di cui ha già parlato Shoegazer
, con cui condivido tutto o quasi), che però non è in concorso, seguito da Code 46 di Michael Winterbottom, che parte molto bene e si rovina nel finale. Non male The Dreamers, il nuovo Bertolucci (visivamente splendido, narrativamente un po’ discutibile) e Il ritorno di Cagliostro, ultimo lavoro di Ciprì e Maresco (meno folle del previsto, che entusiasma all’inizio ma annoia alla fine). Da dimenticare Les Sentiments (pretenziosa ma scontata commediola francese) e Abjad, il solito tediosissimo iraniano (sorry, mi sono annoiato a morte). Carino (hollywoodianamente parlando) Matchstick men, il nuovo di Ridley Scott con un Nicholas Cage davvero in forma. Subito dimenticati The human stain di Roger Benton (con Nicole Kidman e Antony Hopkins) e Rosenstrasse di Margarethe Von Trotta.
Per il resto impossibile non menzionare il vero re della laguna: il tempo morto. Tra una proiezione e l’altra, mentre si aspetta il vaporetto, durante una delle interminabili file e mentre si aspetta qualcuno seduto sui gradini del casinò: è qui che passa la maggior parte della giornata, incontrando amici e amici di amici, discutendo dei film visti e delle mille disogranizzazioni che al lido non sono mai state così gravi, progettando le visioni future. Il tutto ovviamente con compagnie inaspettate e spesso sorprendenti, a volte molto più che note, che non deludono mai. Venezia è anche questo. Anno dopo anno, come si può farne a meno?




Un commento a “nessun titolo”:

  1. benty ha detto:

    welcome back to Marche. Io non faccio quasi altro che scrivere post esistenzialisti e , davanti a tutti quelli che fanno qualcosa vengo in genere annichilito dai complessi di inferiorità. Credo sia successo anche ad Ancona, in parte. Prendi il Diggei : per fortuna che almeno ho più capelli di lui. Eccoti servito un commento esistenzialista.Ciao